Una possibile stangata da quasi 2 miliardi di euro. Uno studio di Unimpresa definisce così la nuova tassa sulle aziende che fatturano più di 100 milioni di euro all’anno proposta dalla Commissione europea nell’ambito del bilancio 2028-2034. Questa imposta andrebbe a colpire una platea di quasi 3.500 società italiane.
Secondo il Centro Studi di Unimpresa, il gettito richiesto al sistema produttivo nazionale potrebbe raggiungere 1,8 miliardi l’anno, a fronte di un’aliquota ipotetica dell’1% sul volume d’affari, mentre con un’aliquota allo 0,5% il gettito calerebbe a 900 milioni.
Il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi, ha commentato così l’ipotesi dell’entrata in vigore della nuova tassa: “La misura rischia di penalizzare proprio i settori trainanti dell’economia italiana, già esposti a elevata pressione fiscale e rappresenta un serio ostacolo alla competitività delle imprese esportatrici e industriali. L’Italia, che si trova già a fronteggiare una pressione fiscale complessiva elevata (oltre il 43% del PIL), non può permettersi ulteriori oneri sulle sue imprese più grandi e dinamiche. In particolare, quelle che trainano le esportazioni, investono in innovazione e generano occupazione qualificata. La proposta della Commissione europea, così com’è formulata, rischia di gravare proprio su questi attori, alimentando un circolo vizioso di sfiducia e disinvestimento”.
La distribuzione territoriali delle grandi aziende
Le grandi imprese italiane non sono distribuite in maniera omogenea sul territorio nazionale. Secondo quanto riporta Unimpresa, la Lombardia da sola raccoglie il 32% delle aziende interessate, pari a oltre 1.100 imprese.
Seguono Emilia-Romagna (12%) e Veneto (10%), territori caratterizzati da un tessuto produttivo solido e fortemente orientato all’export. Anche il Lazio (9%) — grazie alla concentrazione di grandi gruppi energetici, assicurativi e pubblici — e il Piemonte (8%), con un comparto industriale ancora rilevante, presentano quote consistenti.
Anche regioni meridionali come Campania (5%) e Puglia (4%) contribuiscono alla platea delle imprese colpite, segno che la misura, se confermata, avrà un impatto nazionale e non solo concentrato nelle regioni più ricche.
Distribuzione settoriale
Quanto alla ripartizione settoriale, il comparto della manifattura industriale (meccanica, chimica, moda, metallurgia) rappresenta il segmento più numeroso, con circa 1.211 imprese coinvolte, pari al 35% del totale. Il peso di questo comparto è strategico per l’economia italiana e per la bilancia commerciale del Paese.
Seguono, a distanza, il settore energia e utilities, con 519 imprese (15%), il comparto delle costruzioni e infrastrutture, con 346 aziende (10%) e il mondo dei servizi finanziari e assicurativi, con altre 346 imprese (10%). Il restante 30% si distribuisce tra commercio e distribuzione, telecomunicazioni, agroalimentare e farmaceutica-biomedicale, tutti settori che contribuiscono significativamente al Pil e all’occupazione qualificata.
Dalla nuova tassa previste entrate per 6,8 miliardi di euro
La Commissione europea prevede che questa nuova tassa genererà 6,8 miliardi di euro in entrate. Tuttavia una delle criticità principali, oltre a quella di inasprire la pressione fiscale, è rappresentata dal fatto che il contributo sarà parametrato sul fatturato e non sugli utili. Un’impostazione che – se applicata in maniera uniforme – penalizzerebbe in particolare le imprese a margine operativo più basso e quelle che operano in Paesi già sottoposti a pressione fiscale elevata. Ed è proprio il caso dell’Italia.
Qualora dovesse venire confermata questa nuova imposta ci sono diversi scenari possibili, ma potremmo assistere ad una diminuzione degli investimenti o addirittura la delocalizzazione di importanti attività europee.
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