Nel 2011, un evento apparentemente locale – un’alluvione disastrosa in Thailandia – ha paralizzato l’intera catena di produzione globale dell’elettronica. L’acqua, che ha raggiunto livelli record in 50 anni, ha sommerso interi impianti industriali, bloccato la produzione di dischi rigidi e semiconduttori, e fatto schizzare i prezzi.
È stato un campanello d’allarme per aziende e investitori: una singola interruzione può propagarsi a cascata, impattando settori interi e facendo crollare le performance aziendali e i margini di profitto.
La lezione non è stata imparata
A più di dieci anni di distanza, molte aziende sembrano aver dimenticato quella lezione. Le catene di fornitura globali restano fragili, dipendenti da singole aree geografiche, e poco preparate ad affrontare eventi estremi come incendi, alluvioni, siccità o cicloni. Con il cambiamento climatico che accelera e rende più frequenti gli shock meteorologici, il rischio per le aziende – e per gli investitori – è destinato ad aumentare.
Secondo uno studio della Banca Centrale Europea, le perdite economiche legate agli eventi climatici, una volta integrati gli effetti indiretti sulla catena di approvvigionamento, potrebbero essere fino a 30 volte superiori rispetto a quelle provocate dagli impatti diretti. Una cifra che lascia poco spazio all’ottimismo.
I tre fattori che espongono le catene di fornitura
Ci sono tre motivi fondamentali per cui le catene di approvvigionamento globali sono particolarmente vulnerabili agli eventi climatici:
1. Dipendenza da regioni ad alto rischio
Molte aziende si affidano a fornitori in aree del mondo particolarmente esposte a rischi ambientali. Pensiamo al Bangladesh, con le sue inondazioni croniche, o all’Africa sub-sahariana, afflitta da siccità sempre più intense. Anche l’America Centrale, spesso colpita da uragani, è una zona ad alto rischio.
2. Infrastrutture fragili e obsolete
Molti nodi critici della logistica globale – porti, aeroporti, strade, reti ferroviarie – non sono progettati per resistere a eventi estremi. I porti cinesi di Shanghai e Ningbo, ad esempio, perdono già oggi diversi giorni all’anno a causa di venti estremi, una cifra che, secondo le previsioni, aumenterà significativamente nei prossimi anni.
3. Concentrazione geografica di componenti strategici
Alcuni settori chiave – come quello dei semiconduttori, delle terre rare o dei metalli critici – dipendono da una manciata di paesi produttori. Una sola disruption può bloccare intere filiere industriali: basti pensare a Taiwan per i chip, alla Cina per le terre rare o al Sud America per il litio.
I settori più esposti ai rischi climatici
Non tutte le aziende sono colpite allo stesso modo. I settori più vulnerabili sono quelli che dipendono da:
- Catene globali complesse e frammentate
- Materie prime sensibili a fenomeni climatici
- Infrastrutture fisiche estese
Ecco i comparti più a rischio:
- Materiali: minerari, chimici e metalli industriali
- Beni di consumo di base: alimentari e bevande
- Beni discrezionali: auto, moda, arredamento
- Tecnologia: hardware, semiconduttori, elettronica
- Industria: componentistica, macchinari, edilizia
Le aziende sono impreparate
Secondo un’indagine di S&P Global, meno del 10% delle imprese ha indicato la gestione della supply chain come un rischio climatico rilevante. Solo una su cinque ha predisposto un piano formale di adattamento, con mappatura dei rischi fisici e piani di risposta alle interruzioni. È un livello di consapevolezza sorprendentemente basso, soprattutto per aziende quotate e globali.
Dove c’è resilienza, c’è opportunità
Per gli investitori, questo scenario rappresenta un doppio livello di rischio e opportunità. Le aziende che anticipano il problema e costruiscono catene di fornitura più resistenti possono ottenere un vantaggio competitivo duraturo.
Secondo Oxford Economics, i portafogli con esposizione più bassa ai rischi indiretti climatici tendono a ottenere rendimenti più alti nel lungo periodo.
Cosa valutare in ottica d’investimento
🔄 Approvvigionamento alternativo
Cerca aziende che stanno già diversificando la loro catena di fornitura. Quelle che dipendono da un solo impianto o paese per componenti critici sono vulnerabili. Meglio chi ha backup in aree meno esposte.
🔧 Trasformazione logistica
Alcune aziende stanno accorciando le supply chain, internalizzando la produzione o creando reti più distribuite. Questo comporta investimenti iniziali, ma migliora la resilienza.
⛏️ Sicurezza delle risorse
Le aziende che si stanno già assicurando accesso a materie prime essenziali – ad esempio per batterie, auto elettriche o transizione energetica – avranno un vantaggio competitivo nei prossimi 10 anni.
Le domande giuste da porsi come investitori
Quando analizzi una società, chiediti:
- I manager conoscono i rischi climatici della loro supply chain?
- Hanno mappato fornitori critici e vulnerabilità?
- Esistono piani di backup credibili?
- Hanno effettuato investimenti specifici per rafforzare la resilienza logistica?
Se le risposte sono vaghe o reticenti, potresti trovarti davanti a un titolo più fragile di quanto sembri.
Conclusione: un nuovo paradigma per il rischio climatico
Il cambiamento climatico non impatta solo le attività dirette delle aziende, ma colpisce in profondità le reti su cui si fondano. E oggi, in un mondo in cui ogni business è interconnesso, una catena di fornitura più solida è un vero asset competitivo.
Le tensioni geopolitiche, la corsa alla sicurezza energetica e la transizione ecologica stanno già riscrivendo la geografia industriale. Ma sono gli eventi fisici – alluvioni, incendi, cicloni – a rappresentare le mine più pericolose sotto i bilanci aziendali. Chi si prepara oggi, domani guiderà.
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