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Investimenti cinesi: apertura strategica per l’UE, ma con regole chiare


Non ci si aspettano svolte significative dal vertice UE–Cina di oggi (24 luglio), segnato da tensioni strutturali legate alla sovracapacità industriale, alla guerra d’aggressione russa e alle reciproche imposizioni tariffarie su veicoli elettrici (EV) e brandy.

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Arthur Leichthammer è un esperto di geoeconomia presso il Jacques Delors Centre, dove si occupa di sicurezza economica dell’UE e politica commerciale. In precedenza, ha lavorato come analista di rischio politico per una società globale di intelligence.

L’atteggiamento sempre più cauto di Bruxelles verso Pechino riflette preoccupazioni legittime. Le sovracapacità industriali cinesi, alimentate da decenni di politiche industriali aggressive, rappresentano una minaccia strutturale per settori strategici dell’UE, dal clean tech alla manifattura avanzata. Per contenere il rischio, misure mirate di difesa commerciale sono fondamentali. Tuttavia, in un contesto di crescente attenzione ai flussi commerciali, un ambito rimane sottovalutato: gli investimenti diretti esteri (IDE).

Pur restando ben al di sotto dei livelli di dieci anni fa, i flussi di IDE cinesi verso l’Europa sono risaliti a 10 miliardi di euro nel 2024, con un incremento del 47% rispetto all’anno precedente. Una quota significativa è concentrata lungo la catena del valore dei veicoli elettrici, incluse le batterie. Negli Stati Uniti, al contrario, gli IDE cinesi non hanno superato i 2 miliardi di euro, riflettendo una divergenza strutturale: Washington ha chiuso la porta, mentre l’UE è rimasta aperta.

Una scelta saggia. Se accompagnata da dazi anti-sussidi mirati, l’apertura agli IDE cinesi può offrire vantaggi tangibili: creazione di posti di lavoro, trasferimento tecnologico e scambio di competenze specialistiche. Nel settore EV, le imprese cinesi sono leader in ambiti come il design, l’integrazione software e la produzione efficiente di batterie. Esporsi a queste competenze può rafforzare la competitività europea, abbattere i prezzi, accelerare l’innovazione e sostenere la transizione verde.

Ma questi benefici non sono garantiti. Gli investimenti possono diventare un canale per eludere le misure difensive, ad esempio tramite la creazione di “fabbriche cacciavite” in Europa – impianti che assemblano componenti pre-costruiti mantenendo le attività ad alto valore in Cina. Questo comprometterebbe l’efficacia dei dazi anti-sussidio senza generare valore industriale nel territorio europeo.

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Inoltre, persistono timori di concorrenza sleale: le imprese cinesi sostenute dallo Stato possono permettersi perdite in Europa grazie ai sussidi domestici, mettendo fuori mercato i concorrenti europei. A questi timori si aggiungono rischi per la sicurezza, soprattutto legato agli EV smart, dotati di sensori avanzati e capacità di elaborazione dati.

Rimanere aperti agli IDE cinesi ha senso strategico per l’UE. Ma l’apertura incondizionata è una vulnerabilità. Per trasformare questi investimenti in un asset strategico, l’UE deve dotarsi di un quadro normativo chiaro a tutela degli interessi economici e di sicurezza. Tre le sfide principali da affrontare.

In primis, garantire la creazione di valore locale. Laddove siano già in vigore misure anti-sussidio o anti-dumping, la Commissione europea deve applicare con rigore le regole contro l’elusione, imponendo dazi retroattivi se oltre il 60% dei componenti è importato o se il valore aggiunto locale è inferiore al 25%.

Un passo successivo logico sarebbe estendere il controllo anti-sussidio agli input a monte, come le batterie, che rappresentano il 30-40% del valore di un EV. Alla luce delle prove della Commissione su sovvenzioni statali lungo la filiera, un’indagine sulle batterie importate sarebbe giustificata. Qualora vincoli politici o mancanza di consenso ostacolassero questa opzione, l’UE dovrebbe utilizzare le clausole di sostenibilità per privilegiare la produzione europea, escludendo dalle agevolazioni o dagli appalti le aziende che non rispettano determinati standard ambientali. In ogni caso, il sostegno pubblico avrebbe vincolato a Ricerca e Sviluppo (R&S) locale, formazione della forza lavoro e integrazione nella catena di fornitura, anche attraverso joint venture (imprese congiunte) o accordi di licenza per assicurare la creazione di valore duraturo in Europa.

Secondo, tutelare la concorrenza attraverso il Regolamento europeo sulle sovvenzioni estere (FSR). Il FSR consente alla Commissione di indagare su imprese straniere che ricevono sussidi statali distorsivi. In caso di conferma, può imporre rimedi severi: dismissioni forzate, limitazioni di accesso al mercato o sanzioni economiche. Per conciliare concorrenza leale e attrattività degli investimenti, lo strumento va usato in modo strategico e trasparente.

Terzo, rafforzare il coordinamento sullo screening di sicurezza nazionale. La Commissione dovrebbe definire criteri chiari per i rischi legati a dati e infrastrutture, lavorando verso un toolbox armonizzato a livello UE. Considerata la natura transfrontaliera dei veicoli, è essenziale che gli Stati membri allineino i protocolli di cybersicurezza e le restrizioni sui dati, migliorando la sicurezza e offrendo certezze agli investitori.

Mentre le attuali condizioni politiche limitano una distensione complessiva con Pechino, gli IDE restano un’area in cui una cooperazione pragmatica è ancora possibile. Ma per garantire benefici duraturi, essa deve poggiare su condizioni rigide e applicabili.

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