L’investimento da 10 milioni per i sistemi di accumulo. Come funziona la tecnologia della startup e perché Google ne ha bisogno per ridurre le emissioni dell’AI
Google punta sulle grandi batterie di Energy Dome, la startup italiana che piace ai signori della tecnologia. Big G è entrata nell’azionariato della società con sede a Milano, già sostenuta da investitori del calibro di 360 Capital, Cdp Venture, la famiglia Moratti, Eni e Breakthrough Energy Catalyst, un’iniziativa del fondatore di Microsoft, Bill Gates.
L’investimento di Google
L’investimento di Google nel capitale di Energy Dome si aggirerebbe intorno ai 10 milioni, ma l’impegno «industriale» della big tech californiana è molto più rilevante. Google ha infatti stretto anche un accordo commerciale con la startup italiana per utilizzare i suoi sistemi di accumulo delle fonti rinnovabili in Europa, America e Asia. Impianti che costano circa 50 milioni e che ora Google andrà a finanziare, confermando la validità del progetto di Energy Dome.
La soluzione di Energy Dome
Le batterie della startup fondata e guidata da Claudio Spadacini assomigliano a mega-serre. Al loro interno è conservata dell’anidride carbonica che viene «schiacciata» con compressori, alimentati dall’energia prodotta da fonti rinnovabili come eolico e solare. In questo processo si produce calore che viene stipato in cilindri-thermos, mentre la Co2 diventa liquida ed è conservata in recipienti a temperatura ambiente. Quando è il momento di restituire energia alla rete, il calore accumulato è utilizzato per riportare allo stato gassoso la Co2 che fa poi girare una turbina generando così energia.
L’impianto in Sardegna
Il vantaggio della soluzione sono da un lato l’efficienza: le batterie di Energy Dome restituiscono il 75% dell’energia immessa. Dall’altro, il fatto che la startup utilizzi solo acciaio, acqua, Co2 e plastica, eliminando quindi terre rare, litio e altri materiali «critici» forniti in larghissima parte dalla Cina. La startup ha avviato un primo impianto in Sardegna in grado di fornire elettricità a circa 14.000 famiglie per un periodo continuato di 10 ore.
Le emissioni dell’AI
L’obiettivo dell’intesa fra Google ed Energy Dome è risolvere uno dei principali problemi dei giganti tecnologici: l’intelligenza artificiale e cloud richiedono enormi quantitativi di energia e, quindi, produce molto inquinamento. L’anno scorso, le emissioni di anidride carbonica di Google sono aumentate del 51% rispetto al dato del 2019 a causa soprattutto dell’aumento del consumo di elettricità (+27% solo nel 2024) da parte dei data center.
L’esigenza delle big tech
Oltre a investire sui reattori nucleari, perciò, le big tech americane sono alla ricerca di soluzioni che consentano di immagazzinare energie rinnovabili per poi rilasciarle alla bisogna, risolvendo così il problema dell’intermittenza di sole e vento. «Google è impegnata ad alimentare le proprie operazioni con energia pulita —ha detto Maud Texier, direttore Emea Energy del gruppo guidato da Sundar Pichai— e la soluzione di Energy Dome può aiutarci a fare rapidi progressi».
L’iniziativa Limenet
Di recente, Google ha sostenuto anche un’altra startup italiana. Frontier, l’iniziativa promossa da Stripe, Google, Shopify, Meta e McKinsey per sostenere tecnologie di rimozione della CO2, ha infatti siglato con la startup italiana Limenet un accordo di pre-acquisto di crediti di carbonio del valore di 500 mila dollari.
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