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La causa per danni climatici: la decisione della Cassazione


La Corte di Cassazione ha segnato una svolta epocale nella giurisprudenza italiana in cui si potrà intentare una causa per danni climatici, aprendo ufficialmente la porta ai contenziosi climatici contro le grandi aziende inquinanti e lo Stato. Con una sentenza definita storica dalle organizzazioni ambientaliste, i giudici hanno stabilito che il tribunale civile di Roma è competente a giudicare la causa intentata da Greenpeace Italia, ReCommon e dodici cittadini contro Eni, il Ministero dell’Economia e Cassa Depositi e Prestiti.

L’accusa: non aver rispettato gli impegni internazionali sulla riduzione delle emissioni climalteranti. Per la prima volta in Italia, i diritti umani minacciati dalla crisi climatica sono stati riconosciuti come superiori alla libertà d’impresa, aprendo la strada a una possibile condanna di una delle maggiori multinazionali italiane per danni ambientali.

La giustizia italiana apre le porte al clima

Con una decisione storica, la Corte di Cassazione ha stabilito che la giustizia ordinaria può occuparsi dei danni provocati dal cambiamento climatico. Questa sentenza segna un punto di svolta per il nostro ordinamento in materia di ogni causa per danni climatici: per la prima volta, le richieste di risarcimento ambientale non solo sono considerate legittime, ma possono coinvolgere anche soggetti come aziende energetiche e i loro azionisti pubblici.

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Il procedimento in questione ha origine nel maggio del 2023, quando Greenpeace Italia, ReCommon e dodici cittadini hanno citato in giudizio Eni, il Ministero dell’Economia e la Cassa Depositi e Prestiti. L’accusa: aver contribuito al riscaldamento globale attraverso strategie industriali incompatibili con gli obiettivi internazionali sul clima. La richiesta era duplice: ottenere la riduzione delle emissioni da parte dell’azienda e ottenere un risarcimento per i danni, patrimoniali e non, già subiti o previsti.

Il nodo della giurisdizione

In fase preliminare, i convenuti avevano messo in dubbio la competenza dei tribunali ordinari su una questione che ritenevano politica. Ma la Cassazione, con la sentenza n. 20381/2025, ha riconosciuto il pieno diritto dei cittadini e delle associazioni a intentare azioni legali quando gli effetti del cambiamento climatico si manifestano sul territorio nazionale. In altre parole, il danno ambientale è giuridicamente perseguibile, anche quando coinvolge soggetti privati e pubblici.

Questa svolta italiana si inserisce in un contesto internazionale più ampio. Proprio poche ore dopo il verdetto di Roma, anche la Corte internazionale di giustizia dell’Aia ha stabilito che gli Stati hanno l’obbligo giuridico di rispettare i trattati sul clima. Il mancato rispetto può generare contenziosi tra nazioni. A fare eco al caso italiano è anche il celebre processo contro Shell nei Paesi Bassi, dove una sentenza del 2021 obbligava la compagnia petrolifera a ridurre le proprie emissioni, sebbene tale decisione sia poi stata temporaneamente ribaltata in appello.

Le accuse a Eni e allo Stato

Nel caso italiano, Greenpeace e gli altri ricorrenti hanno accusato Eni di aver emesso nel solo 2022 circa 419 milioni di tonnellate di CO₂, contribuendo per lo 0,6% alle emissioni globali industriali. L’azienda, secondo i promotori della causa, avrebbe agito in modo incoerente rispetto all’Accordo di Parigi, adottando un piano di decarbonizzazione giudicato inadeguato. Il piano prevede infatti una riduzione delle emissioni solo del 35% entro il 2030, obiettivo ben lontano dalle raccomandazioni della comunità scientifica.

Eni ha difeso la propria posizione rivendicando il diritto di determinare la propria strategia industriale, come garantito dall’articolo 41 della Costituzione. La Cassazione ha ricordato che la libertà d’impresa non può prevalere sull’interesse collettivo, sulla salute e sull’ambiente. Le attività economiche non possono arrecare danno alla collettività né minacciare diritti fondamentali come quello alla vita o alla sicurezza.

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Una pronuncia che cambia le regole del gioco

Il pronunciamento della Cassazione sulla causa per danni ambientali ha ribadito che anche un soggetto privato può essere chiamato a rispondere in tribunale per la sua responsabilità ambientale. Eni, in quanto impresa partecipata dallo Stato, dovrà ora affrontare il processo davanti al Tribunale di Roma, che deciderà nel merito se condannarla a una riduzione vincolante delle emissioni.

Le organizzazioni ambientaliste hanno accolto con entusiasmo il pronunciamento. Secondo ReCommon, la sentenza dimostra che è possibile fare valere in Italia i diritti ambientali e ottenere che le aziende fossili siano obbligate ad agire. «Non è un’invasione nelle competenze politiche», ha dichiarato uno degli avvocati coinvolti nel caso, «ma una tutela necessaria dei diritti umani minacciati dalla crisi climatica».

Eni, dal canto suo, ha reagito con una dichiarazione diffusa dalla Rai, affermando che il processo sarà l’occasione per “smontare i teoremi infondati” degli ambientalisti. Intanto, ha anche intrapreso azioni legali contro ReCommon e Greenpeace per le campagne di comunicazione legate alla causa, in quello che gli attivisti definiscono un tentativo di intimidazione noto come SLAPP (Strategic Lawsuit Against Public Participation).

La sentenza della Cassazione sulla causa per danni ambientali apre dunque la strada a future azioni legali simili. Il diritto di chiedere giustizia per i danni climatici, sancito ora anche in Italia, potrebbe diventare uno strumento fondamentale per accelerare la transizione ecologica. Il Tribunale di Roma dovrà ora pronunciarsi sui contenuti, ma il messaggio è chiaro: le imprese che inquinano non sono più intoccabili.

Lucrezia Agliani



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