Nel capoluogo lombardo il 40% delle vendite di alloggi sopra il milione. Il «modello Ronaldo»: avrebbe dovuto al fisco italiano più di 43 milioni, se l’è cavata con 100 mila euro
L’Italia è tornata a crescere dello zero-virgola, come ha fatto per gran parte di questo secolo. Eppure c’è un angolo del Paese che viaggia ad una velocità diversa: il prezzo medio di vendita degli immobili di lusso nelle aree più pregiate di Milano fra il 2021 e il 2024 è salito del 57%, a quasi 27 mila euro a metro quadro.
Nella zona del quadrilatero della moda i prezzi sono saliti del 54% fino a un valore a metro quadro, 39 mila euro, sette volte più grande di quello medio degli immobili a Milano e diciotto volte più di quello medio del Paese (secondo il sito Mercato immobiliare). Forse è il portato inevitabile della globalizzazione, con i suoi paradossi: il risparmio si accumula soprattutto nella parte in assoluto più abbiente della società, non fosse che per i rendimenti superiori dei patrimoni quando questi sono grandi, fino a generare un’inflazione specifica dei beni dei ricchi.
Secondo Marco Tirelli, un importante intermediario di case di lusso a Milano — a cui si deve la stima sulla crescita di quello specifico settore — dal 2015 in città l’inflazione del mattone di livello medio-basso è stata del 7%, ma su quello medio-alto del 20%. Anche per la buona borghesia dunque la progressione è di poco più di un terzo, rispetto alla fascia altissima. Le distanze di allargano ovunque, in mille modi.
Eppure nella capitale economica d’Italia, ora che il suo modello immobiliare è all’attenzione della magistratura, queste distanze pongono domande anche più serie. Perché è noto che nella globalizzazione vincono i poli urbani che attraggono conoscenza, talenti, investitori, capitali. Paul Krugman, l’economista premio Nobel, lo chiama «effetto di agglomerazione». Succede quando una città assorbe cervelli e risorse verso di sé dal resto del Paese o del mondo: San Francisco per il digitale, Londra per la finanza o il biotech, Milano per l’Italia. Ma non solo per essa. Perché la gara della globalizzazione — è l’assioma da inizio secolo — la si vince conquistando le persone che più la incarnano.
Solo in Europa esistono una trentina di schemi per attrarre ricchi dal resto del mondo. E dal 2017, dapprima innescato dal governo di Matteo Renzi, anche l’Italia ha il suo: una «tassa piatta» a 100 mila euro per un quindicennio per chi ha aderito fino all’anno scorso, a 200 mila euro da quest’anno, su tutti i redditi esteri di contribuenti che prendono residenza in Italia. Basta essere stati fiscalmente fuori dai confini per nove degli ultimi dieci anni. Ovvio che servono redditi sostanziali all’estero, per trovare l’idea interessante.
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Quando si è trasferito alla Juventus nel 2018, Cristiano Ronaldo aveva un centinaio di milioni di redditi esteri grazie alle sponsorizzazioni. Avrebbe dovuto lasciare all’erario italiano più di 43 milioni (o una quindicina di milioni nei regimi più favorevoli d’Europa). Invece se l’è cavata con 100 mila euro, un’aliquota effettiva dello 0,1%. Non solo questo: lo stesso sistema esenta i «neo-residenti» da qualunque tassa su donazioni e successioni, dal prelievo fisso di 0,2% sugli investimenti esteri di portafoglio e dall’1% sugli investimenti esteri in immobili.
Vallo a spiegare ai milioni di italiani del ceto medio e medio-basso che stanno pagando 25 miliardi di tasse in più perché il (parziale) adeguamento di buste paga e pensioni all’inflazione li fa scivolare verso aliquote Irpef più alte, mentre il loro potere d’acquisto cala. Vai a capire, soprattutto, che effetto fa questo spicchio di paradiso fiscale all’italiana sul mercato immobiliare di una Milano intaccata dalle inchieste.
C’entra qualcosa il «sistema-Ronaldo» con quel più 57% sugli immobili di primissima fascia, ma soprattutto con il più 13% dei prezzi medi milanesi dal 2015 che pure taglia fuori troppe famiglie che lavorano? Il sistema dei «neo-residenti» dal 2018 al 2023 ha attratto nel Paese almeno 4.500 soggetti ad altissimo reddito — se si elaborano i dati della Corte dei conti e del dipartimento delle Finanze — e Tirelli, l’agente immobiliare per il settore di lusso, stima che circa due terzi si siano stabiliti proprio a Milano. Affittano o comprano. Di certo circa il 40% delle transazioni su case dal prezzo sopra il milione di euro nel Paese avviene proprio nella sua città più dinamica.
Secondo Tirelli, l’impatto al rialzo del paradiso fiscale all’italiana si avverte solo sul segmento immobiliare più alto, dominato per tre quarti dai nuovi ricchi ospiti della città. Altri non sono così sicuri che si fermi lì. Alcuni sospettano che l’effetto psicologico trascini al rialzo, per emulazione, buona parte delle quotazioni. Ingrid Hallberg, un’altra mediatrice di case di pregio, nota che gli afflussi dall’estero fanno risaltare ancora di più la scarsità di un’offerta di mattone che non riesce a tenere dietro alla domanda.
Perché in realtà il regime di favore fiscale non vale solo per i ricchi. Introdotta sempre da Renzi, ma mantenuto da tutti i governi (con variazioni), c’è anche l’esenzione del 70-50% dell’imponibile per chi era rimasto fuori dall’Italia per due o fino a quattro anni. Sono 128 mila soggetti con redditi medi di 112 mila euro nel 2023, secondo il dipartimento delle Finanze, anch’essi concentrati spesso su Milano. E investono in mattone ciò che risparmiano in tasse, tagliando fuori chi sulle tasse non può risparmiare.
È la lotta per salvare la demografia di un Paese che in dieci anni ha perso due milioni di abitanti, chiaro. Ma non era più sano fare invece qualcosa di più perché circa duecentomila giovani non debbano lasciare il Paese a causa di salari e mansioni di lavoro umilianti?
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