Cagliari Emanuele Orsini, 52enne di Sassuolo, madre di Ittireddu, a buon titolo per due terzi sardo, da un anno e 2 mesi è presidente nazionale di Confindustria. Ieri 24 luglio ha partecipato all’assemblea della sezione della Sardegna meridionale. In questa intervista esclusiva il rappresentante degli imprenditori parla di Sardegna, di giovani e di energia, ma anche di dazi, produttività e contratti, tendendo la mano al sindacato, mosso da un solo proposito: «sugli interessi nazionali, non ci possono essere battaglie ideologiche. Lavoratori e imprese sono dalla stessa parte: dobbiamo produrre più ricchezza e redistribuirla. Solo uniti possiamo domare e vincere le sfide di questi tempi».
Presidente, la partita sui dazi potrebbe nelle prossime ore arrivare a conclusione. Le indiscrezioni ci dicono che il punto di caduta sarebbe un 15% reciproco. Viste le premesse sembrerebbe una mezza vittoria…
«Certo, se pensiamo che le prime indicazioni dall’amministrazione Trump parlavano del 50%, ma non festeggerei se alla fine il punto di caduta fosse il 15. A questa aliquota bisogna aggiungere la possibile svalutazione del dollaro che a marzo prossimo, secondo alcuni centri studi, potrebbe arrivare anche oltre il 20 per cento. Sarebbe comunque un danno enorme per le nostre imprese, calcolabile in oltre 20 miliardi. Dobbiamo lavorare per ridurre il tasso di cambio tra euro e dollaro, sapendo che alcuni settori di eccellenza del nostro export reggeranno a queste politiche protezionistiche, altri invece saranno in difficoltà. L’antidoto da subito, quando c’è un mercato dove si va a perdere, è aprirne dei nuovi. Un imprenditore che vende a un solo cliente o in un solo paese non fa bene il proprio lavoro. Dobbiamo differenziarci, aprendoci, e puntando sui mercati che attendono a braccia aperte i nostri prodotti del made in Italy, America Latina, Asia, Medio Oriente. Non è facile ma io lo vedo come un dovere, più che come una sfida».
L’Ue punta sulla Cina, ma non corriamo il rischio di rimanere schiacciati tra due giganti, peraltro in competizione tra loro?
«La prudenza e l’attenzione alle dinamiche sui mercati esteri è necessaria: se noi abbiamo un saldo positivo nel commercio con una altra nazionale significa che possiamo usare quel valore per sostenere il nostro welfare, la nostra qualità della vita. Il saldo negativo significa che dipendiamo dai paesi da cui compriamo. Fatte queste premesse starei attento alle dinamiche che si possono sviluppare con il gigante cinese: i loro prodotti sono molto forti, ma quel mercato ha regole diverse che noi dobbiamo comprendere bene».
Gli ultimi dati ci dicono che i salari reali sono scesi del 7,5 per cento dal 2021 a oggi: il peggior risultato tra i paesi avanzati. La vostra ricetta.
«Il problema dei salari è nazionale. I lavoratori delle aziende associate a Confindustria sono quasi 5,5 milioni, circa un quinto del totale dei lavoratori salariati. Noi facciamo la nostra parte, con un confronto proficuo con i sindacati, anche sulla lotta ai “contratti pirata”, ma la soluzione più efficace al problema salariale è spingere verso contratti di produttività che aiutino le nostre imprese a produrre di più, a guadagnare e a redistribuire di più. Tutto ciò non può essere frutto di un accordo tra le parti ma deve essere il risultato di un percorso virtuoso del sistema paese. Come pensiamo di essere competitivi se, ad esempio, sulla logistica siamo agli ultimi posti in Europa?»
La Sardegna mantiene una crescita impercettibile; il Pnrr il prossimo anno esaurirà il suo compito. L’isola rischia di scivolare nel fondo di tutte le classifiche. Come evitarlo?
«Dobbiamo rendere la Sardegna più attrattiva, per le imprese e per i singoli. Dobbiamo mantenere i nostri giovani qui, lavorando di più sulla scuola, tema che adesso è al centro della nostra agenda, e mantenendo le competenze nei territori. La nostra isola è un piccolo paradiso, dobbiamo investire in energia, trasporti, conoscenza. Così la Sardegna può crescere, e diventare un modello. Sull’energia ad esempio, avete la possibilità di realizzare molti impianti di rinnovabili. Fatelo, pretendendo però che vi siano opportunità e vantaggi evidenti per i territori. Avete anche qui l’esperienza positiva delle Zes, che a livello nazionale ha generato volumi d’affari per 28 miliardi, con 35.000 nuove assunzioni. Questa è una buona pratica che ha visto insieme pubblica amministrazione, privati e territori. Se applicassimo sempre questo metodo, senza divisioni o miopie, se riuscissimo a liberarci dei pesi dentro ai nostri zaini, potremmo dimostrare che il nostro paese non ha rivali. Ma dobbiamo crederci tutti, sino in fondo».
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