I sindacati Cgil, Cisl e Uil preparano l’autunno della contrattazione: «Tradurre impegni e buone intenzioni in azioni concrete»
Le imprese giudicano con favore il «Patto per la crescita delle imprese e politiche salariali», concordato da tutte le parti sociali coinvolte nel mondo del lavoro: Provincia, sistema imprenditoriale e sindacati. Dopo mesi di discussioni, la sottoscrizione del protocollo è in programma per la prossima settimana.
L’importanza della produttività
«Nelle assemblee degli ultimi anni abbiamo sempre ribadito l’importanza della produttività per le aziende e per la nostra economia — commenta Roberto Busato, direttore generale di Confindustria Trento —. Avere delle imprese più efficienti permette di pagare stipendi più alti». Per il momento, dunque, non vi sarà nessun aumento concreto, ma si sono gettate le basi per poterlo garantire in futuro. Forse già a partire dal prossimo autunno, quando inizierà la contrattazione vera e propria fra industrie e lavoratori.
I segretari generali di Cgil, Cisl e Uil hanno fatto il punto sulla lunga mediazione che ha infine portato all’accordo. «Siamo partiti a settembre 2023, più che un patto è stato un parto — ha scherzato Michele Bezzi, segretario Cisl —. Constatiamo che grazie ad impegno, coerenza e responsabilità siamo riusciti a portare alcune delle nostre istanze nella discussione con la giunta provinciale e le parti datoriali. Abbiamo aperto un tavolo formale che arriva finalmente a conclusione con un protocollo d’intesa che contiene anche alcune delle nostre priorità, che per noi restano punti fermi di riferimento anche per il proseguo del confronto».
Tradurre le buone intenzioni in azioni concrete
Secondo i sindacati, sarà ora necessario tradurre le buone intenzioni in azioni concrete, a partire da alcuni elementi centrali. Al primo posto, il rilancio della contrattazione territoriale (o di secondo livello) come strumento per alzare i salari, recuperare la produttività e aumentare la redditività prodotta dai servizi, in particolar modo il turismo. Nell’ottica del segretario generale Uil, Walter Largher, il patto rappresenta una possibile svolta per il mondo lavorativo nostrano. «Prima di oggi la contrattazione territoriale non era obbligatoria, un’azienda poteva decidere di negoziare in autonomia con i propri dipendenti — ha commentato —. Ora cambia tutto: le associazioni datoriali si impegnano per una contrattazione che riconosca aumenti retributivi legati alla produttività».
Investimenti
A causa della perdita di quest’ultima, infatti, tra il 2002 e il 2023 l’intera Europa ha visto ampliarsi il divario nel Pil del 12% rispetto agli Stati Uniti. In questa cornice, il Trentino recita un copione duplice. Da una parte, si discosta dalle altre regioni italiane per i livelli di performance dovuti a investimenti, capacità di ricerca e qualità dei sistemi formativi. Da registrare comunque il fatto che, fra le piccole e medie imprese in crescita, soltanto una su cinque opera in settori ad alta intensità tecnologica, l’ambito solitamente più produttivo. Dall’altra parte, stando a quanto riportato da due rapporti Ocse, in Trentino si è assistito alla stagnazione della produttività pro capite, quando nelle altre regioni europee sarebbe mediamente aumentata del 30%.
Sul piatto 290 milioni di euro
Alla luce del Patto, la Provincia ha preso l’impegno di erogare, nel corso del prossimo triennio, almeno 290 milioni di euro per incentivi a fondo perduto. Come richiesto dai sindacati e da Confindustria, questi saranno selettivi, rivolti alle aziende che investono in produttività. Piazza Dante dovrà inoltre sviluppare un sistema di incentivazione per favorire la nascita di attività imprenditoriali nei settori ad alta intensità, ad esempio quelli della transizione energetica e delle tecnologie.
Servono nuove politiche industriali
Un’altra questione essenziale è rappresentata dalle politiche industriali, che dovranno essere indirizzate alla crescita e alla qualità del lavoro, ponendo particolare attenzione all’occupazione di donne e giovani. «Non è solo la retribuzione che porta le nuove generazioni ad andare via dal nostro territorio — ha analizzato Largher —, ma anche la possibilità di crescita professionale e di avere dei buoni servizi». Spetterà alla Provincia rendere il territorio più attrattivo per le famiglie e i cittadini più giovani. Secondo la ricostruzione dei sindacati, infatti, negli ultimi anni la fuga di cervelli non sarebbe indirizzata solo all’estero ma anche verso le regioni circostanti. I trend demografici prevedono 30mila lavoratori in meno da qui al 2040. Per questo motivo, sarà cruciale attirare e trattenere, se non istruire direttamente, nuova manodopera specializzata. «La formazione è cruciale — sostiene Busato —, bisogna valorizzare le competenze per affrontare le “twin transitions”, ossia la transizione digitale e quella sostenibile». Da questo punto di vista, non si è andati oltre un impegno formale verso la formazione continua. Infine, il Patto riguarda il lavoro in appalto ed esternalizzato. Gli affidamenti saranno vincolati, anche in questo caso, alla contrattazione di secondo livello per migliorare le condizioni di lavoro e retribuzione.
Tuttavia, il protocollo non tocca il tema del welfare per le famiglie, così come l’Icef, la sanità e la casa. «Non abbiamo ottenuto tutto quello che volevamo, questo è solo un punto di partenza — ha spiegato il segretario Cgil Andrea Grosselli —. È una scommessa: ci aspettiamo dalla Provincia e dalle imprese la stessa responsabilità che noi abbiamo dimostrato verso i lavoratori di oggi e di domani».
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