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Dubbi sul “bollino” Unesco. La cucina italiana a rischio


Vai a trovarla una cucina più varia, territoriale, sana, tradizionale di quella italiana. Al netto di qualsiasi campanilismo, è innegabile che sia tra le migliori al mondo. Eppure non è così scontato diventi patrimonio immateriale dell’umanità dell’Unesco. Lo sono quella di Francia, Corea, Messico e Giappone ma il nostro riconoscimento traballa.

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L’indiscrezione trapela da fonti diplomatiche dopo la cena di gala di fine giugno a New York voluta dall’Italian trade agency per sostenere la candidatura italiana. Non è chiaro quali siano i dubbi sollevati né se siano più tecnici o politici ma c’è ancora un margine di recupero: le prossime tappe per arrivare al verdetto finale saranno l’incontro di Parigi del 10 novembre e quello a New Dheli del 10 dicembre, momento del voto definitivo.

“Se a dicembre la cucina italiana non venisse riconosciuta, sarebbero le altre cucine ad essere sminuite” controbatte il ministro all’Agricoltura Francesco Lollobrigida a difesa “dei valori non solo di gusto, ma anche di convivialità e di saper fare millenario”. E lo fa proprio alla cena organizzata dall’ambasciata italiana a Malta e dall’Ice (agenzia per l’internazionalizzazione delle imprese italiane) per promuovere la candidatura davanti a autorità e imprenditoria maltesi.

A rivendicare la forza della candidatura è intervenuto anche il presidente dell’Istituto per il Commercio Estero Matteo Zoppas: se per gli italiani il riconoscimento è una questione di cuore, di casa (e di palato), lui fa notare che premierebbe anche “una filiera dell’agro-alimentare che nel suo complesso vale 70 miliardi di euro, che nel 2023 erano 64: una crescita in doppia cifra che porta il settore a rappresentare oltre il 10% dell’export di made in Italy”.

Dovremmo accontentarci di essere nella top list Unesco “solo” con pizza napoletana e, in passato, dieta mediterranea? Il dossier (firmato da fondazione Casa Artusi e Accademia italiana di cucina) sostiene che ci sia molto di più: è la candidatura di un sistema culturale.

L’idea della candidatura Unesco è venuta a Maddalena Fossati Dondero, direttrice della rivista La cucina italiana e ora presidente del Comitato promotore. Ci lavora dal 2020 ed è stata subito appoggiata da Massimo Bottura e da un pool di chef stellati: Davide Oldani, Antonia Klugmann, Carlo Cracco, Niko Romito e Antonino Cannavacciuolo. “Credo fermamente nella bontà del dossier – spiega Fossati – perché racconta come la cucina italiana sia un valore culturale da difendere. La cucina è un elemento identitario, l’atto d’amore per eccellenza per gli italiani. La frase ‘Cosa vuoi da mangiare stasera?’ è quella che risuona ogni giorno in tutte le nostre case. Detto questo, preferisco festeggiare quando il risultato sarà raggiunto. E penso che i riconoscimenti delle altre cucine siano assolutamente legittimi”.

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Il dossier fotografa i punti di forza della cucina come elemento culturale e difende una tradizione che ci portiamo addosso: il potere di un sapore rubato alle nonne e tramandato di generazione in generazione, intatto.

L’arte di uno chef nell’elevare alla massima potenza un piatto della tradizione più povera. Il rito quotidiano della tavola, irrinunciabile. E quella bio-diversità così capillare che si articola in un piatto tipico in ogni chilometro quadrato della penisola.



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