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meglio Stati Uniti o Europa?


Abbiamo iniziato la seconda metà del 2025 e ci troviamo a dover considerare se sia più vantaggioso investire in titoli di stato degli Stati Uniti o in quelli di stati Europei, in particolare i titoli di stato italiani. Il panorama attuale è caratterizzato da tassi di interesse variabili, livelli di fiducia degli investitori e rischi associati che meritano un’attenta valutazione.

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Si chiude una settimana che ha visto la BCE lasciare invariati i tassi di interesse, come era nelle attese della vigilia, dopo otto tagli dal giugno dello scorso anno per complessivi 200 bps. Secondo la BCE, l’inflazione è attualmente pari all’obiettivo del 2% a medio termine e le pressioni interne sui prezzi hanno continuato ad attenuarsi, a fronte di un rallentamento dei salari. Nonostante l’economia continui a mostrare nel complesso una buona capacità di tenuta in un difficile contesto congiunturale, lo scenario complessivo resta eccezionalmente incerto, soprattutto a causa degli effetti dei dazi, non ancora ben definiti. Sulle mosse future la BCE non si sbilancia. Il Consiglio direttivo continuerà quindi a seguire un approccio guidato dai dati in base al quale le decisioni verranno adottate di volta in volta ad ogni riunione.

Settimana che ha visto anche il sostanziale miglioramento dei PMI dell’Europa di luglio, a cominciare dal manifatturiero salito a 49.8 punti (da 49.5 punti di giugno), che tuttavia continua a stazionare sotto i 50 punti che indicano recessione. Bene invece il PMI servizi che raggiunge 51 punti da 50.6 punti di giugno e che consolida la ripresa.

Di diverso tenore invece i PMI statunitensi di luglio. Il PMI manifatturiero scende a 49.5 punti (da 52 punti di giugno), segnalando che la ripresa della manifattura voluta da Trump con i dazi, avrà tempi decisamente più lunghi di quelli desiderati. In ulteriore rafforzamento invece il PMI dei servizi, che raggiunge 55.2 punti a luglio da 52.9 punti di giugno.
Hanno inoltre cominciato ad uscire i risultati del 2Q25 (e quindi del 1H25) delle principali società sia statunitensi che Europee. Se mediamente gli utili sono in rialzo rispetto al 2Q24, la guidance per il 2H25 che il management di alcune società sta fornendo al mercato, soprattutto con riferimento ai dazi e quindi al rialzo dell’inflazione e al rallentamento economico, hanno allarmato gli investitori.

I principali indici italiani chiudono la settimana in territorio positivo: il FTSE MIB ha fatto registrare +1.03% (+19.13% dall’inizio dell’anno), il FTSE ITALIA STAR +0.18% (+5,07% dall’inizio dell’anno) e il FTSE ITALIA GROWTH +0.89% (+5.54% dall’inizio dell’anno).

Miglior titolo della settimana Iveco Group (+15,42%) sui rumors che sarebbe pronto l’accordo tra Exor (che controlla il 27.06% di Iveco) e Tata Motors per la vendita a quest’ultima di Iveco. Dalla trattativa sarebbe esclusa la divisione difesa, oggetto di trattative di vendita separate.
Medaglia d’argento per Interpump (+7,78%), grazie anche al recente report di Beremberg che ha alzato il rating a Buy e rivisto al ribasso a 49 euro per azione (da 50) il target price.

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Terzo miglior titolo Stellantis (+7,01%). Il nuovo CEO Filosa ha comunicato che aggiornerà la guidance del gruppo dopo l’annuncio delle stime preliminari, dove pesano oneri straordinari per 3.3 miliardi, oltre a impatti valutari e dazi Usa. Stellantis ha comunicato di attendersi segnali di ripresa nella seconda metà dell’anno.
Peggior titolo della settimana Stmicroelectronics, che lascia sul campo il -20.37%. I conti del 2Q25 non sono piaciuti al mercato: il fatturato è sceso del 14.4% a 2.77 miliardi di dollari, mentre la marginalità è scesa al 33.5% (dal 40.1% del 2Q24) a causa in particolare del peggioramento del mix di prodotto, di minori efficienze di produzione e da maggiori oneri dovuti da sottoutilizzo della capacità produttiva.

Secondo peggior titolo della settimana Brunello Cucinelli (-3,90%) che rifiata dopo aver toccato un massimo relativo e nonostante il recente report di Intesa che ha mantenuto il Buy rating e alzato il target price a 119 euro per azione (da 116).
Terzo peggior titolo Saipem (-3,64%). Il mercato non ha pienamente gradito l’annuncio della firma dell’accordo vincolante di fusione con Subsea7. La società risultante sarà ridenominata Saipem7 e potrà contare su ricavi per circa 21 miliardi di euro, un Ebitda di oltre 2 miliardi e un portafoglio ordini aggregato di 43 miliardi. Gli azionisti di Subsea7 che parteciperanno alla fusione riceveranno 6,688 nuove azioni Saipem per ogni azione detenuta in Subsea7. Assumendo che tutti gli azionisti di Subsea7 partecipino alla fusione, al perfezionamento dell’operazione il capitale di Saipem7 sarà detenuto in misura paritetica (50-50) dagli attuali azionisti di Saipem e Subsea7.


Panoramica sui titoli di stato statunitensi

Attualmente, i titoli di stato statunitensi – i Treasury – rappresentano un’opzione di investimento altamente considerata dagli investitori. Con un totale di 8.5 trilioni di dollari di titoli detenuti da investitori stranieri, la fiducia in questi strumenti è evidente. Paesi come Giappone e Cina continuano a mantenere posizioni significative, attestando la stabilità e la sicurezza associate ai Treasury. Gli investitori possono osservare come il debito pubblico degli Stati Uniti, che ammonta a 36.2 trilioni di dollari, venga di fatto supportato da una robusta domanda, soprattutto per i titoli a lungo termine. Questa fiducia si traduce in un’opportunità per coloro che cercano un rifugio “sicuro” (le virgolette perché di sicuro ci sono solo le tasse e la morte), nel contesto di un’economia globale incerta.

La reputazione dei titoli di stato statunitensi come beni rifugio è comunque ben consolidata. La loro capacità di resistere a fluttuazioni economiche e crisi finanziarie li rende attraenti per gli investitori. Secondo un report di Morgan Stanley, l’attuale contesto economico suggerirebbe che investire in obbligazioni a lungo termine possa essere una scelta vantaggiosa. A patto ovviamente di accettare il rischio/rendimento e di tenere i titoli fino alla scadenza. Nonostante il dibattito sui tassi di interesse e l’inflazione, i Treasury continuano infatti ad offrire un’opzione solida e sicura, con una raccomandazione per una duration di almeno dieci anni. Questa strategia consente di proteggere il capitale e percepire un reddito interessante.

Ecco alcuni punti chiave dei titoli di stato statunitensi:
– stabilità: i titoli di stato americani sono considerati un “bene rifugio”. La loro solidità è supportata da un rating di credito molto elevato;
– domanda costante: la domanda, sia da investitori domestici che esteri, rimane alta, contribuendo a mantenere accettabile il rendimento a lungo termine;
– Strategia di investimento: gli analisti suggeriscono di considerare investimenti in titoli a lungo termine per massimizzare la stabilità e il potenziale di apprezzamento del capitale. Concentrarsi su
scadenze più lunghe si basa ovviamente sull’aspettativa di un contesto di tassi in diminuzione.


Panoramica sui titoli di stato europei

D’altra parte, i titoli di stato europei, e in particolare i Buoni del Tesoro Poliennali (BTP) italiani, presentano un contesto più complesso da decifrare. Con un rapporto debito/PIL previsto intorno al 135% entro la fine del 2025, l’Italia si trova ad affrontare sfide significative. Le previsioni di un’emissione di debito pubblico elevata, che raggiungerà quest’anno 330 – 350 miliardi di euro e che sottrae risorse al settore privato che quindi investe sempre meno, sollevano interrogativi sulla sostenibilità del tasso di crescita del PIL Italiano e di riflesso della politica fiscale italiana. L’aumento della pressione fiscale sottrae infatti risorse al consumo di beni e servizi e per questa via non consente al PIL di crescere al suo livello potenziale. Anche se i rendimenti dei BTP decennali intorno al 3.50% sono competitivi rispetto a quelli dei Bund tedeschi, intorno al 2.6%, il rischio associato alla contenuta crescita economica, alla dipendenza dall’investimento estero e alle riforme strutturali della nostra economia che ancora una volta non consentono la piena espressione della crescita potenziale del PIL, rendono di fatto questi titoli meno attraenti per gli investitori poco amanti del rischio.
La necessità dell’Italia di attrarre investimenti esteri per assorbire l’aumento dell’emissione di debito introduce ulteriori incertezze. Il sempre difficile coinvolgimento degli investitori retail e la crescente dipendenza dalle istituzioni estere possono influenzare negativamente la percezione del mercato riguardo ai BTP. In un contesto globale in cui i titoli di stato statunitensi sono considerati un’opzione più sicura, la capacità dell’Italia di mantenere la fiducia degli investitori è quindi cruciale. Per questi motivi, considerando la situazione attuale, risulta prudente riflettere su una durata più corta per gli investimenti in titoli italiani, fino a quando non si avrà maggiore chiarezza sulla stabilità economica e fiscale del paese.


Analisi comparativa: titoli di stato statunitensi vs. europei

Quando mettiamo a confronto i titoli di stato statunitensi con quelli di diverse nazioni europee, emerge chiaramente che i Treasury offrono un profilo di rischio molto più favorevole (basta guardare ai rating). La solidità e la fiducia che questi titoli ispirano agli investitori, unita alla loro stabilità, li rende un’opzione preferibile per chi cerca la sicurezza del proprio portafoglio. Al contrario, l’incertezza che circonda i titoli dell’Europa, non sempre riesce a compensare i rischi associati ad un debito pubblico in aumento e ad una fiducia degli investitori potenzialmente volatile. In questo contesto, una strategia di investimento focalizzata su titoli statunitensi e che tenga conto di un profilo di rischio/rendimento adeguato, sembra la scelta più saggia e redditizia per il resto del 2025.
Considerando i titoli di stato statunitensi, è chiaro che il loro status di “safe haven” gioca un ruolo cruciale nella decisione di investimento. In un contesto di potenziale rallentamento economico, i titoli di stato della prima economia al mondo potrebbero offrire non solo un rendimento “sicuro” ma anche un’opportunità di apprezzamento del capitale.

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Conclusione

Provando a trarre una conclusione, diciamo che la decisione di investire in titoli di stato statunitensi o europei nella seconda metà del 2025 non è semplice e richiede una valutazione attenta delle opportunità e soprattutto dei rischi associati a ciascuna opzione. Abbiamo esaminato la stabilità e la fiducia nei titoli di stato statunitensi, che continuano ad essere visti come un rifugio sicuro per gli investitori, grazie alla forza dell’economia americana. Tuttavia, non possiamo ignorare il potenziale di rendimento e le opportunità che i titoli di stato europei, in particolare quelli italiani, possono offrire, soprattutto in un contesto di tassi di interesse in evoluzione.

Riconoscendo i rischi collegati agli investimenti esteri, è fondamentale che consideriamo attentamente anche la duration dei titoli. I titoli con duration maggiore possono offrire rendimenti più elevati, ma comportano anche maggiori rischi di fluttuazione di tassi d’interesse. D’altro canto, i titoli a breve termine possono fornire una maggiore protezione contro la volatilità del mercato: minore rischio, minore rendimento.

In definitiva, la scelta tra titoli di stato statunitensi ed europei dipende dalle nostre preferenze in termini di rischio, rendimento atteso e orizzonte temporale. Sicuramente la diversificazione geografica e per scadenze degli investimenti tende a ridurre fortemente il rischio complessivo di quella parte di portafoglio destinata alle obbligazioni.
Con un’analisi accurata e una strategia ben definita, possiamo prendere decisioni di investimento più informate, che ci porteranno verso un futuro finanziario più sicuro e proficuo. Restiamo vigili e pronti ad adattarci alle condizioni di mercato, perché solo così potremo massimizzare il nostro potenziale di guadagno.


Antonio Tognoli testina

Antonio Tognoli

 

Ho iniziato a lavorare come analista finanziario nel 1983, occupandomi di economia e politica economica e nel frattempo mi sono laureato in scienze bancarie, finanziarie e assicurative. Oggi mi occupo di analisi macroeconomica all’interno di Corporate Family Office – CFO SIM. Giornalista pubblicista, docente ai corsi post laurea de “24Ore Business School” e dell’Associazione Italiana per l’Analisi Finanziaria – AIAF e co-autore del libro Analisi Finanziaria e Valutazione Aziendale, a cura di Franco Pedriali.

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