Roma, 23 luglio 2025 – La bozza c’è, l’intesa non ancora: tra Ue e Usa si profila un accordo su dazi al 15%, ma nessuno è in grado di sapere se l’operato dei negoziatori verrà confermato da Donald Trump, come tutto lascerebbe pensare se non ci trovassimo di fronte all’attuale presidente Usa.
A tarda sera è questo il risultato di una giornata convulsa, nella quale nel pomeriggio inoltrato, prima il Financial Times e via via successivamente fonti di Bruxelles e fonti di Washington hanno confermato il possibile esito della trattativa. Anche se dalla capitale dell’Europa si fa sapere che è pronto il contropiano da 93 miliardi di euro, come è pronto addirittura il bazooka contro le Big Tech nell’ipotesi che tutta l’operazione alla fine salti: il che significherebbe una guerra commerciale in piena regola. Ma anche il 15% sarebbe una botta dura per l’Italia: gli economisti del centro studi di Confindustria stimano un costo da 23 miliardi di euro.
La bozza di accordo
Sul tavolo di Donald Trump nelle prossime ore dovrebbe finire uno schema di accordo che prevede una tariffa unica del 15% come base, con diverse esenzioni reciproche da mettere a punto. A fare da apripista è l’intesa tra Usa e Giappone, che la Commissione ha illustrato ai Rappresentanti Permanenti dei 27 ricevendo un sostanziale consenso di principio. Il perno della bozza dell’intesa è quel 15% che, tra i 27 Paesi Ue, è ritenuto sostanzialmente accettabile. Anche perché produrrebbe un automatico abbassamento delle attuali tariffe su alcuni settori chiave, come quello dell’automotive, oggi gravato da una tariffa al 27,5%.
La percentuale del 15% si conterebbe includendo la cosiddetta clausola della Nazione più favorita (Mfn), che ha portato finora a tariffe medie reciproche del 4,8%. In sostanza dal 15 si scenderebbe intorno al 10 per cento, che è la soglia ritenuta accettabile fin dall’inizio. Ma sulle esenzioni la trattativa è aperta e l’attenzione delle 27 capitali è altissima. Tra i settori che potrebbero salvarsi l’aeronautica, i prodotti agricoli, gli alcolici, il legname e i dispositivi medici.
Non è chiaro se, a corredo dell’intesa e seguendo il modello nipponico, da Bruxelles ci sia un impegno chiaro sugli investimenti industriali oltreoceano. È invece chiaro, spiegano fonti brussellesi, che Trump non intende abbassare la tariffa sull’acciaio, ora al 50%.
Altro nodo è quello delle Big Tech e del rispetto, da parte delle multinazionali Usa, del Digital Service Act e del Digital Market Act. Non a caso, in un post, il Dipartimento di Stato americano ha definito la regolamentazione dei social media e di altre piattaforme online in Ue come una censura “orwelliana”.
Il bazooka europeo
Certo è che siamo sul finale della trattativa e l’Europa è pronta a tutto. Non è un caso che Palazzo Berlaymont abbia deciso di unire le due liste di controdazi finora messe in campo: la prima, come risposta alle tariffe americane su acciaio e alluminio, da 21 miliardi; la seconda, messa a punto dopo il Liberation Day, da 72 miliardi.
Nelle prossime ore il Comitato per le barriere commerciali approverà la lista unica, che non entrerà in vigore fino al prossimo 7 agosto. A determinare il cambio di passo dell’Ue è tuttavia un altro fattore: l’emergere di “un’ampia maggioranza qualificata” tra i 27 sull’attivazione dello Strumento anti-coercizione, il cosiddetto bazooka.
La Francia, nel corso del Coreper II, ha chiesto l’istituzione immediata dello strumento, sul quale l’Italia ha tradizionalmente richiamato alla cautela. La richiesta di Parigi non ha avuto seguito ma tra i 27 ha prevalso la linea secondo cui, in caso di no deal e con i dazi quindi al 30, il bazooka sarà attivato. Il che vuol dire attivazione di misure come dazi, restrizioni su investimenti e servizi, esclusione da appalti pubblici e persino la revoca di diritti di proprietà intellettuale.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link