(Cass., Sezioni Unite, sentenza n. 3625 del 12 febbraio 2025)
La tematica concernente la responsabilità patrimoniale degli ex soci per le obbligazioni tributarie di una società estinta a seguito della cancellazione dal registro delle imprese rappresenta una questione di particolare rilevanza e complessità nel diritto tributario, da tempo al centro di un vivace dibattito giurisprudenziale.
Ciò in quanto la cancellazione della società dal registro delle imprese non comporta automaticamente l’estinzione dei debiti tributari, con la conseguenza che l’Amministrazione finanziaria può rivolgersi agli ex soci per il recupero dei debiti fiscali residui.
Tuttavia, tale possibilità non è illimitata, ma è soggetta a precisi presupposti giuridici e limiti applicativi.
In questo contesto, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3625 del 12 febbraio 2025, sono intervenute a dirimere le contrastanti interpretazioni emerse negli anni, delineando un quadro normativo più chiaro e stabilendo le condizioni che devono ricorrere affinché l’Amministrazione finanziaria possa chiamare gli ex soci a rispondere dei debiti fiscali della società estinta.
Più nello specifico, la questione sollevata dall’ordinanza interlocutoria e valutata dalle Sezioni Unite è la seguente:
- in primo luogo, se la condizione testualmente prevista dall’art. 2945 c.c., al fine di consentire ai creditori sociali di far valere i loro crediti nei confronti dei soci, dopo la cancellazione della società, si rifletta sul requisito dell’interesse ad agire in capo all’Amministrazione finanziaria o sulla legittimazione passiva del socio medesimo ai fini della prosecuzione del processo originariamente instaurato contro la società;
- in secondo luogo, se la riconducibilità nell’ambito dell’una condizione dell’azione o dell’altra implichi conseguenze specifiche in tema di onere della prova.
Ebbene, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, chiamate a pronunciarsi sulle suddette questioni, hanno enunciato i seguenti principi di diritto:
- gli ex soci subentrano nei rapporti debitori della società estinta, acquisendo la legittimazione processuale in continuità con l’ente cancellato. Tuttavia, la loro responsabilità patrimoniale è limitata alle somme effettivamente percepite in sede di liquidazione della società.
Pertanto, gli ex soci non possono essere considerati automaticamente responsabili dei debiti fiscali della società, ma devono rispondere nei limiti delle somme effettivamente percepite;
- il suddetto presupposto (ossia l’avvenuta riscossione di somme risultanti dal bilancio finale di liquidazione ex art. 2495 c.c.) deve essere provato dall’Amministrazione finanziaria mediante la notificazione agli ex soci di un apposito avviso di accertamento (ex artt. 36, comma 5, D.P.R. n. 602/73 e 60 D.P.R. n. 600/73);
- l’accertamento della responsabilità degli ex soci deve avvenire attraverso un autonomo avviso di accertamento nei loro confronti, senza che questi possano essere coinvolti automaticamente nel processo relativo alla società estinta.
Al fine di comprendere appieno la questione rimessa alla valutazione della Corte di Cassazione, si rendono opportune le seguenti considerazioni.
La quaestio iuris in esame trae origine da un avviso di accertamento, relativo all’anno d’imposta 2006, in materia di IRES, IRAP e IVA, notificato dall’Agenzia delle Entrate in data 12 luglio 2012 ad una società a responsabilità limitata.
La società impugnava il suddetto avviso di accertamento dinanzi la competente Commissione Tributaria Provinciale (oggi denominata Corte di Giustizia Tributaria di primo grado), la quale accoglieva parzialmente il ricorso, ritenendo fondata esclusivamente la ripresa IVA, ma in misura ridotta.
Successivamente, ossia dopo la sentenza di primo grado ma prima del giudizio di appello, la società veniva cancellata dal registro delle imprese.
L’Agenzia delle Entrate proponeva appello avverso la sentenza di primo grado, evocando in giudizio gli ex soci, in quanto responsabili per il debito della società estinta ai sensi dell’art. 2495, comma 2, c.c. e dell’art. 36, comma 3, D.P.R. n. 602/1973.
Inoltre, l’Ufficio sosteneva il proprio interesse ad agire nonostante l’intervenuta estinzione della società, evidenziando la presenza in bilancio di un credito d’imposta della società per anni pregressi, che avrebbe consentito una compensazione con le somme oggetto dell’avviso di accertamento de quo.
Gli ex soci si costituivano eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità dell’appello per difetto di legittimazione passiva, non avendo ricevuto alcun bene o somma in sede di liquidazione, nonché per difetto di interesse ad agire in capo all’Agenzia delle Entrate, derivante dall’impossibilità di realizzare una compensazione tra crediti e debiti nei confronti di un soggetto ormai estinto.
La Commissione Tributaria Regionale adita accoglieva l’appello dell’Ufficio e, in riforma della sentenza di primo grado, affermava la legittimità in toto dell’avviso di accertamento così come notificato alla società, osservando, per quanto qui di interesse, che:
- l’Agenzia delle Entrate aveva correttamente chiamato in causa gli ex soci della società estinta, i quali, in forza del fenomeno successorio ex art. 110 c.p.c., avevano acquisito la legittimazione sostanziale e processuale, attiva e passiva, senza che ciò comportasse alcuna lesione del diritto di difesa;
- le questioni concernenti la responsabilità patrimoniale degli ex soci per i debiti della società estinta non potevano avere ingresso nel giudizio de quo, trattandosi di eccezioni che avrebbero dovuto essere dedotte in un diverso giudizio.
Ebbene, avverso la sentenza di secondo grado gli ex soci proponevano ricorso per Cassazione, affidandosi a undici motivi, tra cui solo i primi tre sono qui rilevanti.
In particolare, gli ex soci lamentavano:
- la nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 100 c.p.c. e 1, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., in quanto i giudici di secondo grado avevano erroneamente omesso di dichiarare l’inammissibilità, per carenza d’interesse ad agire, dell’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate direttamente nei confronti degli ex soci a seguito dell’estinzione della società.
Sul punto, gli ex soci rilevavano che:
- la compensazione tra il credito erariale verso la società ed il controcredito vantato da questa per rimborso IVA non poteva più realizzarsi per l’inesistenza del soggetto giuridico (la società) titolare sia del credito da compensare sia dell’asserito debito dedotto nell’avviso di accertamento impugnato;
- il credito della società verso il Fisco non si trasmetteva agli ex soci a seguito ed in conseguenza dell’estinzione della società stessa, dal momento che a costoro si trasferivano esclusivamente le sopravvenienze attive, ovvero i beni ed i crediti diversi dalla mere pretese non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta. Al contrario – sottolineavano gli ex soci – il credito di rimborso IVA in questione risultava compreso nel bilancio di liquidazione;
- la nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 110 c.p.c. e 1, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992 (e dei presupposti artt. 2495, comma 2, e 36, comma 3, D.P.R. n. 602/1973) in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., in quanto i giudici di secondo grado avevano erroneamente omesso di dichiarare l’inammissibilità dell’appello perché proposto dall’Ufficio direttamente nei confronti degli ex soci, senza aver contestualmente dimostrato anche la loro responsabilità personale in relazione ai debiti erariali già facenti capo alla società estinta per effetto e nei limiti della riscossione o assegnazione a loro favore delle somme o dei beni di cui agli artt. 2945, comma 1, c.p.c. e 36, comma 3, D.P.R. n. 602/1973;
- la nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 110 c.p.c. e 1, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992 (e dei presupposti artt. 2495, comma 2, e 36, comma 3, D.P.R. n. 602/1973) in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.. Ciò in quanto, secondo gli ex soci:
«la violazione di queste norme sostanziali integrava comunque anche un error in procedendo, laddove la loro esatta applicazione costituiva il presupposto per la corretta applicazione di una norma di rito (art. 110 cod. proc. civ.) che si assumeva violata proprio in conseguenza della violazione delle prime.».
Assegnato il ricorso in decisione, interveniva l’ordinanza interlocutoria n. 7425 del 14 marzo 2023, con la quale la Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, rimetteva gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
L’ORDINANZA INTERLOCUTORIA DELLA SEZIONE TRIBUTARIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE N. 7425/2023
Con l’ordinanza interlocutoria n. 7425 del 14 marzo 2023, la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione ha ritenuto opportuno sollecitare l’intervento delle Sezioni Unite, al fine di dirimere il persistente contrasto giurisprudenziale sulla questione relativa alla responsabilità degli ex soci per i debiti della società estinta e alla ripartizione dell’onere probatorio.
LA QUESTIONE RIMESSA AL VAGLIO DELLE SEZIONI UNITE
La Corte di Cassazione, con la citata ordinanza interlocutoria, ha rilevato l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in ordine alla seguente questione:
«Le censure proposte con il primo, il secondo e il terzo motivo di ricorso, che assumono rilievo decisivo e assorbente, implicano l’esame della questione controversa, che è stata oggetto di contrasto nella giurisprudenza di questa Corte, se la condizione testualmente fissata dall’articolo 2495 c.c., al fine di consentire ai creditori sociali di fare valere i loro crediti, dopo la cancellazione della società, nei confronti dei soci, si rifletta sul requisito dell’interesse ad agire in capo all’Amministrazione finanziaria o sulla legittimazione passiva del socio medesimo ai fini della prosecuzione del processo originariamente instaurato contro la società e se la riconducibilità nell’ambito dell’una condizione dell’azione o dell’altra implichi conseguenze specifiche in tema di onere della prova.».
In altri termini, la questione individuata dall’ordinanza interlocutoria e sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite può essere ricondotta a due profili distinti ma interconnessi:
- da un lato, occorre stabilire se la condizione espressamente prevista dall’art. 2495 c.c. – che consente ai creditori sociali di far valere le proprie pretese nei confronti dei soci dopo la cancellazione della società – incida sul requisito dell’interesse ad agire dell’Amministrazione finanziaria ovvero sulla legittimazione passiva del socio ai fini della prosecuzione del giudizio originariamente instaurato nei confronti della società estinta;
- dall’altro, occorre verificare se la riconduzione della fattispecie all’una o all’altra categoria dell’azione determini conseguenze specifiche in ordine alla ripartizione dell’onere probatorio.
L’EVOLUZIONE ED IL CONTRASTO GIURISPRUDENZIALE RELATIVO ALLA RESPONSABILITÀ DEGLI EX SOCI PER I DEBITI DELLA SOCIETÀ ESTINTA
Individuata la questione da sottoporre alla valutazione delle Sezioni Unite, i giudici di legittimità, nell’ordinanza interlocutoria in commento (ordinanza interlocutoria n. 7425 del 14 marzo 2023), hanno ricostruito l’evoluzione giurisprudenziale in tema di responsabilità degli ex soci per i debiti della società estinta, dando atto dell’esistenza di contrapposti orientamenti di legittimità sul punto.
L’evoluzione giurisprudenziale sul tema può essere così sintetizzata:
- le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con le sentenze n. 4060, 4061 e 4062 del 22 febbraio 2010, hanno affermato che, dal 1° gennaio 2004 (data di entrata in vigore della riforma del diritto societario di cui al D.Lgs. n. 6/2003), la cancellazione della società dal registro delle imprese produce effetti costitutivi, determinandone l’estinzione immediata.
Ciò segna il superamento del precedente orientamento giurisprudenziale, secondo cui l’estinzione presupponeva il definitivo esaurimento di tutti i rapporti giuridici facenti capo alla società (Cass., SS.UU. nn. 4060, 4061 e 4062 del 2010);
- successivamente alle suddette pronunce delle Sezioni Unite, i giudici di legittimità (ex multis: Cass. n. 7676/2012; Cass. n. 7679/2012; Cass. n. 19453/2012) hanno affermato che, nell’ipotesi di estinzione delle società di capitali, la riscossione della quota in base al bilancio finale di liquidazione di cui all’art. 2495 c.c. non costituisce soltanto il parametro di riferimento per delimitare la responsabilità del socio rispetto ai debiti sociali, ma costituisce altresì il presupposto per la sua legittimazione alla prosecuzione del giudizio già instaurato nei confronti della società estinta.
In tale prospettiva, il socio – a differenza dell’erede di una persona fisica – non è un successore universale della società, ma lo diviene ex lege solo qualora egli abbia riscosso la quota in base al bilancio finale di liquidazione.
Solo in tale ipotesi, dunque, può ammettersi che il socio succeda, seppure intra vires, nei rapporti giuridici facenti capo alla società.
Ne consegue che tale circostanza (ossia l’effettiva riscossione della quota) deve essere allegata e dimostrata quale presupposto della condizione dell’azione costituita dall’interesse ad agire;
- si è così giunti alle note pronunce delle Sezioni Unite del 2013 (Cass. SS.UU. nn. 6070, 6071 e 6072 del 2013), con le quali è stato chiarito che, a seguito della cancellazione e dell’estinzione della società in corso di causa viene a determinarsi un fenomeno di tipo successorio, in forza del quale:
- i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono (in quanto ciò sacrificherebbe ingiustamente i diritti dei creditori sociali), ma si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti pendente societate.
Ne discende che i soci successori della società subentrano, altresì, nella legittimazione processuale facente capo all’ente in situazione di litisconsorzio necessario per ragioni processuali, ovverosia a prescindere dalla scindibilità o meno del rapporto sostanziale;
- i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa.
Restano esclusi da tale trasferimento le mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e i crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale) e il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo;
- successivamente, la giurisprudenza di legittimità ha conosciuto un’evoluzione interpretativa segnata dalla presenta di orientamenti interpretativi divergenti, basati su percorsi argomentativi eterogenei.
In particolare:
- Primo orientamento: secondo tale maggioritario indirizzo (ex multis: Cass. n. 2/2022; Cass., SS.UU., n. 619/2021; Cass. n. 26402/2020; Cass. n. 12758/2020; Cass. n. 33582/2019; Cass. n. 897/2019; Cass. n. 15035/2017; Cass. n. 14446/2018; Cass. n. 9672/2018; Cass. n. 1713/2018; Cass. n. 9094/2017; Cass. n. 5988/2017), costituente ormai “diritto vivente”, il limite di responsabilità dei soci previsto dall’art. 2945 c.c. non incide sulla loro legittimazione processuale, bensì sull’interesse ad agire dei creditori sociali.
Tale interesse, tuttavia, non può ritenersi automaticamente escluso dalla circostanza che i soci non abbiano percepito utilità dalla ripartizione finale: potrebbe infatti verificarsi che beni o diritti, non inclusi nel bilancio di liquidazione della società estinta, siano comunque stati trasferiti ai soci.
In tale ipotesi, dunque, il creditore potrebbe avere interesse a ottenere un accertamento del proprio diritto, con la conseguenza che l’eventuale assenza di attivo effettivamente distribuito rileverebbe nella fase esecutiva, incidendo sulla concreta esigibilità del credito.
Anche in ambito tributario, secondo tale orientamento giurisprudenziale:
«(…) la possibilità di sopravvenienze attive, o anche semplicemente la possibile esistenza di beni e diritti non contemplati nel bilancio, non consentono di escludere l’interesse dell’Agenzia a procurarsi un titolo nei confronti dei soci, “in considerazione della natura dinamica dell’interesse ad agire, che rifugge da considerazioni statiche allo stato degli atti” (Cass., 7 aprile 2017, n. 9094; Cass., 16 giugno 2017, n. 15035)».
- Secondo orientamento: un secondo indirizzo giurisprudenziale (ex multis: Cass. n. 521/2020; Cass. n. 31933/2019; Cass. n. 15474/2017; Cass. n. 2444/2017; Cass. n. 23916/2016; Cass. n. 13259/2015) ritiene che, ai fini della legittimazione passiva dell’ex socio, è necessaria la dimostrazione dell’effettiva percezione di somme in sede di liquidazione.
Tale prova, in quanto elemento costitutivo della fattispecie di responsabilità, incombe — ai sensi dell’art. 2697 c.c. — sul creditore procedente e, dunque, sull’Amministrazione finanziaria.
- Terzo orientamento: secondo un terzo indirizzo giurisprudenziale (ex multis: Cass. n.31904/2021; Cass. n. 25896/2020; Cass. n. 2444/2017), intermedio rispetto agli altri due, nel caso di società di capitali, l’accertamento dell’avvenuta percezione della quota di liquidazione da parte del socio rileva ai fini della sua legittimazione ad causam ai fini della prosecuzione del processo, ai sensi dell’art. 110 c.p.c..
Pertanto, qualora tale circostanza sia oggetto di contestazione, l’onere della relativa prova incombe sul soggetto che si costituisce in giudizio nella qualità di successore universale della società estinta.
Tale ricostruzione interpretativa è stata puntualmente e chiaramente delineata dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 25869 del 16 novembre 2020, ove così si legge:
«qualora l’estinzione della società a seguito di cancellazione dal registro delle imprese intervenga in pendenza di un giudizio che la veda parte, si determina un evento interruttivo, disciplinato dagli artt. 299 e ss. c.p.c., con eventuale prosecuzione o riassunzione ad opera o nei confronti dei soci, successori della società, ai sensi dell’art. 110 c.p.c.; ove l’evento non sia stato fatto constare nei modi di legge o si sia verificato quando farlo constare in tali modi non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza, pronunciata nei riguardi della società, deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci, purché dei presupposti della “legitimatio ad causam” sia da costoro fornita la prova».
Alla luce dell’evoluzione e del contrasto giurisprudenziale sopra delineati, appare evidente che, anche dopo le pronunce delle Sezioni Unite del 2013 (Cass., SS.UU. n. 6070, 6071 e 6072 del 2013), la giurisprudenza di legittimità non ha chiarito la questione in esame, continuando a presentare profili di disomogeneità.
Come affermato dai giudici nell’ordinanza interlocutoria n. 7425/2023, la questione in esame:
«(…) presenta, indubbiamente, ancora molti aspetti problematici e che lasciano residuare molte incertezze per le parti del giudizio, sia dal lato dell’Amministrazione finanziaria che vanta un credito nei confronti della società estinta, sia dal lato del socio succeduto alla società nelle posizioni che non sono state definite prima della sua cancellazione dal registro delle imprese.».
Pertanto, il Collegio, tenuto conto della particolare importanza della questione di diritto in esame e ai fini della risoluzione del contrasto giurisprudenziale esistente sul punto, ha ritenuto opportuno rimettere gli atti al Primo Presidente, affinchè valuti l’opportunità di rimettere l’esame della questione alle Sezioni Unite.
LA SENTENZA DELLE SEZIONI UNITE DELLA CORTE DI CASSAZIONE N. 3625/2025
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3625 del 12 febbraio 2925, hanno esaminato la questione sollevata dall’ordinanza interlocutoria sopra commentata (Cass., Sez. Tributaria, ord. interlocutoria n. 7425 del 14 marzo 2023), stabilendo che:
- l’avvenuta riscossione, da parte dei soci, di somme risultanti dal bilancio finale di liquidazione, ai sensi dell’art. 2495, comma 3, c.c., rappresenta non solo il limite massimo dell’esposizione debitoria personale dei soci, ma anche una condizione dell’azione attinente all’interesse ad agire e non alla legittimazione ad causam dei soci stessi;
- il suddetto presupposto, se contestato, deve essere dimostrato dall’Amministrazione finanziaria mediante apposito avviso di accertamento notificato ai soci ai sensi degli artt. 36, comma 5, D.P.R. n. 602/73 e 60 D.P.R. n. 600/73;
- la verifica del suddetto presupposto (ossia dell’avvenuta riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione) costituisce un elemento che deve essere espressamente dedotto nella fase di accertamento da indirizzarsi direttamente nei confronti dei soci e non può, pertanto, essere introdotto per la prima volta nel giudizio di impugnazione promosso dalla società avverso l’originario avviso di accertamento a essa notificato, anche qualora tale giudizio prosegua nei confronti dei soci, subentrati quale effetto dell’estinzione della società.
Il percorso argomentativo seguito dalle Sezioni Unite prende avvio dall’esame delle ipotesi di responsabilità delineate dall’art. 36 D.P.R. n. 602/73, ciascuna caratterizzata da presupposti, natura giuridica e regole processuali differenti.
Come specificato dai giudici di legittimità, le ipotesi di responsabilità di cui al citato art. 36 sono le seguenti:
- la prima ipotesi di responsabilità riguarda i liquidatori e gli amministratori della società che, nel corso della gestione o della fase di liquidazione, abbiano omesso il pagamento dei debiti tributari maturati nel periodo della liquidazione o in quelli precedenti.
Secondo l’interpretazione ormai consolidata dalla giurisprudenza di legittimità, tale forma di responsabilità esula da ogni logica successoria, co-obbligatoria o di continuità soggettiva con la società estinta, configurandosi, invece, come una responsabilità ex lege, di natura risarcitoria, illimitata e personale, fondata su un comportamento imputabile direttamente all’organo gestorio e riconducibile ai principi generali dell’ordinamento civilistico di cui agli artt. 1176 e 1218 c.c..
Ne consegue che, una volta estinta la società, il processo tributario non può proseguire nei confronti dell’ex liquidatore o amministratore, occorrendo l’instaurazione di un autonomo procedimento di accertamento notificato individualmente, la cui natura, pur originata da una violazione tributaria, è da qualificarsi come civilistica.
Il credito vantato dall’Amministrazione finanziaria non è qualificabile come credito d’imposta in senso proprio, ma come credito risarcitorio, il cui titolo è costituito dalla violazione degli obblighi liquidatori o gestori e la cui fonte è distinta rispetto all’obbligazione tributaria;
- la seconda ipotesi di responsabilità riguarda specificamente i soci della società estinta a seguito della cancellazione dal registro delle imprese.
In altri termini, tale seconda ipotesi di responsabilità riguarda il pagamento dei debiti fiscali della società e si fonda sulla circostanza che i soci abbiano ricevuto, nel corso della liquidazione o nei due esercizi precedenti, somme di denaro o altri beni sociali.
Le Sezioni Unite hanno chiarito che la responsabilità in esame non configura né un’ipotesi di responsabilità ex lege per inadempimento o per fatto illecito (come quella che riguarda i liquidatori e gli amministratori), né un’ipotesi di responsabilità di tipo successorio ex art. 2495 c.c., essendo essa fondata sull’accertamento obiettivo della percezione di somme di denaro o altri beni sociali da parte del socio (presupposto necessario per far sorgere l’obbligo in capo al socio di contribuire al pagamento dei debiti tributari residui).
Tuttavia, al pari della responsabilità di tipo successorio ex art. 2495 c.c.:
«(…) la responsabilità in esame ingenera in capo al socio l’obbligo di pagamento di un debito della società sul solo presupposto obiettivo, e nei limiti, della percezione di attività sociali in fase di liquidazione (o anche, con previsione ampliativa rispetto alla disciplina civilistica, nelle due annualità d’imposta antecedenti).».
Questa ipotesi di responsabilità, dunque, ha carattere limitato e circoscritto al valore dei beni ricevuti, e trova fondamento nel diritto dei soci di contribuire al soddisfacimento del debito fiscale in proporzione al beneficio ricevuto.
L’elemento distintivo fondamentale tra le due ipotesi di responsabilità delineate è dato dalla diversa natura della pretesa fiscale nei confronti dei soci: mentre nel primo caso si agisce per inadempimento o fatto illecito imputabile al liquidatore o all’amministratore, nel secondo si tratta di una responsabilità derivante dalla distribuzione di patrimonio sociale, il cui presupposto deve essere oggetto di una valutazione autonoma in sede di accertamento.
È proprio questa esigenza di autonomia del procedimento accertativo a fondare l’obbligo in capo all’Amministrazione finanziaria di notificare uno specifico avviso di accertamento nei confronti del socio, ai sensi dell’art. 36, comma 5, D.P.R. n. 602/1973.
Sul punto, nella sentenza così di legge:
«Va inoltre considerato che lo stesso art. 36, co. 3^ fa espressamente salve “le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile”, con ciò implicitamente ma univocamente richiamandosi alla portata generale dell’attuale art. 2495 cod.civ., e che in entrambi i casi in cui il socio venga richiesto dal Fisco del pagamento delle imposte già gravanti sulla società cessata (“La responsabilità di cui ai commi precedenti (…)”) è necessaria la notificazione nei suoi confronti di avviso di accertamento, con possibilità di impugnazione, secondo le regole generali, ex artt.19 e 21 d.lgs. 546/92.».
Inoltre, nella pronuncia in commento, le Sezioni Unite hanno opportunamente precisato che la cancellazione della società non comporta l’estinzione del debito fiscale né determina automaticamente l’estinzione del relativo processo.
In altri termini:
«Orbene, è proprio la necessità – in ogni caso in cui venga invocata, a titolo vuoi successorio vuoi sussidiario, la responsabilità dell’ ex socio per il debito d’imposta della società – di attivazione nei suoi confronti di un autonomo ed originario procedimento amministrativo di accertamento (necessità, del resto, che non costituisce una stravaganza di sistema, discendendo piuttosto essa, de plano, dalla natura pubblicistica dell’obbligazione tributaria e dal carattere autoritativo del relativo accertamento) che impedisce il pieno e totale dispiegarsi di quella successione nel processo di cui danno conto le Sezioni Unite del 2013.».
In tale contesto, l’eventuale prosecuzione del giudizio nei confronti dei soci trova fondamento nell’art. 110 c.p.c., quale rimedio ispirato a finalità di economia processuale e di tutela dell’interesse dell’Amministrazione finanziaria, così da evitare che il creditore si trovi nella condizione di dover replicare le attività processuali già svolte.
Secondo le Sezioni Unite, analoghe esigenze si pongono anche in ambito tributario, laddove la cancellazione della società dal registro delle imprese intervenga nel corso del giudizio.
In tali casi, trova applicazione la disciplina dell’interruzione del processo prevista dall’art. 40 D.Lgs. n. 546/1992, nonché quella della prosecuzione da parte o nei confronti dei soci-successori, ai sensi dell’art. 110 c.p.c..
Sul punto, nella sentenza in commento così si legge:
«Ora, è vero che un’esigenza del tutto analoga si pone anche nel caso di cancellazione della società in pendenza del giudizio tributario, ipotesi nella quale parimenti può soccorrere tanto la disciplina dell’interruzione del processo per venir meno, per morte o altra causa, della parte contribuente ex art. 40 d.lgs. 546/92, quanto quella della sua prosecuzione da parte o nei confronti dei soci-successori ex art. 110 cod.proc.civ.. ».
Tuttavia, la prosecuzione processuale non può tradursi in un ampliamento dell’oggetto del giudizio, ossia in un ampliamento del petitum e della causa petendi.
Da tanto ne consegue che nel giudizio di impugnazione introdotto dalla società e proseguito da parte o nei confronti dei soci sono ammissibili solo questioni relative alla legittimazione dei soci subentrati e all’effettiva sussistenza del debito tributario della società, mentre restano estranee al thema decidendum tutte le questioni attinenti alla percezione di beni o somme da parte dei soci, le quali potranno essere dedotte solo nell’ambito di un separato giudizio originato da un nuovo atto impositivo indirizzato specificamente ai soci, ai sensi dell’art. 36, comma 5, D.P.R. n. 602/73.
Dunque, chiariscono le Sezioni Unite:
«(…) plurimi elementi escludono che in questa fase di prosecuzione si possano introdurre questioni diverse, oltre che dalla effettiva sussistenza del debito tributario della società, dalla legittimazione dei soci; quest’ultima a sua volta articolata soltanto intorno alla avvenuta cancellazione della società ed alla effettiva veste di soci dei soggetti subentrati.
Quindi, nel giudizio già pendente nei confronti della società non potrà trovare ingresso – in particolare – la questione della avvenuta percezione di attività sociali o quote di liquidazione da parte dei soci, tema, come detto, estraneo alla legittimazione ed invece suscettibile di essere dedotto nel (diverso) giudizio che potrà originarsi a seguito della notificazione ai soci stessi di autonomo e distinto atto impositivo ex art. 36 co. 5^ cit. (la cui motivazione dovrà evidentemente farsi carico di questo aspetto quale ragione giuridica e presupposto fattuale della pretesa così ad essi per la prima volta indirizzata).».
I giudici di legittimità hanno ribadito, in tema di riparto dell’onere probatorio, che è in tale sede che l’Amministrazione finanziaria, nella veste di parte sostanziale attiva, dovrà allegare e provare l’effettiva sussistenza della responsabilità del socio, nei limiti del valore delle attività percepite, secondo quanto espressamente stabilito dall’art. 7, comma 5-bis, D.Lgs. n. 546/1992.
Un’eventuale deroga a tale schema si porrebbe in contrasto con l’art. 36 D.P.R. n. 602/73, che impone l’instaurazione di un nuovo procedimento nei confronti dei soci, e risulterebbe, altresì, incompatibile con la struttura impugnatoria del processo tributario delineata dagli artt. 19 e 21 D.Lgs. n. 546/1992, che limita il thema decidendum al contenuto dell’atto impugnato e ai motivi di contestazione inizialmente dedotti.
Ed invero, come si legge nella sentenza in commento:
«(…) la delimitazione del tema decisionale e probatorio appunto in ragione delle domande di parte dà conto del fatto che la valutazione di merito ‘sul rapporto’, che pure compete al giudice tributario, non può spingersi oltre i presupposti dell’atto impugnato ed i motivi di opposizione contro di esso inizialmente proposti.».
Alla luce delle suesposte considerazioni, le Sezioni Unite hanno evidenziato che, nel caso di specie, il giudizio è stato introdotto dalla società e solo successivamente proseguito da parte o nei confronti dei soci subentrati per effetto della cancellazione dell’ente dal registro delle imprese, con la conseguenza che l’oggetto del giudizio resta circoscritto alla posizione della società e non può essere traslato, per effetto della cancellazione, sul piano della responsabilità dei soci per quanto da essi eventualmente percepito in sede di liquidazione.
È, dunque, evidente che le Sezioni Unite hanno inteso aderire all’orientamento di legittimità, secondo cui:
- l’eccezione di difetto di responsabilità patrimoniale del socio, fondata sul mancato ricevimento di somme in sede di liquidazione, non può essere dedotta nel giudizio relativo alla pretesa fiscale nei confronti della società, in quanto si tratta di un fatto impeditivo che attiene a una pretesa differente, da esercitare nei confronti del socio in separata sede;
- tale conclusione vale tanto nell’ambito del procedimento attivato ex art. 36, comma 3, D.P.R. n. 602/1973, quanto nel contesto della responsabilità delineata dall’art. 2495, comma 2, c.c., stante il richiamo operato dal successivo comma 5 dell’art. 36 cit. alle diverse forme di responsabilità.
Ed invero, come evidenziato nella sentenza in commento, le specificità del processo tributario, che riflettono le peculiarità proprie dell’obbligazione fiscale e del relativo procedimento di accertamento, giustificano una disciplina che, seppur potenzialmente meno favorevole per l’Amministrazione finanziaria rispetto a quella prevista per i creditori civilistici, trova la sua ratio nella necessità di garantire un contraddittorio pieno e diretto con i soggetti cui la pretesa fiscale viene imputata.
In quest’ottica, dunque, l’obbligo di notificare un autonomo atto impositivo al socio, ai sensi dell’art. 36, comma 5, D.P.R. n. 602/73, si configura non come una formalità aggiuntiva, ma come espressione delle garanzie procedurali proprie del diritto tributario.
Sul punto, nella sentenza de qua così si legge:
«Le richiamate peculiarità del processo tributario, a loro volta radicate in quelle dell’obbligo tributario e del suo accertamento, sono ampiamente tali da giustificare una disciplina normativa, quella di cui all’art. 36, che appare per certi versi deteriore per il Fisco rispetto a quella applicabile al creditore, per così dire, di ‘diritto comune’, venendo alla fine solo ad esso imposto di far valere ex novo, e non già immediatamente e direttamente nel processo interrotto e riassunto, la responsabilità degli ex soci.
E tuttavia, visto dal lato del contribuente, ciò appare conforme alla tutela accordatagli dall’ordinamento in ragione delle già menzionate caratteristiche pubblicistiche ed autoritative proprie dell’obbligo tributario e della relativa fase dell’accertamento (…)».
Peraltro, le Sezioni Unite hanno chiarito che l’obbligo di avviare un nuovo procedimento nei confronti del socio non comporta un totale azzeramento dell’attività precedente: l’Ufficio può, infatti, «(…) spendere il giudicato di effettiva sussistenza del debito tributario della società estinta formatosi, nel contraddittorio con i soci, nel giudizio ad esso relativo.».
Tale ricostruzione trova applicazione anche nell’ipotesi in cui l’estinzione della società di capitali all’esito della cancellazione dal registro delle imprese intervenga in pendenza del termine per impugnare la sentenza.
In simili circostanze, l’impugnazione della decisione resa nei confronti della società deve necessariamente essere proposta o ricevuta dai soci succeduti alla società estinta, essendo essi i soli legittimati ad agire o a resistere nel processo.
Sul punto, le Sezioni Unite hanno considerato non condivisibile l’orientamento di legittimità (ben evincibile dall’ordinanza della Corte di Cassazione n. 31904 del 4 novembre 2011), secondo cui, una volta divenuto definitivo il titolo nei confronti della società – per mancata impugnazione, estinzione del processo o formazione del giudicato – l’Amministrazione finanziaria potrebbe procedere direttamente all’iscrizione a ruolo anche nei confronti dei soci, senza la necessità di notificare un nuovo avviso di accertamento ex art. 36, comma 5, D.P.R. n. 602/1973.
Secondo tale orientamento (che le Sezioni Unite ritengono non condivisibile), i soci escussi mediante cartella potrebbero limitarsi a contestare, in sede di impugnazione della stessa, l’inesistenza originaria o sopravvenuta del titolo formatosi nei confronti della società ovvero il fondamento della propria responsabilità (dimostrando di non aver conseguito utili dalla liquidazione).
Questa lettura estende alla responsabilità dei soci il principio sancito dall’art. 477, comma 1, c.p.c., relativo all’efficacia nei confronti degli eredi del titolo esecutivo formatosi nei confronti del defunto.
Tuttavia, come si legge nella sentenza in commento, tale equiparazione non appare giustificata, in quanto – oltre alle differenze strutturali tra la responsabilità per successione mortis causa e quella dei soci ex artt. 36, comma 3, D.P.R. n. 602/1973 e 2495, comma 2, c.c. – essa trascura il fatto che l’obbligo del socio non deriva automaticamente dal debito sociale, ma presuppone la verifica, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di un elemento costitutivo ulteriore e distinto, rappresentato dall’avvenuta percezione, in sede di liquidazione, di somme di denaro o altri beni sociali.
Pertanto, anche nei casi in cui l’accertamento del debito sociale sia divenuto definitivo, il Fisco non è dispensato dall’onere di notificare un autonomo atto impositivo al socio, nel quale dedurre e provare il suddetto presupposto oggettivo (ossia l’avvenuta percezione, in sede di liquidazione, di somme di denaro o altri beni sociali).
L’atto notificato al socio mantiene, dunque, un contenuto pretensivo autonomo, in quanto diretto a un soggetto differente rispetto al contribuente originario, e non può essere surrogato da una semplice cartella di pagamento.
In altri termini, l’accertamento nei confronti del socio ha una funzione impositiva a sé stante e non si risolve in una mera estensione esecutiva del titolo formatosi nei confronti della società.
Sul punto, le Sezioni Unite hanno chiarito che:
«È vero che si tratta, quello notificato all’ex socio, di un atto di accertamento che già contiene l’indicazione di un credito non più contestabile nella sua oggettività, ma l’esigenza che tale credito venga legittimamente imputato ad un soggetto pur sempre diverso (appunto l’ex socio) rispetto al contribuente che ad esso ha dato origine (la società) dimostra comunque la permanenza in esso di un sostrato prettamente pretensivo che si palesa per la prima volta, seppure limitatamente al risvolto soggettivo di responsabilità; non sarebbe dunque del tutto esatto ravvisare nella specie un accertamento senza imposizione, come tale surrogabile dalla cartella.».
Sulla base delle suesposte motivazioni, le Sezioni Unite enunciano principi di diritto che ridefiniscono l’assetto interpretativo della responsabilità dei soci per i debiti tributari della società estinta.
I PRINCIPI DI DIRITTO ENUNCIATI DALLE SEZIONI UNITE
Alla luce delle suesposte considerazioni, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3625 del 12 febbraio 2025, hanno enunciato i seguenti principi di diritto:
«- nella fattispecie di responsabilità dei soci limitatamente responsabili per il debito tributario della società estintasi per cancellazione dal registro delle imprese, il presupposto dell’avvenuta riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione, di cui al 3° (già 2°) co. dell’art. 2495 cod. civ., integra, oltre alla misura massima dell’esposizione debitoria personale dei soci, una condizione dell’azione attinente all’interesse ad agire e non alla legittimazione ad causam dei soci stessi;
- questo presupposto, se contestato, deve conseguentemente essere provato dal Fisco che faccia valere, con la notificazione ai soci ex artt. 36 co. 5 D.P.R. n. 602/73 e 60 D.P.R. 600/73 di apposito avviso di accertamento, la responsabilità in questione, fermo restando che l’interesse ad agire dell’Amministrazione finanziaria non è escluso per il solo fatto della mancata riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione, potendo tale interesse radicarsi in altre evenienze, quali la sussistenza di beni e diritti che, per quanto non ricompresi in questo bilancio, si siano trasferiti ai soci, ovvero l’escussione di garanzie;
- la verifica del presupposto dell’avvenuta riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione, concernendo un elemento che deve essere dedotto nella fase di accertamento da indirizzarsi direttamente nei confronti dei soci ex art. 36 co. 5° D.P.R. n. 602/73, non può avere ingresso nel giudizio di impugnazione introdotto dalla società avverso l’avviso di accertamento ad essa originariamente notificato, quand’anche questo giudizio venga poi proseguito, a causa dell’estinzione della società per cancellazione dal registro delle imprese, da o nei confronti dei soci quali successori della società stessa.».
È evidente, dunque, che, con la sentenza in commento, le Sezioni Unite hanno inteso fornire un’interpretazione volta a bilanciare le esigenze dell’Amministrazione finanziaria con le garanzie spettanti agli ex soci.
Ed invero, le Sezioni Unite hanno definitivamente chiarito che, a seguito dell’estinzione della società dovuta alla cancellazione dal registro delle imprese, gli ex soci subentrano nei rapporti debitori della società estinta, acquisendo la legittimazione processuale in continuità con l’ente.
Tale subentro, tuttavia, non implica la loro automatica responsabilità patrimoniale, che resta limitata a quanto effettivamente percepito in sede di liquidazione.
In particolare, con la sentenza in commento è stato precisato che l’eventuale affermazione della responsabilità dei soci richiede l’esistenza di elementi concreti che attestino il trasferimento in loro favore di somme di denaro o altri beni sociali.
Ne consegue che non può configurarsi una responsabilità automatica a carico dei soci, ma unicamente nei limiti del vantaggio economico concretamente ricevuto.
Le Sezioni Unite hanno, altresì, chiarito che l’accertamento della responsabilità degli ex soci deve avvenire mediante la notifica di un autonomo avviso di accertamento, specificamente rivolto agli ex soci, al fine di evitare che questi siano coinvolti automaticamente nel processo instaurato nei confronti della società estinta.
La pronuncia ribadisce, pertanto, la necessità di mantenere distinte le due fasi:
- da un lato, l’accertamento della pretesa tributaria nei confronti della società estinta;
- dall’altro, la successiva valutazione della sussistenza dei presupposti per imputare la responsabilità patrimoniale al singolo socio.
In conclusione, è evidente che la citata pronuncia delle Sezioni Unite ha un impatto rilevante, in quanto è volta a chiarire le modalità e i limiti dell’azione accertativa nei confronti degli ex soci per i debiti tributari della società estinta.
Alla luce di quanto sopra esposto, con la sentenza n. 3625 del 12 febbraio 2025 in commento, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno definitivamente chiarito che la responsabilità patrimoniale degli ex soci per i debiti tributari della società estinta non può essere presunta in via automatica, ma deve essere ancorata a un presupposto oggettivo, ossia l’effettiva percezione di somme di denaro o altri beni sociali in sede di liquidazione.
In tale contesto, spetta all’Amministrazione finanziaria l’onere di accertare e provare, con un autonomo avviso notificato agli ex soci, che quest’ultimi abbiano beneficiato economicamente della liquidazione.
In altri termini, le Sezioni Unite hanno stabilito che gli ex soci possono essere ritenuti responsabili dei debiti tributari della società estinta solo nei limiti delle somme effettivamente percepite.
È, dunque, ben evidente che, con la citata pronuncia, le Sezioni Unite hanno raggiunto un giusto equilibrio tra l’esigenza dell’Amministrazione fiscale di recuperare i crediti e la tutela dei diritti degli ex soci, al fine di evitare che questi ultimi siano ingiustamente gravati da obblighi che non corrispondono ad un effettivo arricchimento.
Lecce, 15 luglio 2025
Avv. Maurizio Villani
Dott.ssa Marta Zizzari
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