In sei anni il costo del denaro per le aziende è quasi raddoppiato. Lo squilibrio territoriale esplode: fino a 33mila euro in più al Sud. Confcooperative: “Una mappa dell’apartheid finanziario italiano”. Dal 2022 stretta monetaria letale per microimprese e aree fragili. Famiglie in ripresa, ma il risparmio crolla al minimo da vent’anni.
(Foto: Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative).
Una forbice che divide il Paese
Il credito è diventato un lusso. E non per tutti allo stesso modo. Secondo il rapporto presentato da Confcooperative in collaborazione con il Censis il 24 luglio 2025, tra il 2019 e oggi il Tasso annuo effettivo globale (Taeg) applicato alle imprese per i finanziamenti a medio-lungo termine è schizzato dal 2,34% al 4,77%, quasi raddoppiando in sei anni. Un costo che, nelle parole del presidente di Confcooperative Maurizio Gardini, “è ormai un dazio” e che si abbatte in modo diseguale sulle imprese italiane, penalizzando soprattutto il Mezzogiorno.
Calabria e Valle d’Aosta, due mondi opposti
La fotografia scattata dallo studio mostra una frattura territoriale profonda: tra la Calabria e la Valle d’Aosta la differenza nel Taeg arriva a 1,89 punti percentuali, un abisso finanziario. Più nel dettaglio, un’impresa calabrese che accende un prestito decennale da 300.000 euro paga 33.000 euro in più rispetto a una sua omologa valdostana. Stessa sorte per le famiglie: una in Calabria che richiede un prestito da 50.000 euro per cinque anni spende 2.300 euro in più rispetto a una famiglia emiliana.
“Chi nasce al Sud paga di più” – denuncia Gardini – “È la geografia dell’apartheid finanziario italiano, aggravata dalla stretta monetaria del 2022-2023”.
Un’Italia che frena, ma non ovunque
I dati della Banca d’Italia confermano il quadro. Nel bollettino mensile pubblicato il 19 luglio 2025, si legge che a maggio il credito alle società non finanziarie italiane è calato dell’1,42% su base annua. Una dinamica che fotografa un rallentamento diffuso, ma particolarmente duro nei confronti delle imprese considerate “a rischio”. Le microimprese, in particolare, continuano a scivolare: dal -7,18% di aprile al -7,92% di maggio, segno di un’esclusione crescente dai circuiti del credito.
Anche le grandi imprese, se percepite come rischiose, subiscono un peggioramento: i finanziamenti a loro destinati passano da -3,74% a -4,79%. Gli unici segnali in lieve ripresa si notano nel primo trimestre 2025, con variazioni mensili marginali: +0,45% a gennaio, +0,05% a febbraio.
Mezzogiorno sotto assedio
Il Mezzogiorno risulta ancora una volta il fanalino di coda. Secondo lo Studio Censis-Confcooperative, il Taeg medio per le imprese del Sud tocca il 5,16%, ben più elevato rispetto al 4,71% del Nord Ovest e al 4,59% del Nord Est. Anche l’accesso al credito continua a essere più difficile, con tassi più alti, maggiori richieste di garanzie e istruttorie più lente.
L’effetto è una penalizzazione strutturale degli investimenti: come ha osservato il direttore generale del Censis Massimiliano Valerii, “il credito si è trasformato in un freno per la crescita. A pagarne le conseguenze sono le imprese più deboli, ma anche quelle più innovative, spesso senza garanzie tradizionali”.
Famiglie in leggera ripresa, ma il risparmio crolla
Un parziale sollievo arriva sul fronte dei mutui per l’acquisto di abitazioni. I tassi, dopo aver toccato un picco del 4,50% nel novembre 2023, sono scesi al 3,17% a maggio 2025. E i prestiti alle famiglie mostrano un incremento tendenziale dell’1,5%, segno che – almeno per i nuclei familiari – l’accesso al credito sta lentamente migliorando.
Ma questo non basta a salvare la tenuta finanziaria degli italiani: la propensione al risparmio, secondo dati ISTAT aggiornati al primo trimestre 2025, è crollata al 9,3%, il livello più basso dal 2004 (quando era al 14,6%). Un tracollo di oltre cinque punti che riflette l’erosione del potere d’acquisto, l’aumento generalizzato dei costi e la percezione di un futuro sempre più incerto.
Un Paese frenato dai suoi stessi meccanismi
L’Italia si trova incastrata in una contraddizione strutturale. Da un lato, si spinge per digitalizzazione, innovazione, competitività. Dall’altro, si restringe il canale del credito per chi ne ha più bisogno. Le microimprese, i giovani imprenditori, le startup e le aziende dei territori meno forti si vedono chiudere le porte in faccia proprio mentre dovrebbero essere accompagnate.
Il risultato? Un’Italia a più velocità, dove chi è già forte può investire e crescere, mentre chi parte da condizioni svantaggiate – spesso geografiche – rischia l’estinzione economica.
Gardini (Confcooperative): “Serve un riequilibrio nazionale”
“Non possiamo più permetterci che il credito diventi una variabile discriminante”, ha dichiarato Maurizio Gardini durante la conferenza stampa di presentazione del rapporto (Roma, 24 luglio 2025). “Serve una politica industriale che riequilibri le condizioni di accesso, intervenendo sulla leva fiscale e sugli strumenti di garanzia pubblica. Il credito deve tornare a essere un motore, non un muro”.
Un appello che suona come un ultimatum per la politica economica nazionale. Perché se il credito resta inaccessibile a chi è fuori dai grandi centri produttivi e finanziari, lo sviluppo italiano continuerà a zoppicare, tra squilibri cronici e opportunità perdute.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link