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Il paradosso della ristorazione in città: sale l’occupazione ma chiudono i locali


Il primo semestre del 2025 per la ristorazione padovana si chiude con un bilancio a due facce. Se da un lato aumentano i posti di lavoro e si consolida la qualità dei contratti, dall’altro si conferma la tendenza alla contrazione del tessuto imprenditoriale.

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A evidenziarlo è il report semestrale dell’Associazione provinciale dei pubblici esercizi (Appe) che ha analizzato i dati Inps e Infocamere relativi a bar, ristoranti, gelaterie e locali della provincia.

Le due facce della medaglia

Alla fine di giugno le imprese attive erano 4.083, ossia trentatré in meno rispetto a dicembre, e cinquantanove in meno rispetto allo stesso periodo di un anno prima. Il dato – secondo quando elaborato dall’associazione – riflette una dinamica già nota: aprire un’attività è sempre più difficile e mantenerla nel tempo lo è ancora di più.

I costi elevati, le difficoltà nel trovare personale e l’instabilità del quadro economico frenano soprattutto le ditte individuali e le società di persone, calate complessivamente di settantatré unità in un solo anno. Crescono invece le società di capitali (quattordici in più), che oggi rappresentano quasi un esercizio su cinque.

Ma cresce l’occupazione

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Le buone notizie arrivano dal fronte occupazionale. Gli addetti sono in aumento: 14.599, con un incremento di oltre mille unità in un anno che segnano un +7,7%.

Ma è soprattutto la qualità del lavoro a migliorare, secondo i dati a disposizione dell’Appe. I contratti a tempo indeterminato rappresentano ormai il 62% del totale, mentre la divisione tra part-time e full-time è quasi equa (51% contro 49%).

«È un segnale importante», commenta la presidente Luni, «perché indica che non solo aumentano i posti, ma migliorano anche le condizioni lavorative. È un dato che va riconosciuto e sostenuto, anche contrastando il fenomeno del dumping contrattuale».

Chi lavora nel settore?

Il comparto si conferma giovane, multiculturale e femminile. Il 53% dei lavoratori è donna, il 30% è straniero e oltre la metà ha tra i venti e i quarant’anni. Una fotografia che evidenzia il ruolo inclusivo e sociale dei pubblici esercizi, presìdi attivi anche nei periodi festivi e nelle periferie.

«Parliamo di un settore che dà lavoro ai giovani, che include persone con background culturali diversi, e che offre concrete opportunità di crescita e professionalizzazione. Va però supportato con strumenti efficaci di formazione e inserimento lavorativo, anche per superare le difficoltà nel reperire personale», sottolinea la presidente.

Il report Appe dedica spazio anche al tema della sopravvivenza aziendale. Appena il 46% delle attività nate nel 2017 è ancora attivo a fine 2024. Il dato migliora nel caso delle società di capitali, che si dimostrano più strutturate e quindi più resilienti nel tempo. Ma il quadro generale resta fragile.

«Chiediamo alle istituzioni», è l’appello conclusivo di Luni, «di semplificare l’assunzione del personale, la gestione dei plateatici, l’organizzazione degli eventi e l’accesso ai finanziamenti. Solo così potremo continuare a offrire servizi essenziali ai cittadini, creare lavoro e contribuire alla vitalità dei centri storici». Una realtà che rappresenta più di quattromila imprese, ma che da sola non basta a reggere il peso della crisi. L’allarme è lanciato. Ora tocca alla politica dare risposte. —

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