Roma – Carne “sintetica” vs Carne “naturale”. DATI a confronto. Occupazione e territorio vs investimenti multinazionali. INFOGRAFICHE
Stesso nome, due cose diverse: la carne ‘naturale’ per come è conosciuta nella sua stessa accezione del termine e quella ‘sintetica’ prodotta in laboratorio attraverso la generazione di cellule staminali.
Confronto alla Camera tra il presidente della Coldiretti Ettore Prandini e il deputato di Più Europa Benedetto Della Vedova per sviscerare attraverso il dialogo e l’aiuto di esperti del settore per varie competenze specifiche tutti gli aspetti positivi e negativi della carne sintetica rispetto alla carne naturale.
CARNE SINTETICA VIENE SPESSO DEFINITA ‘COLTIVATA’ USANDO TERMINE DERIVANTE DA MONDO AGRICOLO CHE RIMANDA A PRODOTTO DELLA TERRA CRESCIUTO CON IL LAVORO DELL’UOMO
La carne in provetta – spesso definita ‘coltivata’ usando un tipico termine appartenente al mondo agricolo che rimanda a un prodotto della terra cresciuto attraverso l’aiuto dell’uomo – è stata al centro del confronto-dialogo tra Prandini e Della Vedova.
Zootecnia, un settore da sviluppare e da tutelare a fronte anche del profilarsi sui mercati -per ora extra Ue- della carne sintetica. Una partita che per la nostra nazione si gioca su più fronti. Il primo e più importante che riguarda la salute dei cittadini, da cui muove il principio di precauzione adottato dall’Italia, primo paese al mondo a vietare la produzione e commercializzazione della carne sintetica in assenza di dati scientifici certi. Il secondo punto è quello inerente all’intera filiera agroalimentare e zootecnica che correrebbe il rischio di essere indebolita sul versante economico e del lavoro, mettendo a rischio imprese e occupazione. Terzo punto riguarda la perdita di distintività legata ad un prodotto, la carne sintetica, a cui verrebbe a mancare la qualità e il valore aggiunto del marchio made in Italy.
LA CARNE SINTETICA
Sul piatto sembrerebbe ci sia non solo la Sicurezza alimentare globale ma un vero e proprio gioco di potere mondiale legato al Food la cui partita si giocherà nei prossimi anni e che parte proprio dai dossier che oggi sono all’attenzione dei tavoli europei.
Si prevede una crescita graduale e costante che porterà nel 2040 i consumi mondiali di carne sintetica e alternative vegetali al 60% (suddivisi rispettivamente al 35% e 25%), mentre solo il 40% sarà il mercato destinato alla carne naturale. Ma già nel breve-medio periodo lo scenario si fa preoccupante per il settore zootecnico, le stime prevedono infatti che più di un quarto del mercato (il 28%) nel 2030 sarà in mano alla fake meat.
CARNE SINTETICA, OLTRE 3,1 MILIARDI DI INVESTIMENTI DAL 2013
Se questo è il panorama, che sempre più dati confermano, si capisce l’enorme interesse che multinazionali e Paesi rivolgono al settore, che da qui a qualche anno promette di stravolgere il mercato, cambiando di conseguenze le forze in gioco. Sono oltre 3,1 miliardi di dollari gli investimenti in carne sintetica dal 2013 ad oggi. Nel solo 2023 ammontavano ad oltre 225 milioni dollari.
CARNE SINTETICA: USA, ISRAELE E OLANDA LE NAZIONI CHE INVESTONO DI PIU’
Gli Usa si attestano come i maggiori investitori in carne sintetica, con oltre 1,3 miliardi di sterline (che significa oltre il 60% degli investimenti globali, più di tutti gli altri paesi messi assieme). Non stupisce allora nemmeno la recente approvazione da parte della Food and Drug Administration (FDA) statunitense al consumo di carne prodotta in laboratorio.
Nelle restanti posizioni troviamo i soliti nomi noti: Israele, Paesi Bassi, Singapore, Regno Unito. Israele (al secondo posto con oltre 474 milioni di sterline investiti) è difatti uno dei paesi leader in start up e innovazione sul cibo sintetico, basti ricordare che israeliana è l’azienda Remilk, la stessa che vuole produrre latte senza mucche e che mira ad eliminare dalla dieta alimentare il cibo di origine animale.
E sul tavolo c’è un piatto molto ricco: l’approvvigionamento alimentare globale con tutte le conseguenti ricadute economiche.
CARNE SINTETICA, I BREVETTI
Ma a chi appartengono i brevetti nell’industria della carne coltivata? I dati ci dicono che solo 3 aziende su 10 sono europee, mentre le restanti società hanno sede in Asia, Israele o negli Stati Uniti. Ciò significa che la maggior parte delle domande di brevetto europeo incentrate sulla carne coltivata vengono depositate da aziende extraeuropee, anticipandole in termini di protezione di questa nuova tecnologia.
CARNE SINTETICA E INQUINAMENTO
C’è poi l’aspetto dell’inquinamento legato alla produzione di cibo sintetico, su cui si gioca tanta falsa retorica legata alla zootecnia. Non è quindi superfluo notare che il processo di produzione della carne sintetica richiede consumi di acqua ed energia superiori a quelli di molti allevamenti. A differenza poi degli allevamenti zootecnici la produzione di cibo in laboratorio produce emissioni di anidride carbonica che si accumula e persiste per millenni (a differenza del metano emesso dagli allevamenti).
LA CARNE NATURALE
Al centro di una narrazione che spesso non rende giustizia al settore, la zootecnia oggi rappresenta una filiera di eccellenza del sistema agricolo e agroalimentare italiano (che vale un totale di 707 miliardi euro) che non solo garantisce produzione di cibo e sicurezza alimentare, ma si sviluppa sempre di più sul lato multifunzionale. Dalla gestione del territorio al contrasto ai cambiamenti climatici, dalla produzione di energia tramite fotovoltaico al biogas fino alla rivitalizzazione delle aree rurali accrescendo il pil del Paese.
I DATI DEL SETTORE
-In Italia si contano circa 200mila aziende dedite all’allevamento del bestiame (il 19% di quelle attive in agricoltura) pari al 32% del valore della produzione agricola italiana e una Plv di 21 miliardi di euro, secondo il focus di Bper.
-A dicembre 2020 sul territorio italiano erano presenti oltre 458mila aziende zootecniche. Una notevole contrazione nel numero di imprese rispetto al 2019, oltre 282mila in meno secondo i dati Istat.
-Sono oltre 5,5 milioni i capi bovini presenti negli allevamenti nazionali, per il 70% concentrati nelle regioni settentrionali.
Sono più di 9 milioni i capi suini, per il 50% presenti negli allevamenti lombardi.
Sono circa 150 milioni i capi avicoli, il 55% ubicati nel Nord-est, con una maggiore concentrazione in Veneto e Emilia-Romagna.
ZOOTECNIA, DALLA GESTIONE DEL TERRITORIO ALLA PRODUZIONE DI ENERGIA
Oggi l’agricoltura e la zootecnia non sono solo produzione di cibo, ma sempre di più gestione del territorio, della fauna selvatica ed economia circolare. A cominciare dalla produzione di energia tramite fotovoltaico fino alla produzione di biogas e biometano, in grado di garantire reddito e favorire gli obiettivi di decarbonizzazione.
ZOOTECNIA, I DATI SUL BIOGAS
In Italia, in base ai dati Terna, dei circa 2.200 impianti di biogas presenti, sono oltre 1.700 quelli in ambito agricolo (in prevalenza nel Bacino Padano).
Circa il 70% dell’energia elettrica ottenuta da biogas viene fornita dalle regioni del nord Italia. In questa classifica la Lombardia è leader, seguita da Veneto, Emilia-Romagna e Piemonte. Regioni caratterizzate da un’elevata presenza di allevamenti.
Dei 40 milioni di tonnellate di biomasse agricole immesse nei digestori, circa il 60% è costituito da effluenti zootecnici, il 30% da colture dedicate e un altro 10% da scarti dell’industria agroalimentare. Da questi impianti si ottengono circa 2,2 bcm di biogas e 3 milioni di tonnellate di digestato da utilizzare come fertilizzante.
ZOOTECNIA, L’IMPEGNO DELLA FILIERA NEL CONTRASTO ALLE EMISSIONI
La criticità maggiore riguardante la zootecnia è quella inerente le emissioni clima alteranti, sebbene occorra ricordare l’ovvio, ossia che non si dà produzione alcuna senza inquinare. Per mangiare e produrre cibo si producono emissioni di CO2, il fronte su cui si può agire è dunque quello della razionalizzazione e contenimento delle emissioni. Un versante su cui la zootecnia si è già applicata in maniera positiva con il taglio delle emissioni.
ZOOTECNIA, EMISSIONI INCIDONO SOLO PER 3,2% TOTALE GRAZIE A GESTIONE PRATI E TERRITORIO
In base ai dati ISPRA le emissioni agricole italiane nel 2022 hanno costituito l’8,57 % delle emissioni totali del Paese. Il 60,44% delle emissioni agricole sono dovute alla zootecnia, che produce il +5,18% delle emissioni totali.
Eppure l’attività zootecnica permette la gestione ed il mantenimento di prati e pascoli che immobilizzano oltre 7.300 kt CO2 (-1,93% delle emissioni totali). Pertanto, il bilancio netto della zootecnia scenderebbe a +3,25%.
ZOOTECNIA, IL METANO CONTRIBUISCE A CONTRASTARE RISCALDAMENTO GLOBALE
Alcune ricerche scientifiche mostrano inoltre un ruolo attivo della zootecnia nel contrasto ai cambiamenti climatici.
Le emissioni zootecniche sono costituite per l’89% da metano (68,15 enterico e 20,85 da reflui). Quindi il metano di fonte zootecnica rappresenta da solo quasi il 54% delle emissioni climalteranti di fonte agricola.
Nuovi studi scientifici -iniziati già nel 2016 dai ricercatori dell’Università di Oxford, che hanno messo a punto una nuova metrica basata sulla diversa sopravvivenza dei gas climalteranti in atmosfera- mettono in luce come il metano abbia una emivita di 10 anni, e in 80 anni sparisca del tutto dall’atmosfera, lasciando anidride carbonica di origine non fossile.
Questo significa che il metano non si accumula in atmosfera e la diminuzione delle emissioni in atmosfera non si limita a “rallentare” il riscaldamento climatico (come per l’anidride carbonica), ma contribuisce efficacemente a raffreddare il Pianeta.
Il metano costituisce l’11,2% delle emissioni nazionali e per il 45,1 % è di origine zootecnica. Tuttavia, data la breve durata in atmosfera di questo gas (10 anni rispetto ai millenni della CO2), se calcolati con il GWP, dal 2010 al 2020 gli allevamenti italiani risultano in credito (e non in debito) per ben –48.759 Mt CO2 weq (Cureddu et al., IJAS, 2023).
IL CONFRONTO
PER SAPERNE DI PIU’:
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