L’economia degli Stati Uniti è ancora in buona salute, i primi risultati del secondo trimestre pubblicati mostrano che le imprese e i consumatori hanno continuato a spendere, il sondaggio periodico dell’Università del Michigan registra una leggera ripresa della fiducia dei consumatori. Dati che corroborano la fiducia e tengono gli indici S&P 500 e Nasdaq sui valori massimi.
Eppure, si notano sotto la superficie segnali di affaticamento: gli indici PMI del settore manifatturiero e dei servizi sono scesi più del previsto e l’attenzione è ora ai dati che verranno rilasciati giovedì 24 luglio.
Anche l’inflazione si sta dimostrando ostinata, a giugno è salita a 2,7%, un valore superiore al 2,4% di maggio e oltre le attese di 2,6%, un primo segnale degli effetti dei dazi, per il momento assorbiti in buona parte dalle imprese.
Il declino del dollaro rispetto alle maggiori valute e il prezzo dell’oro sono segnali di diffidenza verso la maggiore economia del mondo e di persistenti preoccupazioni sugli scenari geopolitici. Gli insulti e le ripetute minacce di Trump di licenziare il presidente della Federal Reserve Jerome Powell continuano a sollevare dubbi e, in effetti, la lettura dello scenario offerta dai mercati obbligazionari è più diffidente.
Il mercato obbligazionario non è popolato dalle migliaia di giovani trader “fai da te” che sulle piattaforme Reddit e Robinhood continuano a comprare sulle debolezze e fanno la loro parte nel sostenere i listini.
Gli operatori dei bond valutano le conseguenze sui conti pubblici del “Big Beautiful Bill”, nutrono perplessità sul debito federale e chiedono un premio al rischio: i rendimenti delle obbligazioni a dieci e trent’anni sono aumentati nella prospettiva di aumenti insostenibili del deficit e del debito.
La compiacenza che il mercato sta dimostrando alle recenti lettere spedite dalla Casa Bianca sulle tariffe sottovaluta i rischi potenziali, potrebbe portare a imprudenti decisioni di investimento. Basterebbe poco, un dato negativo, un’escalation geopolitica, una sorpresa sui tassi, per far bruscamente cambiare il sentiment.
“Serve una barca più grande” dice il capo Martin Brody nel film cult “Lo squalo”: gli investitori devono chiedersi se la loro barca reggerebbe un’onda improvvisa; se la risposta è incerta, forse è il caso di parlare con un consulente o un esperto di fiducia e procurarsene una più grande.
La “barca più grande” è costituita da una strategia robusta, più flessibile e meglio diversificata.
La diversificazione consiste nel distribuire gli investimenti su diverse classi di attività e aree geografiche con l’obiettivo di attenuare il rischio complessivo del portafoglio. Non può più limitarsi alla diade azioni e obbligazioni, deve fare spazio a strategie tematiche e decorrelanti, alle materie prime, alle strategie alternative. L’approccio corretto è quello della selettività e della flessibilità, evitare di concentrare i propri investimenti in poche classi di attivo o stili di investimento.
È importante monitorare attentamente i mercati e adeguare le strategie di investimento in base all’evoluzione della situazione economica e finanziaria.
In ultimo, la nostra “barca più grande” è fatta anche da informazione e consapevolezza, ovvero restare informati sui rischi specifici e vigili nel controllo delle proprie emozioni, consapevoli che i nostri comportamenti sono più insidiosi di quanto accade sul mercato.
La combinazione di fattori macroeconomici e politici (quanto sta accadendo sotto la superficie nel mare della politica a Washington merita attenzione) e del rischio della compiacenza suggerisce che la seconda metà del 2025 potrebbe rivelarsi impegnativa per gli investitori. Un approccio cauto, informato e flessibile sarà fondamentale per navigare in questo contesto incerto.
Gli investitori accorti, soprattutto se seguiti in modo professionale, la barca più grande l’hanno già.
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