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O cambiano la logistica. O muore quella onesta


Non è facile cambiare un assetto consolidato. Ma non abbiamo più tempo per girarci intorno.
O saremo noi a guidare la transizione del sistema logistico nazionale, oppure sarà il mercato – in modo brutale – a fare selezione. E spesso, le prime a uscire saranno proprio le imprese più oneste.

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Serve una presa di posizione unitaria da parte delle tante (troppe) sigle associative. Serve il coraggio di parlare con una voce sola davanti alle istituzioni. Serve costruire una nuova cultura della filiera, dove si lavora da pari a pari, su base di qualità, legalità e trasparenza

Negli ultimi mesi, ho raccolto sempre più testimonianze di imprese manifatturiere e della distribuzione – in particolare nel settore agroalimentare – che acquistano servizi logistici e di autotrasporto a condizioni insostenibili. Condizioni imposte, in molti casi, con tariffe ben al di sotto dei costi minimi previsti per garantire un servizio sicuro, regolare, conforme alle normative. Una spirale al ribasso che mette a rischio non solo la legalità del settore, ma la sua stessa tenuta economica.

Mai come oggi è necessario che tutti gli attori della filiera si assumano le proprie responsabilità, a partire dai vertici associativi di categoria. Troppo spesso autoreferenziali, più impegnati a marcare le differenze che li dividono che a costruire una visione comune, faticano ad aggregarsi attorno a temi fondamentali come la dignità del lavoro e la trasparenza nel settore. Intanto, le imprese che rappresentano affrontano ogni giorno sfide sempre più complesse e urgenti.

Massimo Marciani, fondatore di FIT Consulting

Sebbene spesso accorpati nel dibattito pubblico, logistica e autotrasporto non sono la stessa cosa.
L’autotrasporto è oggi la componente più esposta alla pressione dei prezzi, mentre la logistica – intesa come gestione di magazzini, handling, preparazione ordini – combatte ogni giorno con standard di qualità, produttività e sostenibilità sempre più elevati.

Eppure, entrambe le componenti rispondono a una logica chiara: la logistica si attiva solo quando viene sollecitata dalla domanda di produzione e consumo. Non si movimentano merci per sport: si pianificano risorse, si mobilitano mezzi e persone, si rispettano normative. E si garantisce un servizio.

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La qualità dell’offerta logistica è direttamente proporzionale alla qualità della domanda.
Se la committenza chiede puntualità, tracciabilità e sostenibilità, il mercato risponde. Se l’unico criterio è il prezzo più basso, si avvia un processo di erosione che colpisce tutti: operatori, lavoratori, comunità.

Sia chiaro: non tutte le committenze adottano comportamenti scorretti e non tutti i trasportatori accettano condizioni inaccettabili. In molti segmenti si vedono esempi virtuosi, contratti chiari, relazioni equilibrate. Ma sono ancora troppo pochi e troppo spesso ignorati.

Nel breve termine, tagliare i costi logistici può sembrare una scelta efficace. Ma sul lungo periodo, il prezzo lo paga l’intero sistema-Paese: meno sicurezza, meno investimenti, meno innovazione. Un mercato che seleziona solo sul prezzo espelle chi lavora bene e lascia spazio a chi vive sul filo della legalità. 

E qui nasce una domanda scomoda, ma inevitabile: è questo il modello logistico con cui vogliamo sostenere il Made in Italy? Un sistema in cui si investe nella produzione, ma si rinuncia al controllo sulla distribuzione? Dove basta un camion disponibile al piazzale per affidare una filiera?

E come possiamo accettare che proprio aziende a controllo pubblico, come l’ex ILVA, non riconoscano i costi minimi di sicurezza fissati dallo Stato? Una contraddizione che mina la credibilità delle istituzioni e legittima comportamenti distorsivi anche nel privato.

È tempo di cambiare le del gioco

Anche gli operatori della logistica e dell’autotrasporto devono guardarsi allo specchio. Ha ancora senso ricevere incentivi pubblici in un sistema dove non si premia l’innovazione, la formazione, la trasparenza?
Ha senso continuare con contributi generalizzati che non distinguono tra chi lavora bene e chi no?

Una proposta concreta potrebbe essere quella di ripensare gli attuali incentivi pubblici – oggi circa 1,4 miliardi di euro l’anno – premiando la domanda qualificata, ossia quella che sceglie operatori certificati, regolari, sostenibili.

Ma attenzione: prima di redistribuire le risorse, serve garantire una condizione base: che le regole vengano rispettate da tutti. Senza controlli reali e criteri trasparenti, qualsiasi incentivo rischia di diventare solo un altro strumento inefficace.

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Oggi in Italia ci sono circa 100.000 imprese di autotrasporto, più della metà con meno di cinque veicoli.
Una frammentazione patologica, che ostacola ogni possibilità di investimento, crescita, innovazione.

Non è solo un problema del settore. È uno dei motivi strutturali per cui la produttività italiana è ferma da vent’anni. Aggregare, creare reti, rafforzare la capacità contrattuale è l’unica strada per uscire dalla marginalità.

In questo senso, occorre anche rompere il meccanismo della dipendenza economica tra fornitore e committente. Come già avviene in altri settori, servirebbe una norma che impedisca a chi ha un solo cliente di rimanere subalterno a tempo indeterminato.

Qui nasce un altro nodo: chi certifica che un’impresa di trasporto sia davvero “in regola”?

Le proposte non mancano: dai sistemi pubblici alle certificazioni di terza parte. Ma servono criteri condivisi, validi anche a livello europeo, e soprattutto serve una cosa: fare cultura. Per evitare che anche i migliori strumenti vengano aggirati con formalismi e scorciatoie.

Non è facile cambiare un assetto consolidato. Ma non abbiamo più tempo per girarci intorno.
O saremo noi a guidare la transizione del sistema logistico nazionale, oppure sarà il mercato – in modo brutale – a fare selezione. E spesso, le prime a uscire saranno proprio le imprese più oneste.

Serve una presa di posizione unitaria da parte delle tante (troppe) sigle associative. Serve il coraggio di parlare con una voce sola davanti alle istituzioni. Serve costruire una nuova cultura della filiera, dove si lavora da pari a pari, su base di qualità, legalità e trasparenza.

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Questa è la sfida vera della logistica italiana. Non più una questione di costi, ma di posizionamento competitivo, identità di filiera e coerenza tra narrazione e realtà.

La parola passa a voi: è il momento di decidere da quale parte stare

Che ne pensate imprenditori del settore che scegliete le associazioni di categoria a cui aderire e che votate i relativi presidenti e approvate il loro programmi? È finalmente arrivato il momento di alzare l’asticella o volete continuare ad accettare il minimo ribasso come unica regola per acquisire (in perdita) nuove quote di mercato?



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