Dopo che la Commissione Ue ha respinto la bozza di decreto sugli indennizzi, il ministro delle infrastrutture Matteo Salvini rassicura i balneari: “La linea fortemente voluta da Salvini per tutelare 30mila famiglie e imprese del settore balneare è coerente con il programma elettorale del centrodestra, ma soprattutto con il buonsenso”, recitava ieri una nota attribuita a fonti del Mit. “Per questo, ritenendo la proposta in campo equilibrata anche alla luce dell’aumento del canone, non ci saranno arretramenti”. Ma nel frattempo è arrivato un altro niet: si tratta del Consiglio di Stato, che in una relazione di trenta pagine – richiesta a fine giugno dallo stesso ministero e arrivata martedì – ha demolito l’intero provvedimento.
Nella disciplina delle concessioni demaniali marittime, scrive Palazzo Spada, “non è dato rinvenire una disposizione che imponga il riconoscimento automatico e generalizzato di un indennizzo a favore del concessionario uscente, alla scadenza del rapporto concessorio”. Al contrario, “l’articolo 49 del codice della navigazione prevede che quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili costruite sulla zona demaniale restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell’autorità concedente di ordinarne la demolizione con la restituzione del bene demaniale nel pristino stato”.
Secondo i giudici, l’indennizzo sarebbe “un indebito arricchimento, proiettabile come vantaggio competitivo”. Palazzo Spada invita a consentire la remunerazione degli investimenti a una “eventuale e autonoma negoziazione” tra uscente e subentrante, ma non può essere inserita come obbligo. Anche perché si tratterebbe di una misura in contrasto con la direttiva Bolkestein, che “non potrebbe che sortire un esito disapplicativo”. Considerazioni dure, che forse costringeranno Salvini a valutare i passi indietro che afferma di non voler fare.
Nel frattempo, al ministro arrivano le dichiarazioni di sostegno da parte delle associazioni di categoria. “Apprezzamento per la dichiarazione del ministro Matteo Salvini sulla questione balneare”, dicono in una nota congiunta Antonio Capacchione, presidente di Sib-Confcommercio, e Maurizio Rustignoli, presidente di Fiba-Confesercenti. “Confidiamo che l’intero governo e tutte le forze politiche difendano un settore costituito da decine di migliaia di famiglie di onesti lavoratori autonomi che hanno costruito un modello di balneazione attrezzata efficiente e di successo che il mondo ci invidia. Sacrosanto il diritto a un indennizzo per quei concessionari che dovessero perdere il lavoro e l’azienda che hanno realizzato, confidando nelle leggi dello Stato che garantivano la continuità aziendale. Del resto anche il precedente governo Draghi l’aveva prevista con l’articolo 4 della legge 118/2022. Così come la stessa Commissione europea l’ha accettata, concordando nel settembre dello scorso anno quanto disposto dall’articolo 1 del decreto 131/2024. Un voltafaccia su questo diritto, magari svilendolo o rendendolo fittizio, sarebbe l’ennesimo attacco alla balneazione attrezzata italiana che costituisce un elemento di vantaggio competitivo del Paese nel mercato internazionale delle vacanze. Una confisca senza indennizzo sarebbe contraria agli elementari principi della civiltà giuridica italiana ed europea e fonte certa di contezioso in ogni sede giudiziaria sia amministrativa che civile”.
Sulla stessa linea Marco Maurelli di Federbalneari: “Esprimiamo forte preoccupazione per l’evidente incomprensione da parte della Commissione europea riguardo ai contenuti del decreto ministeriale in materia di concessioni balneari e al contempo prendiamo atto con favore della volontà e delle ottime intenzioni del ministro Salvini nel voler difendere con determinazione il nostro comparto. Lo esortiamo e incoraggiamo a proseguire con coerenza nel percorso intrapreso, anche attraverso l’integrazione del decreto ministeriale sugli indennizzi, al fine di renderlo più concreto, efficace e realmente capace di tutelare le oltre 30.000 imprese balneari italiane, vero e proprio patrimonio del made in Italy. Federbalneari auspica un confronto tempestivo e costruttivo tra il governo italiano e la Commissione Ue, volto a chiarire e migliorare i contenuti del decreto, in un’ottica di tutela delle imprese e di stabilità per l’intero settore turistico-costiero. Il rischio di un contenzioso prolungato, unito allo stato di incertezza e caos nella programmazione del turismo balneare, è purtroppo sempre più concreto e non possiamo permettere che le imprese italiane vengano lasciate sole, senza il rispetto dovuto per le funzioni sociali ed economiche che quotidianamente svolgono sui nostri litorali. Chiediamo con forza alla Commissione europea che sia lo Stato italiano, in modo sovrano e responsabile, ad armonizzare e tutelare le esigenze delle imprese turistiche, riconoscendo il valore e l’unicità del comparto balneare italiano, e garantendo così anche la possibilità di pianificare gli investimenti futuri”.
Anche da parte di Assobalneari, “pieno sostegno alla linea espressa dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, fortemente voluta dal vicepremier Matteo Salvini, in merito al confronto in atto con la Commissione europea sul Mercato interno riguardo la questione delle concessioni balneari”, dice il presidente Fabrizio Licordari. “La volontà di tutelare oltre 30mila famiglie e imprese italiane del comparto balneare non è solo coerente con gli impegni programmatici del centrodestra, ma rappresenta un atto di responsabilità istituzionale e di difesa della nostra economia reale, fatta di lavoro, investimenti, legalità e presenza sul territorio. Sottolineo con forza che il tavolo tecnico interministeriale istituito presso Palazzo Chigi, che ha coinvolto ben nove ministeri insieme ai rappresentanti delle regioni, con il Mit come capofila, ha stabilito in modo chiaro e documentato che in Italia la risorsa ‘costa’ non è scarsa. Questo dato è cruciale: in assenza di scarsità, non sussistono i presupposti tecnici né giuridici per procedere alle gare, come erroneamente e strumentalmente richiesto dall’apparato tecnocratico della Commissione del mercato interno. Va inoltre ricordato che la nostra non è un’eccezione. La battaglia che oggi riguarda i balneari è la stessa che in questi anni, ha coinvolto gli operatori del commercio ambulante e i tassisti. Tutte categorie radicate nel tessuto economico e sociale del paese, messe sotto attacco da una visione ideologica e strumentale della concorrenza che nulla ha a che fare con la realtà italiana. Prima noi, poi loro: lo schema è sempre lo stesso, e va fermato una volta per tutte. Di qui la richiesta al governo italiano, in primis al presidente del consiglio Giorgia Meloni, di mantenere una posizione ferma e unitaria nei confronti della Commissione europea, senza cedere ad alcuna forma di pressione. Non si tratta di una battaglia corporativa, ma di una difesa legittima dell’interesse nazionale, della continuità aziendale e della certezza del diritto”.
Questa, infine, la posizione di Cristiano Tomei, coordinatore nazionale Cna Balneari: “È fondamentale confermare il contenuto del decreto interministeriale sul riconoscimento degli investimenti effettuati dalle attuali imprese nalneari. Un provvedimento equilibrato con i principi comunitari e che tiene conto del valore apportato al turismo da 30mila piccole imprese di settore”.
Sul fronte politico, insiste all’attacco il senatore del Movimento 5 Stelle Marco Croatti: “Dopo la Commissione Ue anche il Consiglio di Stato ha praticamente passato nel tritacarte la bozza di decreto ministeriale sugli indennizzi dei balneari voluto dal governo Meloni. Una bocciatura totale e umiliante che certifica l’inadeguatezza dell’esecutivo. È l’ultimo atto di una presa in giro ormai pluriennale dei vari Meloni, Gasparri e Salvini nei confronti di un comparto che doveva già essere aperto a gare pubbliche da un pezzo per eliminare storture storiche, privilegi feudali e per dare tutele ai cittadini e certezze ai concessionari. La commissione Ue e il Consiglio di Stato in queste ore si sono espresse con grande durezza bocciando incentivi che sono contro il diritto italiano ed europeo e che, per altro, avrebbero limitato la concorrenza e favorito soltanto i grandi capitali. E qui c’è uno degli aspetti più gravi: in tre anni il governo Meloni non ha fatto nulla per inserire tutele future per le piccole imprese, per proteggere il lavoro, per garantire diritti ai cittadini; i Comuni dovranno correre in ordine sparso per indire gare che sono diventate sempre più urgenti per via della costosa procedura d’infrazione che rischia di colpire il Paese e per evitare ricorsi e denunce rispetto ad una proroga delle concessioni al 2027 ritenuta illegittima. Davvero un capolavoro di incapacità, mentre il comparto affonda e da anni continua a perdere competitività per mancanza di certezze e investimenti”.
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