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storie di imprese che puntano sull’innovazione e sull’export digitale


Nell’immaginario collettivo, l’industria dei pezzi di ricambio auto si associa spesso a officine polverose, magazzini stipati e un certo sapore di passato. Eppure, in Campania, questo settore antico sta vivendo una metamorfosi silenziosa, e in parte sottovalutata, fatta di piccole imprese che hanno deciso di aggiornarsi e puntare a nuovi mercati.

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Un tessuto di microimprese che non molla

I numeri raccontano un quadro di resistenza e di rinnovamento: nella regione operano circa 445 aziende attive lungo la filiera dei ricambi, dai demolitori agli artigiani che rigenerano componenti destinati a una seconda vita. La stragrande maggioranza di queste realtà ha meno di dieci dipendenti. Eppure, nonostante le dimensioni ridotte, contribuiscono a un segmento produttivo che mantiene vive competenze preziose e crea valore sul territorio.

La concorrenza sleale che erode la fiducia

Chi lavora nel settore, però, conosce bene il peso della concorrenza sleale. Dall’esterno si pensa che il problema sia solo un’ombra laterale, un fastidio episodico. Ma chi apre ogni giorno la serranda sa che il mercato nero dei ricambi contraffatti, delle vendite abusive e delle filiere grigie prosciuga quote di fatturato e logora la fiducia dei clienti. A questo si aggiungono regole ambientali complesse, spesso pensate con buone intenzioni ma calate dall’alto senza un dialogo concreto con gli operatori.

Il paradosso dei ricambi rigenerati

È il caso, ad esempio, dei limiti all’esportazione di ricambi rigenerati, che le dogane classificano come “rifiuti speciali” anziché prodotti. Una scelta che frena l’export e obbliga i piccoli imprenditori a incartare sogni e merce insieme. Eppure, paradossalmente, queste stesse imprese svolgono una funzione di “motore verde” dell’economia circolare: ogni anno recuperano tonnellate di metalli, plastiche e componenti che altrimenti finirebbero in discarica.

L’export digitale come opportunità concreta

Eppure qualcosa si muove. Lo dicono anche i dati più recenti sul commercio digitale: secondo le ricerche del Politecnico di Milano, l’export online B2B di beni italiani ha toccato quota 175 miliardi di euro, con l’automotive in testa. Non è più un miraggio, insomma, che un ricambista di Avellino o Casoria possa vendere componenti rigenerati a un cliente polacco o tedesco con un clic.

Le opportunità, per una volta, hanno un volto concreto: voucher pubblici, fondi a fondo perduto, sportelli Unioncamere, consulenze gratuite su come costruire un e-commerce professionale. In Campania si stanno già sperimentando percorsi di accompagnamento all’export digitale, e i primi risultati dimostrano che anche le microimprese possono conquistare nicchie di mercato estero.

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Un patto per un settore che merita fiducia

Ma serve visione. E serve, soprattutto, fiducia. Fiducia che il settore dei pezzi di ricambio auto non sia destinato a restare inchiodato ai cliché degli anni Ottanta. Che dietro ogni piccolo capannone ci siano storie di professionalità, di giovani che provano a innovare, di imprenditori che scelgono di restare in regola anche quando conviene poco. Forse, per cambiare davvero, serve un patto, oltre ai 50 milioni di euro previsti dal bando “Step”. Istituzioni più vicine, burocrazia meno asfissiante, e un riconoscimento pubblico di chi fa la sua parte ogni giorno, spesso in silenzio. Perché l’economia locale campana si regge anche su queste imprese invisibili, che trasformano le diffi





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