La Bce arriva alla riunione di oggi in un contesto caratterizzato crescente incertezza economica e tensioni commerciali con gli Stati Uniti, che potrebbero però risolversi nei prossimi giorni. Dopo una serie di otto tagli dei tassi di interesse consecutivi, che hanno riportato il saggio sui depositi al 2% e quello sulle operazioni di rifinanziamento principale al 2,15%, il meeting di luglio non dovrebbe portare a nuovi interventi. Tuttavia assume un’importanza strategica per orientare le attese degli investitori, delle imprese e dei mercati finanziari europei sulle prossime mosse della Banca centrale europea. Saranno importanti, in particolare, le parole che la governatrice Christine Lagarde pronuncerà nel coso della conferenza stampa e che saranno attentamente soppesate, alla ricerca di segnali, impliciti o espliciti, sulla possibile riduzione in settembre.
Attese alte per Lagarde: i segnali che i mercati aspettano
Gli analisti di IG e Carmignac confermano come altamente improbabile che la Bce effettui un nuovo taglio dei tassi nella riunione di oggi. La probabilità è scontata dai mercati e su questo fronte non dovrebbero esserci reazioni. L’attenzione resta massima sul linguaggio del comunicato e sulla conferenza stampa di Christine Lagarde. Come ha sottolineato Michele Sansone, country manager di iBanFirst Italia, “la strategia più saggia sembra essere quella dell’attesa”. Due i principali fattori di cautela: da un lato, la tensione commerciale con gli Stati Uniti ancora da risolversi e il rischio tuttora presente che i dazi possano aumentare fino al 50% se non verrà siglato un accordo entro il 1° agosto. Dall’altro, i segnali di rallentamento dell’economia dell’eurozona, in particolare nel settore dei servizi. Oggi peraltro vengono diffusi gli indici Pmi preliminari di luglio, manifatturiero e terziario. “In un contesto così instabile, prevedere la traiettoria dell’inflazione diventa un esercizio ad alto margine d’errore” aggiunge Sansone.
Lo scenario è tale che ogni dato macroeconomico può fare la differenza nelle scelte della Bce. Kevin Thozet, membro del comitato investimenti di Carmignac, evidenzia come l’inflazione dei beni primari e dei servizi, pur in moderata discesa, resti al di sopra del target, mentre i rischi deflazionistici non sono ancora del tutto esclusi, soprattutto se i dazi Usa dovessero diventare effettivi.
Il messaggio chiave della Bce rimarrà quello della “data-dependence”: ogni decisione verrà presa in base ai dati in arrivo, senza un percorso predeterminato. Una condizione che, se da un lato aumenta la flessibilità della Banca centrale, dall’altro mantiene elevata l’incertezza nei mercati, dove ogni parola può spostare asset allocation e strategie di copertura.
L’euro forte che non piace troppo
Nel bagaglio pesante di incertezze che Christine Lagarde deve trascinarsi dietro, si aggiunge il rafforzamento dell’euro, cresciuto del 12% rispetto al dollaro da inizio anno, un fattore che incide negativamente su esportazioni e crescita. Un tono accomodante potrebbe pesare sull’euro, mentre un approccio più bilanciato o lievemente hawkish potrebbe offrire un supporto tecnico alla valuta, con implicazioni anche per i flussi di portafoglio degli investitori.
Anche David Chappell, senior Fixed income portfolio manager di Columbia Threadneedle Investments sottolinea come il rallentamento economico, la tenuta dell’euro e la fragilità dei consumi impongano cautela.
Settembre e oltre: cosa aspettarsi per tassi, euro e portafogli
Gli analisti vedono probabile un ulteriore taglio dei tassi entro la fine dell’anno, ma avvertono che la Bce potrebbe trovarsi di fronte a un bivio: scegliere se difendere la crescita o consolidare la credibilità costruita faticosamente negli ultimi anni. Il quadro macroeconomico suggerisce una pausa strategica, in attesa che le trattative commerciali con Washington si definiscano e che i dati su salari, inflazione e occupazione forniscano indicazioni più chiare.
La probabilità di un taglio dei tassi in settembre è ora stimata dagli analisti intorno al 50%. Il combinato disposto di un euro forte, una crescita salariale in frenata e il rischio di un’inflazione sotto target giustifica l’ipotesi di un ulteriore allentamento. Secondo Filippo Diodovich, senior market strategist di IG Italia, se le tensioni sui dazi non si risolvessero positivamente e l’economia non mostrasse segnali di ripresa, il tasso sui depositi potrebbe scendere fino all’1,5% entro fine anno.
In questo scenario le preferenze di allocazione dei portafogli si stanno progressivamente spostando verso strumenti più difensivi e diversificati: titoli di Stato a breve scadenza, obbligazioni indicizzate all’inflazione, ETF obbligazionari e fondi multi-asset con approccio dinamico. La posizione ribassista sul dollaro, dettata dalla crescente pressione politica sulla Fed e dalle tensioni commerciali, favorisce inoltre un parziale ribilanciamento verso asset europei, tra cui spiccano i bond corporate investment grade e i governativi periferici.
Preferire l’euro all’interno di una strategia valutaria prudente, aumentare l’esposizione a duration medie e prepararsi a un potenziale irripidimento della curva se i tagli arrivassero accompagnati da misure fiscali espansive.
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