L’Unione europea si appresta a rivedere in profondità le proprie linee guida in materia di controllo delle concentrazioni. Al centro del dibattito pubblico lanciato dalla Commissione europea – con consultazione aperta fino al 3 settembre 2025 – spiccano gli impatti delle fusioni sul mercato del lavoro, un aspetto fino a poco tempo fa considerato marginale.
Il Rapporto Draghi ha già sottolineato con forza la necessità per l’Europa di diventare sempre più autonoma e di rafforzare la propria competitività, investendo nelle tecnologie e nei settori strategici del futuro, e dunque in nuove competenze professionali. Questa trasformazione non può prescindere dai lavoratori: l’Europa deve accompagnarli e sostenerli nella transizione verso i settori portanti e strategici del domani.
Perché il controllo delle concentrazioni deve includere il lavoro
L’aggiornamento delle linee guida orizzontali e verticali mira ad adattare la politica di controllo delle concentrazioni a un contesto profondamente mutato, segnato dalla crescente dominanza nei mercati digitali di grandi piattaforme (spesso non europee) dotate di un potere strutturale sempre più incisivo, in grado di trasformare i settori in cui operano. Esempi come Uber e Deliveroo evidenziano le implicazioni occupazionali e contrattuali legate a questo potere e mostrano come tali attori possano modificare radicalmente i paradigmi del mercato del lavoro, con ricadute significative sul piano sociale nell’Unione europea.
Con questa consultazione, la Commissione europea riconosce che le concentrazioni non devono più essere valutate solo da una prospettiva economicista-industriale, tutelando in modo ortodosso i soli interessi dei consumatori, ma che possono anche produrre effetti negativi sui lavoratori. Questa novità segnala la volontà di rafforzare l’enforcement includendo obiettivi di interesse pubblico. Nel documento introduttivo alla consultazione, la Commissione afferma che il nuovo quadro dovrà “rafforzare l’efficacia dell’enforcement” ma anche valutare “in che misura il controllo delle concentrazioni possa contribuire ad altri obiettivi di interesse pubblico” (Commissione europea, 2025). Il riferimento al lavoro e alla giustizia sociale non è più marginale, ma parte integrante di questa evoluzione.
Il lavoro come elemento chiave della competitività europea
Da un punto di vista politico, appare ormai chiaro che non sia più possibile costruire un’Europa competitiva senza affrontare in modo strutturale le questioni sociali e occupazionali. È necessario puntare su strategie che valorizzino le esperienze lavorative e orientino i percorsi professionali verso i nuovi ambiti e ruoli considerati strategici dall’Unione europea, alla luce delle grandi transizioni in atto. Questo rende indispensabile una strategia di riconversione e aggiornamento delle competenze, accompagnata da un’assunzione di responsabilità da parte dell’UE nel sostenere tutti i lavoratori coinvolti in questi processi di trasformazione.
Tradizionalmente, le autorità antitrust si sono concentrate sugli effetti delle fusioni su prezzi, scelta dei consumatori e innovazione. Tuttavia, sempre più evidenze dimostrano che le fusioni possono anche ridurre la concorrenza tra datori di lavoro, comprimendo i salari, peggiorando le condizioni contrattuali e ostacolando la mobilità professionale.
Il fenomeno è noto come monopsonio: una situazione in cui pochi acquirenti – in questo caso datori di lavoro – detengono potere sufficiente da influenzare unilateralmente i salari e le condizioni di lavoro. Secondo il Bureau of Labor Statistics, nel 2023 circa il 15% dell’occupazione privata statunitense si trovava in mercati del lavoro “altamente concentrati”, con effetti negativi sui salari reali (BLS, 2023).
Anche in Europa emergono segnali preoccupanti. Nel settore digitale, alcune grandi fusioni hanno già avuto conseguenze sulla qualità del lavoro. Il caso Delivery Hero/Glovo – che ha portato nel 2025 alla prima sanzione dell’UE per un cartello di non-assunzione – rappresenta un precedente significativo, in cui il danno ai lavoratori è stato riconosciuto come effetto anticoncorrenziale.
Combattere questo fenomeno significa, per l’Europa, prendersi cura non solo degli aspetti economico-industriali delle operazioni di fusione, ma includere anche la dimensione occupazionale, che diventa un tema di estrema rilevanza, al pari della tutela dei consumatori. Di conseguenza, sarà necessario introdurre nuove politiche di accompagnamento e strumenti che facilitino la mobilità e la flessibilità dei lavoratori, al fine di raggiungere i risultati auspicati. Questi interventi sono fondamentali per garantire la futura competitività della forza lavoro europea. Nel pieno delle transizioni digitale, verde e demografica, l’Europa deve rafforzare le politiche di formazione e accompagnamento professionale. Il Rapporto Draghi sottolinea l’importanza di collegare autonomia strategica, innovazione e inclusione sociale. La concorrenza, dunque, deve essere declinata anche in chiave lavorativa.
Il controllo delle concentrazioni come leva di giustizia sociale
La valutazione degli effetti occupazionali di una fusione implica un’analisi complessa, Dal punto di vista tecnico, i fattori in gioco da tenere a mente sono
- Potere di monopsonio: la riduzione del numero di datori alternativi in una data area o settore può dare all’entità risultante un potere salariale unilaterale, con impatti su retribuzioni, mobilità e condizioni di lavoro (Naidu et al., 2018).
- Sovrapposizione geografica: se le imprese coinvolte sono i principali datori in una stessa regione, la fusione può creare un quasi-monopsonio locale. Questo aspetto è cruciale nei contesti a bassa densità occupazionale o scarsa mobilità lavorativa.
- Effetti sull’occupazione e sulla formazione: fusioni che comportano esuberi, chiusure o ristrutturazioni possono anche ridurre gli incentivi a investire nel capitale umano, penalizzando l’innovazione.
- Effetti indiretti lungo la filiera: fusioni verticali o orizzontali possono avere impatti a monte o a valle, lungo la catena del valore, influenzando anche i lavoratori di imprese terze.
Sono un profilo politico, invece, il Rapporto Draghi interviene in modo significativo, sottolineando come la competitività futura dell’Europa dipenderà dalla capacità di affrontare le grandi transizioni – digitale, verde e demografica – in modo coordinato, valorizzando il lavoro e investendo nelle competenze. In particolare, il rapporto evidenzia come la debolezza strutturale del sistema industriale europeo abbia generato una “trappola della tecnologia intermedia”, con bassi investimenti e difficoltà nel trasformare l’innovazione in crescita economica.
La sfida, quindi, non è solo tecnologica o industriale, ma anche sociale e formativa: l’Europa non potrà colmare il divario con Stati Uniti e Cina senza rafforzare la propria forza lavoro, garantendo strumenti per l’adattamento e la riqualificazione delle skills.
Dopo il Rapporto Draghi, il futuro del controllo delle concentrazioni potrebbe quindi cambiare profondamente: l’autonomia strategica dell’UE passa anche dalla capacità di proteggere i propri lavoratori, sviluppare competenze nuove e assicurare che le fusioni non aggravino la posizione negoziale dei lavoratori o compromettano la capacità innovativa del tessuto produttivo europeo. La concorrenza resta centrale, ma deve oggi essere letta anche in chiave sociale e strategica, per non lasciare l’Europa schiacciata tra gli hyperscaler statunitensi e i campioni tecnologici cinesi.
Asimmetrie normative tra Europa e Stati Uniti nel controllo delle fusioni
Attualmente, le linee guida UE non includono una metodologia analitica per la valutazione degli effetti sul lavoro sotto i profili concorrenziali. Si applicano infatti le soglie tradizionali di concentrazione (es. HHI > 2500), anche se nei mercati del lavoro queste risultano troppo elevate affinché esse possano avere una effettiva operatività.
Negli Stati Uniti, le 2023 Merger Guidelines pubblicate da FTC e DOJ hanno introdotto soglie più stringenti per il mercato del lavoro, abbassando l’indice di concentrazione a HHI > 1800 e incremento HHI > 100, o quota > 30% (FTC & DOJ, 2023). Inoltre, il potere di monopsonio è considerato illecito anche in assenza di effetti sui consumatori finali, valutando il danno principalmente sul mercato dei lavoratori in termini di salari, benefici e condizioni, anche in assenza di ricadute sui prezzi al consumo.
Questo approccio rappresenta un cambio di paradigma interessante che riconosce il mercato del lavoro come uno spazio competitivo autonomo degno, pertanto, di tutela specifica e non come un effetto secondario dell’esito industriale di una fusione. L’assenza di una simile impostazione nell’ordinamento europeo rischia di generare una asimmetria normativa, rendendo meno efficace la capacità dell’UE di proteggere il proprio modello sociale nei confronti di fusioni che possono produrre effetti negativi sul tessuto occupazionale.
Verso una nuova definizione del mercato del lavoro rilevante
Per iniziare a ragionare su come rendere effettiva questa forma di tutela, è necessario partire dalla ricostruzione delle categorie giuridiche fondamentali del diritto antitrust, a cominciare dalla definizione del mercato rilevante. Nelle prassi, l’analisi si concentra sulla tipologia di impiego dal punto di vista del lavoratore, valutando quali lavori egli sia in grado e disposto a svolgere, tenendo conto delle competenze possedute e della distanza geografica considerata accettabile. Tre dimensioni risultano quindi fondamentali:
- Professionale: nell’individuare i soggetti che fanno parte del mercato del lavoro rilevante, vanno valutati indici quali la sostituibilità delle mansioni e segmentazione per tipologia di occupazione (es. sviluppatori, rider, giornalisti). Questi elementi permettono di delimitare il campo delle professionalità effettivamente in concorrenza tra loro e di identificare le dinamiche di offerta e domanda specifiche per ciascun segmento.
- Geografica: definizione di aree funzionali (commuting zones) in base ai flussi di mobilità, per individuare il perimetro geografico del mercato di lavoro rilevante. Tuttavia, è anche vero che, soprattutto in seguito alla pandemia da Covid-19, si sono affermate in modo diffuso modalità alternative di lavoro, come lo smart working e le soluzioni ibride. Queste trasformazioni hanno modificato profondamente la relazione tra luogo di residenza e luogo di lavoro, rendendo più complessa e fluida la delimitazione geografica del mercato stesso, e richiedendo un aggiornamento dei criteri tradizionali di analisi.
- Contrattuale: un’ulteriore dimensione da considerare riguarda la presenza di vincoli alla mobilità lavorativa, quali clausole di non concorrenza, alti costi di ricerca e transizione per i lavoratori, barriere informative o asimmetrie nei processi di selezione. Tali fattori possono incidere significativamente sulla libertà di movimento nel mercato del lavoro e, di conseguenza, sulla sua effettiva contestabilità.
In questo senso, un esempio interessante è stato il caso Sanoma/DPG Media (ACM, Paesi Bassi), in cui l’autorità antitrust ha incluso i giornalisti freelance nella definizione del mercato, riconoscendone l’elevata mobilità tra testate concorrenti.
Le teorie del danno nel mercato del lavoro post-fusione
Nel contesto delle concentrazioni, la letteratura economica e le autorità antitrust più strutturate riconoscono già oggi diverse teorie del danno specificamente riferite al mercato del lavoro. Le principali sono:
- Monopsony harm: la riduzione della concorrenza tra datori di lavoro può attribuire all’entità risultante dalla fusione il potere di fissare salari e condizioni contrattuali al di sotto del livello competitivo, sfruttando la minore capacità dei lavoratori di trovare alternative equivalenti, generando una forte compressione salariale, soprattutto in contesti a ridotta mobilità (Azar et al., 2020).
- Rischio di coordinamento post-fusione: la fusione aumenta il rischio di collusione tacita o scambio di informazioni su politiche retributive, anche tramite patti di non-assunzione tra le imprese, soprattutto in mercati oligopolistici e concentrati. Questo può avvenire attraverso scambi diretti o indiretti di informazioni sensibili sulle politiche retributive, benefit, livelli occupazionali o attraverso la stipula di no-poach agreements.
- Effetti unilaterali sulla domanda di competenze: una fusione può portare a un ridimensionamento della domanda di alcune professionalità specifiche. L’impresa risultante, diventando dominante in un segmento, potrebbe razionalizzare le funzioni sovrapposte (es. reparti HR, IT, logistica, ecc.), con conseguente riduzione della domanda per determinati profili professionali.
Questo comporta un indebolimento del potere contrattuale di quei lavoratori, una pressione al ribasso sui salari e una minore valorizzazione delle competenze acquisite. - Effetto deterrente sull’ingresso nel mercato del lavoro: la riduzione del numero di datori alternativi e delle opportunità di carriera può scoraggiare l’ingresso di nuovi lavoratori o giovani talenti in un determinato settore, soprattutto se percepito come stagnante o poco attrattivo.
Questo ha effetti negativi sulla dinamicità del mercato del lavoro, sulla formazione e sull’innovazione, poiché un ecosistema occupazionale poco concorrenziale tende a investire meno in capitale umano.
Integrare obiettivi sociali nelle regole antitrust europee
Il dibattito sulle efficienze derivanti dalle fusioni è spesso trattato come una questione di fede – ci si chiede se “ci si creda” o meno. Tuttavia, un sistema giuridico efficace non può fondarsi su mere convinzioni, bensì su un quadro prevedibile, basato su criteri chiari, verificabili e oggettivi. Il Rapporto Draghi ha evidenziato come le priorità politiche e strategiche dell’Unione europea – dall’autonomia tecnologica alla transizione digitale e verde – debbano trovare spazio anche nell’ambito delle politiche di concorrenza, e quindi essere integrate nelle nuove regole che guideranno le future decisioni in materia di concentrazioni.
In questo senso, la consultazione avviata dalla Commissione europea ha introdotto due concetti chiave nel dibattito: complementarità e asimmetria. Come si valutano le efficienze derivanti da complementarità tra imprese? Come si misurano i benefici in scenari in cui i vantaggi e gli svantaggi non sono simmetricamente distribuiti tra attori economici e sociali?
Queste domande non riguardano solo le performance di mercato, ma sono cruciali anche per stimare l’impatto sociale potenziale delle fusioni che la DG Competition sarà chiamata ad analizzare, in un contesto in cui la qualità dell’occupazione e la tutela dei lavoratori assumono un rilievo crescente.
Alla luce di quanto detto, si segnalano le proposte concrete per la revisione delle linee guida europee:
- Introdurreuna teoria del danno autonoma legata al lavoro, riconoscendo che la compressione salariale o la riduzione della mobilità lavorativa possono costituire, di per sé, effetti anticoncorrenziali, anche in assenza di danni per i consumatori finali.
- Definire mercati del lavoro rilevanti sulla base di dati e criteri granulari: distribuzione dell’occupazione, livelli di mobilità intersettoriale e geografica, georeferenziazione delle sedi operative, e analisi funzionali delle mansioni.
- Stabilire nuove metriche occupazionali, tra cui:
- Andamento salariale pre e post-fusione;
- Indicatori di turnover, durata e stabilità dei contratti;
- Indice HHI calcolato sulla quota di occupazione per impresa in mercati locali o settoriali;
- Indicatori di qualità contrattuale (tipologia di contratto, benefit, clausole restrittive).
- Valutare gli effetti indiretti su innovazione e qualità dei servizi, riconoscendo che salari compressi, peggiori condizioni lavorative e scarsa valorizzazione delle competenze possono tradursi in:
- Minore attrattività del settore per nuovi talenti;
- Riduzione della produttività e dell’output complessivo;
- Degrado della qualità dei beni e servizi offerti, con effetti negativi sull’intero ecosistema economico.
Concorrenza e giustizia sociale possono convivere
La consultazione avviata dalla Commissione rappresenta un’opportunità storica per allineare la politica di concorrenza agli obiettivi dell’Unione europea sotto i profili economici e sociali. Integrare gli effetti sul lavoro nel controllo delle concentrazioni non significa politicizzare l’antitrust, ma modernizzarlo in risposta ai nuovi assetti di potere nei mercati digitali e oltre.
Una concorrenza effettiva deve includere non solo il benessere dei consumatori, ma anche la tutela del lavoro, la qualità dell’offerta, e la pluralità economica. Dotarsi di strumenti analitici adeguati – coerenti tra Stati membri – è il passo necessario per una politica di merger control all’altezza delle sfide del nostro tempo. Il rafforzamento dell’Europa passa attraverso la valorizzazione del capitale umano. I lavoratori non possono essere un effetto collaterale: devono diventare un criterio guida nelle valutazioni delle fusioni future.
Di nuovo vogliamo affermare che l’Europa non potrà rafforzarsi senza politiche e azioni chiare nei confronti dei propri lavoratori. Anche nelle analisi delle future fusioni, sarà fondamentale prendere l’elemento umano, sociale come criterio fondamentale ed alla pari di altre considerazioni quali l’autonomia strategica.
Fonti e riferimenti
Delivery Hero/Glovo, Caso CE antitrust – Cartello di non-assunzione, Decisione CE, 2025.
Commissione europea, Consultazione pubblica sulla revisione delle linee guida sulle concentrazioni, 2025.
FTC & DOJ, 2023 Merger Guidelines, Stati Uniti, 2023.
Bureau of Labor Statistics (BLS), Employment Concentration Metrics, 2023.
Azar, J., Marinescu, I., Steinbaum, M., Labor Market Concentration, NBER Working Paper 24147, 2020.
Naidu, S., Posner, E. A., Weyl, E. G., Antitrust Remedies for Labor Market Power, Harvard Law Review, 2018.
Autorità olandese ACM, Decisione Sanoma/DPG Media, 2021.
Bundeskartellamt, Merger Review Guidelines, 2023.
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