La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 124 del 24 luglio 2025, ha escluso la natura tributaria dei contributi a fondo perduto erogati dallo Stato nel periodo dell’emergenza Covid: da ciò deriva che i contenziosi a essi relativi non possono essere validamente instaurati di fronte ai giudici tributari.
Il caso
A rimettere la questione di legittimità costituzionale alla Consulta era stata, nel giugno 2024, la seconda sezione della Corte di giustizia tributaria di primo grado di Genova (reg. ord. n. 143/2024). La CGT era stata investita del ricorso di una società sportiva dilettantistica (SSD) contro l’atto di recupero del contributo inizialmente concessole dall’art. 1 del cd. DL Ristori (DL 137/2020) per l’anno di imposta 2020. L’atto di recupero, con cui l’Agenzia delle Entrate aveva chiesto alla SSD la restituzione del contributo per indebito ottenimento, rinviava peraltro all’art. 25 c. 12 di un altro decreto emergenziale con cui erano stati erogati sostegni alle imprese, il cd. DL Rilancio (DL 34/2020), il quale indicava come disciplina applicabile alle eventuali attività di recupero quella del D.Lgs. 546/1992.
La CGT genovese, ritenendo che tali misure non avessero natura tributaria, ha quindi sollevato questione di legittimità costituzionale in riferimento a entrambe le norme (oltre che per contrasto con il principio di uguaglianza dell’art. 3 Cost.) per possibile violazione dell’art. 102 c.2 Cost.: secondo la giurisprudenza costituzionale, infatti, “l’attribuzione alla giurisdizione tributaria di controversie non aventi natura tributaria comporta la violazione del divieto costituzionale di istituire giudici speciali” (cfr. Corte Costituzionale n. 39/2010 e 64/2008).
La decisione della Consulta
Nell’accogliere la questione, i giudici costituzionali hanno dapprima confermato la natura di “organo speciale di giurisdizione preesistente alla Costituzione” delle Corti di giustizia tributarie, in qualità di “eredi” delle Commissioni tributarie nell’esercitare la giurisdizione sui rapporti di natura tributaria.
Successivamente, la Consulta ha confermato che, sia il contributo del DL Ristori che quello del DL Rilancio, non hanno natura tributaria; e che quindi la loro sottoposizione alla giurisdizione tributaria viola l’art. 102 c.2 della Costituzione. Essi, infatti:
- difettano del carattere della “definitiva decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo“;
- non consistono in una “riduzione del carico tributario altrimenti gravante sul soggetto“;
- non presuppone un “pregresso rapporto tributario“.
Trattandosi di erogazioni dello Stato di somme di danaro a operatori economici privati, i due articoli integrano misure “di aiuto e sostegno economico a favore di una determinata categoria di soggetti, che – stante la situazione di emergenza dettata dalla pandemia da COVID-19 […] – ha subito una riduzione dell’attività economica e, quindi, del fatturato e dei compensi“. Tale natura si desume anche “dalla circostanza che il contributo erogato è escluso dalla base imponibile delle imposte sui redditi delle persone fisiche e sulle attività produttive” per non depotenziarne gli effetti economici positivi.
Tale conclusione non è contraddetta, proseguono i giudici, né dalla scelta di parametrare l’an e il quantum dei contributi a dati fiscali (es. titolarità partita IVA e/o riduzione del fatturato), né che la relativa attività di controllo fosse demandata all’Agenzia delle Entrate.
Fonte: Corte Costituzionale, sentenza n. 124 del 24 luglio 2025
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