La nuova mappa delle aspettative
Luglio si chiude con una fotografia a tinte miste per l’economia italiana. Secondo l’Istat, la fiducia dei consumatori è risalita da 96,1 a 97,2 punti, grazie a un clima estivo favorevole, alla stabilità dei prezzi e alla tenuta occupazionale. Ma sul fronte delle imprese il quadro si è nuovamente oscurato: dopo due mesi di lieve risalita, l’indice è sceso da 93,9 a 93,6. Segno che la tempesta dei dazi americani, innescata dal presidente Trump il 2 aprile scorso con l’annuncio di nuove tariffe sul Made in Europe, continua a scuotere la bussola delle aziende italiane.
La fiducia dei consumatori? Un effetto vacanze
La crescita dell’indice dei consumatori è stata giudicata “fragile e stagionale”. “È un classico effetto vacanze”, ha dichiarato Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori. “C’è un miglioramento nelle attese personali, ma le aspettative sull’economia italiana crollano: da -37,9 a -45,7 punti. È un calo di quasi 8 punti in un solo mese, e non può essere ignorato”.
Eurostat conferma la dinamica in Europa, dove il morale dei cittadini resta sotto i livelli pre-pandemia e pre-guerra. Tuttavia, Confcommercio osserva “apprezzabili segnali di ripresa dell’auto-percezione familiare”, un primo passo che potrebbe rilanciare i consumi e “riportare la crescita del Pil 2025 vicino allo 0,8%”.
A incoraggiare le famiglie è anche il rallentamento dell’inflazione: secondo i dati Eurostat del 16 luglio 2025, l’indice europeo dei prezzi al consumo è sceso sotto il 2% annuo, dopo aver toccato il 10% a metà 2022.
Le imprese tra dazi e incertezza
Dall’altra parte dello specchio, le imprese italiane tornano a guardare al futuro con preoccupazione. A zavorrare le aspettative sono “i dazi americani annunciati e non ancora scongiurati, che alimentano lo spettro di una guerra commerciale con l’Europa”, secondo il Codacons.
Le imprese dei servizi, del commercio e delle costruzioni hanno tutte visto peggiorare i rispettivi indicatori, mentre le uniche a registrare un miglioramento — per quanto parziale — sono quelle manifatturiere. Ma anche qui i numeri restano bassi: l’indice è a 87,8, contro il 100 del 2021.
Secondo l’economista Lorenzo Codogno, “i dazi americani si ritorceranno principalmente sui consumatori statunitensi, più che sull’industria europea”.
Tuttavia, il peso dell’incertezza è reale. I Purchasing Managers’ Index (PMI) pubblicati da S&P Global il 23 luglio mostrano che il comparto manifatturiero europeo è ancora in territorio negativo, ma vicino alla soglia dei 50 punti che segna la fine della recessione.
Oltre la congiuntura: una ripresa ancora da costruire
Al di là degli indici, l’Italia rimane sospesa tra due dinamiche opposte: da un lato la fine del ciclo inflattivo e il rimbalzo dei redditi reali; dall’altro la frenata delle esportazioni, il rallentamento tedesco e le incognite sulla politica commerciale degli Stati Uniti.
L’Istat, nel suo report mensile, avverte che “il quadro resta caratterizzato da andamenti contrastanti”, e che le aspettative di famiglie e imprese rispondono più agli shock esterni che a una reale stabilizzazione del sistema economico.
Segnali più strutturali arrivano dal fronte pubblico. Il governo tedesco ha annunciato il 22 luglio un nuovo pacchetto di investimenti da 38 miliardi di euro per sostenere la domanda interna e l’innovazione verde. “Una vera ripresa potrà poggiare solo su questa combinazione: più spesa pubblica per stimolare la crescita e meno dipendenza dagli umori geopolitici”, ha commentato il think tank Bruegel.
La trappola dell’ottimismo fragile
L’andamento a doppia velocità della fiducia in Italia riflette un contesto internazionale ancora profondamente instabile. Il ciclo economico è appeso a fattori esogeni: l’evoluzione del negoziato Ue-Usa sui dazi, il conflitto in Ucraina, la politica monetaria della Bce e le turbolenze finanziarie in Cina.
La ripresa dei consumi rischia di essere solo congiunturale se non sostenuta da un rilancio stabile della produttività e dell’occupazione qualificata. Le imprese, schiacciate tra costi energetici ancora elevati, dumping commerciale e scarsità di manodopera tecnica, attendono certezze che tardano ad arrivare.
L’Italia non è sola in questa altalena: anche Francia e Spagna registrano un divario crescente tra la fiducia dei consumatori (trainata dal turismo) e quella delle imprese (penalizzate dalla volatilità internazionale).
Il rischio è quello di un’economia europea polarizzata, in cui le famiglie guardano con sollievo al presente, ma le imprese temono di non avere un futuro.
Un’Italia bifronte
Luglio 2025 ci consegna un’Italia bifronte: ottimista sotto l’ombrellone, ma inquieta nelle fabbriche e negli uffici. Serve una politica economica più coraggiosa e integrata a livello europeo per spezzare il ciclo dell’incertezza e trasformare la fragile fiducia estiva in un’autentica svolta di sistema.
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