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«Serve l’ecologia integrale di Francesco» – Gente Veneta


Per capire davvero dove stiamo andando non basta leggere gli indicatori uno per uno. Dietro un miglioramento può nascondersi un problema più grande, e dietro un numero positivo può esserci una dinamica complessivamente negativa. Per questo, di fronte all’ultimo rapporto ISTAT sugli indicatori italiani dell’Agenda 2030 dell’ONU, Fabio Pranovi, ordinario di Ecologia all’Università Ca’ Foscari di Venezia, richiama una categoria centrale dell’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco: quella dell’ecologia integrale.

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“Se leggo gli indicatori uno ad uno rispetto all’ultimo dato disponibile registro un miglioramento, la stabilità o un peggioramento. Il che va bene. Tra le cose migliorate nel rapporto abbiamo l’impronta di carbonio pro-capite, l’utilizzo di energia prodotta da fonti rinnovabili, i minori rifiuti marini. Ma ciò che oggi è necessario è la lettura integrata di questi dati. Che è il concetto di “ecologia integrale” che ha proposto papa Francesco nell’enciclica Laudato Sì”. Secondo Pranovi, i dati raccolti dall’ISTAT, pur preziosi, rischiano infatti di dare l’impressione di un Paese sulla strada giusta solo perché alcuni indicatori mostrano segni positivi. Ma si tratta spesso di progressi relativi e parziali. Ed è proprio l’incapacità di tenere insieme le dimensioni ambientale, economica e sociale che oggi frena l’Italia sulla via dello sviluppo sostenibile.

Gli esempi concreti non mancano. Uno dei dati più in evidenza nel rapporto è la riduzione delle emissioni pro-capite di anidride carbonica. A prima vista sembra una buona notizia. “In realtà – spiega Pranovi – questa diminuzione è in parte dovuta al riscaldamento globale, che ha reso gli inverni più miti e quindi ha ridotto la necessità di accendere gli impianti di riscaldamento domestico, che sono una delle cause principali dell’emissione di gas serra”. Un miglioramento apparente che rischia di nascondere un problema più grave.

Continua Pranovi: “L’11% delle aree marine protette è un dato positivo. Ma se prima erano al 10% e l’obiettivo al 2030 è il 30%, sono sicuramente migliorato ma in misura decisamente insufficiente per raggiungere il target nel tempo necessario. Lo stesso vale per i rifiuti spiaggiati: sono calati rispetto al passato, ma i valori restano molto distanti dagli obiettivi fissati al 2030”. Si tratta di segnali positivi che, senza una lettura integrale, rischiano di far dimenticare quanto ancora siamo lontani dal traguardo. 

“Dopo dieci anni di Agenda 2030 – sostiene lo studioso – non possiamo più permetterci una lettura degli indicatori che li consideri separatamente. Contare quelli positivi uno ad uno rischia di nascondere le contraddizioni: le emissioni delle imprese energetiche diminuiscono, mentre quelle dei trasporti aumentano; gli incendi boschivi rilasciano più CO₂ di quanta ne sia stata risparmiata altrove; la biodiversità diminuisce mentre si diffondono specie aliene favorite dal cambiamento climatico”.

È esattamente la logica che Papa Francesco ha auspicato nella Laudato si’, quando ha parlato della necessità di un’ecologia integrale: un modo di pensare e agire che riconosca la connessione tra ambiente, persone e giustizia sociale. Senza questa visione per Pranovi i rapporti statistici rischiano di ridursi a una lista di buone notizie relative che non cambiano la realtà.

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Non mancano, comunque, segnali incoraggianti. Per la prima volta, nel primo trimestre del 2025, l’Italia ha coperto il 56% del suo fabbisogno energetico con fonti rinnovabili, superando la metà. “Le rinnovabili – aggiunge Pranovi – hanno tenuto anche sotto pressione, evitando blackout nei picchi estivi di climatizzazione, come invece è avvenuto in Spagna”. È la direzione giusta, ma da sola non basta senza una politica coordinata capace di guardare davvero al 2030 con una strategia globale.

Una linea di ricerca su cui Pranovi sta lavorando riguarda il legame tra ecosistemi integri e salute umana. “Esporsi a un ambiente naturale ecologicamente sano – spiega ancora il docente – riduce l’uso di farmaci, accorcia le degenze ospedaliere, migliora la guarigione di patologie croniche. Questa funzione, però, richiede di preservare davvero la qualità degli ecosistemi, evitando che la pressione antropica li degradi”.

Per il professore veneziano, una delle prime cose che la politica dovrebbe mettere a posto è la questione dell’immigrazione. “Da una parte, infatti, che un Paese in inverno demografico non può che accogliere e valorizzare la diversità. Dall’altra parte – spiega il docente – migranti che hanno competenze tradizionali da noi dimenticate, come la coltivazione delle arachidi nel caso dei senegalesi, potrebbero dare un contributo enorme a un’agricoltura sostenibile in produzioni dove una volta il Veneto era fortissimo, come la canapa o le arachidi appunto”.

Pranovi esprime una forte preoccupazione per i giovani. Quando chiede agli studenti come si sentono quando gli si dice che “sono il futuro”, più di qualcuno risponde di non credere di averne uno, di futuro. Un segnale drammatico, che denuncia la mancanza di spazi di ascolto e di partecipazione reale. Anche in questo caso, qualche segnale positivo emerge, come il fenomeno degli “orti” a cui si dedicano i ragazzi, che coniugano educazione ambientale e responsabilità collettiva. “Ma il problema resta strutturale: senza prospettive concrete per le nuove generazioni, ogni discorso sulla sostenibilità rischia di restare vuoto”.

“La vera sfida – conclude Pranovi – è portare la logica dell’ecologia integrale nella politica e nella cultura, perché solo così i numeri dell’ISTAT potranno diventare davvero progresso e non semplice contabilità”.

Fabio Poles

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