“Il messaggio che sta passando è molto sbagliato e pericoloso: far credere che la moda di lusso si regga sullo sfruttamento del lavoro è una distorsione che rischia di danneggiare tutta la filiera produttiva nazionale, paragonando la ‘moda’ di bassa qualità alla base di alta qualità. Il fenomeno è vero quanto è vero che è limitato”. A parlare è Carlo Capasa, presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana (Cnmi), intervenuto pubblicamente – nel corso della conferenza stampa dedicata gli annuali Cnmi Sustainable Fashion Awards – in risposta agli ultimi episodi di sfruttamento del lavoro emersi nel settore moda, l’ultimo dei quali ha riguardato Loro Piana, parte del colosso francese Lvmh, e al tipo di comunicazione adottata.
Secondo Capasa, i casi documentati – pur gravi e da combattere con determinazione – rappresentano una percentuale residuale rispetto alla totalità del sistema produttivo italiano: “Parliamo di un fenomeno che riguarda meno del 2% della produzione totale. È nostro dovere contrastarlo, ma non possiamo permettere che venga strumentalizzato per mettere in discussione l’integrità di un comparto che dà lavoro a oltre 600mila persone in Italia, di cui secondo l’Istat solo 30mila sono irregolari, e che rappresenta un modello di qualità e trasparenza nel mondo”.
Dopo i recenti provvedimenti di commissariamento adottati dalla magistratura in alcuni casi (negli ultimi mesi erano emersi i nomi di Giorgio Armani, Dior, ed Alviero Martini Spa*) Capasa, pur senza fare dei nomi, ha voluto chiarire anche il ruolo delle aziende coinvolte: “Qualcuno ci ha detto quanti capi ci sono? A volte vengono trovati (dalla la Guardia di Finanza, ndr.) centinaia o migliaia di capi, su milioni prodotti. Sarebbe utile sapere quali sono allora le percentuali esatte. Se emerge che i controlli del brand non sono stati sufficienti, può essere nominato un commissario. Ma questo non significa che il brand sia complice o responsabile diretto. Anzi, spesso è proprio il primo danneggiato. È mai stato denunciato un brand o un CEO? No, il commissariamento è una interpretazione della legge sul caporalato”.
Cnmi ha firmato un protocollo con le autorità per aumentare la trasparenza nei controlli e per promuovere una collaborazione attiva tra imprese e istituzioni. “Siamo i primi a voler espellere dal mercato quei pochi laboratori illegali che non devono avere spazio nella nostra filiera. Il protocollo prevede un percorso chiaro: individuare le criticità e intervenire, insieme”.
Capasa mette poi in guardia contro una comunicazione ‘distorta’, che tende a generalizzare: “Dire che ogni capo ‘costa zero’ è falso e fuorviante. A chi conviene fare una campagna fortissima in questo senso? Di certo non al brand, che non ci guadagna. Significa discreditare un intero sistema e un Paese che, al contrario, è il primo produttore al modo di moda di alta qualità. È una narrazione che finisce per colpire proprio chi da anni lotta contro il vero sfruttamento, spesso presente invece in altri Paesi, dove, ad esempio, il fast fashion è radicato”.
Non manca infine un richiamo alla responsabilità anche per il mondo politico. “L’industria della moda non ha potere politico – conclude Capasa -. Lo dico perché recentemente ho letto dichiarazioni e interrogazioni parlamentari che mi preoccupano perché sono divisive. Perché cercano di dividere imprenditori e lavoratori, piccoli e grandi imprenditori. Attenzione: non facciamo questo errore. Il sistema produttivo italiano è il vero fiore all’occhiello del made in Italy. Se si spezza la filiera, perdiamo tutti. E qualcuno potrà domandarsi: ‘Perché devo restare in Italia a produrre i miei capi? Perché devo rischiare di essere attaccato se la mia azienda è sana?’ Quindi io dico alle forze politiche: smettete di essere divisivi, senza cercare visibilità o ritorni elettorali. La moda italiana non è divisibile. Ci giochiamo una filiera importante”.
* Articolo modificato il 24 luglio 2025 alle 14:45
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