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CON I DAZI AL 15% IMPATTO DA 10 MILIARDI SULLE AZIENDE ITALIANE, OBIETTIVO E DIVERSIFICARE I MERCATI


L’eventuale introduzione di dazi del 15% da parte degli Stati Uniti sull’importazione di beni europei, inclusi quelli italiani, potrebbe generare un impatto economico complessivo stimato attorno ai 10 miliardi di euro. È quanto segnala il Centro studi di Unimpresa, sulla base dati dell’export italiano verso gli Usa, che nel 2024 ha superato i 66 miliardi.

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I settori più esposti sono meccanica, farmaceutico, moda, agroalimentare, trasporti e beni di lusso, con possibili ricadute in termini di competitività e margini aziendali. Tuttavia, lo scenario non è privo di sbocchi alternativi.

Le aziende italiane, forti della qualità riconosciuta del Made in Italy, stanno già lavorando su strategie di diversificazione geografica per rafforzare la propria presenza in Asia, America Latina, Africa e mercati emergenti come India e Messico. A livello comunitario, si valuta l’adozione di misure di riequilibrio e l’apertura di nuovi canali commerciali.

«L’export italiano ha saputo affrontare negli anni sfide ben più complesse: la chiave sarà la capacità di adattamento e una politica industriale mirata» spiega il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora.

Secondo il Centro studi di Unimpresa, l’eventuale introduzione di dazi del 15% da parte degli Stati Uniti sulle merci italiane esportate, pur rappresentando un elemento di discontinuità nelle relazioni commerciali tra Roma e Washington, non deve essere letta esclusivamente in chiave negativa.

Con circa 66 miliardi di euro di beni italiani venduti annualmente sul mercato americano, l’impatto potenziale di una simile misura doganale si attesterebbe attorno ai 10 miliardi di euro in termini di costi aggiuntivi per le nostre imprese. Una cifra certamente significativa, ma che può essere in parte compensata da un’attenta strategia di diversificazione dei mercati di sbocco e da un riposizionamento dell’offerta italiana nei segmenti di fascia alta, meno sensibile al prezzo.

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I comparti più esposti a questo scenario restano quelli della meccanica strumentale e dei macchinari industriali, della chimica e del farmaceutico, dell’abbigliamento e della pelletteria, dell’agroalimentare, dei trasporti e dei beni di lusso.

La meccanica italiana, che da sola vale oltre 18 miliardi di euro di esportazione negli Stati Uniti, rappresenta circa il 27% del totale delle esportazioni italiane verso quel mercato, e vedrebbe applicarsi dazi per circa 2,7 miliardi di euro.

Il comparto chimico e farmaceutico, con 13 miliardi di esportazioni, pari al 20% del totale, sarebbe soggetto a rincari per circa 1,95 miliardi.

Il settore della moda, abbigliamento e pelletteria contribuisce con 11 miliardi, ovvero il 17% dell’export italiano negli Usa, e risulterebbe colpito da dazi per circa 1,65 miliardi.

L’agroalimentare e le bevande, con un valore di 8 miliardi e una quota pari al 12%, affrontano un impatto potenziale stimato in 1,2 miliardi.

Anche il settore dei trasporti – auto, motori, navi – con 7 miliardi di export e un’incidenza dell’11%, risentirebbe di dazi per oltre 1 miliardo di euro.

Infine, i comparti dell’occhialeria, dei gioielli e dell’arredamento, con un valore aggregato di circa 6 miliardi, pari al 9% delle esportazioni totali verso gli Stati Uniti, sarebbero soggetti a tariffe per circa 900 milioni di euro.

Complessivamente, questi sei settori rappresentano oltre il 90% dell’export italiano negli Usa e sarebbero quindi i più direttamente interessati da un inasprimento della politica commerciale americana.

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«L’esperienza dimostra che le imprese italiane sanno reagire con pragmatismo e visione di medio periodo. Le esportazioni italiane hanno superato crisi valutarie, embarghi e fasi di rallentamento globale grazie alla capacità di adattamento e alla qualità riconosciuta dei propri prodotti. La leva principale, anche in questo caso, sarà la diversificazione geografica: rafforzare la presenza commerciale in Asia, America Latina, Africa e nei mercati emergenti può bilanciare l’eventuale perdita di competitività negli Stati Uniti. Allo stesso tempo, un presidio più saldo dei mercati europei e una valorizzazione dei rapporti bilaterali con economie dinamiche come India, Messico e Australia, contribuiranno a mantenere sostenuta la domanda estera. È plausibile che alcuni segmenti produttivi, specie quelli maggiormente sensibili al prezzo, subiscano un rallentamento temporaneo. Ma è altrettanto realistico attendere una risposta articolata da parte delle imprese e delle istituzioni: con investimenti in innovazione, accordi multilaterali più ampi e politiche pubbliche a sostegno della proiezione internazionale del nostro sistema produttivo. Anche l’Unione europea, in questo contesto, potrà giocare un ruolo chiave: nel negoziare soluzioni diplomatiche, nell’attivare eventuali meccanismi compensativi e nel rafforzare la coesione del mercato unico europeo. Sebbene l’introduzione di dazi americani al 15% comporti nuove sfide per l’export italiano, essa può diventare anche un’occasione per accelerare percorsi già avviati di rafforzamento competitivo e di ampliamento delle destinazioni commerciali. Un cambiamento di scenario che richiede visione, ma che non preclude affatto, per l’Italia, la possibilità di continuare ad essere protagonista sui mercati internazionali» osserva Spadafora. 

Grafico – L’effetto sul Made in Italy dei dazi USA al 15%

Ufficio Stampa Unimpresa
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