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allo studio il silenzio-assenso per i fondi privati


Il Governo sta valutando di introdurre il silenzio-assenso per l’adesione ai fondi pensione integrativi. Una mossa che, insieme a nuove proposte sulle polizze per la non autosufficienza, segna una ritirata dello Stato sociale e la presa d’atto dell’insostenibilità del sistema pubblico.

È una ritirata silenziosa, quasi un’ammissione di impotenza mascherata da “partnership pubblico-privata”. Di fronte a un sistema pensionistico pubblico che scricchiola sotto il peso della demografia e a una sanità incapace di far fronte al crescente bisogno di assistenza per una popolazione che invecchia, il Governo sta aprendo il cantiere per una riforma che potrebbe cambiare per sempre il volto del welfare italiano. Sul tavolo dei ministeri, in interlocuzione con il mondo assicurativo, ci sono due proposte di portata epocale: l’introduzione del silenzio-assenso per l’iscrizione dei lavoratori ai fondi pensione integrativi e la creazione di un sistema di massa di polizze assicurative per la non autosufficienza (long-term care). Dietro la narrazione di voler “supportare lo sviluppo” e “incentivare” il ricorso al privato, si cela una verità molto più cruda, evidenziata a caratteri cubitali nel testo di partenza: è la dimostrazione del fallimento del sistema pubblico. È lo Stato che, consapevole di non poter più garantire pensioni dignitose e un’assistenza adeguata a tutti, si prepara a delegare una parte fondamentale del suo ruolo sociale al mercato assicurativo, spostando progressivamente l’onere e il rischio sulle spalle dei singoli cittadini e delle imprese.

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Cosa significa e perché si sta valutando il “silenzio-assenso” per i fondi pensione?

L’idea che sta prendendo forma è tanto semplice quanto dirompente. Oggi, per aderire a un fondo pensione complementare, un lavoratore deve fare una scelta attiva. Con il meccanismo del silenzio-assenso, l’iscrizione al fondo pensione a cui ha aderito l’azienda diventerebbe automatica, a meno che il lavoratore non esprima un esplicito e formale diniego. L’opzione di default non sarebbe più “non aderire”, ma “aderire”.

Perché il Governo sta considerando una misura così invasiva? La ragione sta in un dato allarmante: in Italia, solo il 38% dei lavoratori dipendenti ha una pensione integrativa. Un’inezia se confrontata con il 95% della Germania o il 100% dell’Olanda. Questa bassa adesione, unita a un sistema pensionistico pubblico basato sul metodo contributivo, condanna le future generazioni di pensionati a ricevere assegni molto bassi rispetto all’ultimo stipendio (il cosiddetto “tasso di sostituzione”). L’introduzione del silenzio-assenso è una scorciatoia, un tentativo di “spingere” forzatamente milioni di lavoratori nel sistema privato, perché lo Stato è pienamente consapevole che, senza un pilastro privato, le loro pensioni pubbliche non saranno sufficienti a garantire un tenore di vita decoroso. È la presa d’atto, implicita ma potentissima, che il sistema INPS da solo non ce la fa più.

Quali sono le altre proposte per incentivare la previdenza privata?

Il silenzio-assenso è solo la punta dell’iceberg di un pacchetto di misure che mira a rendere il privato più attraente. Le altre proposte sul tavolo, avanzate dal comparto assicurativo e ascoltate con attenzione dal Governo, includono:

  • innalzamento del tetto di deducibilità: oggi i contributi versati ai fondi pensione sono deducibili dal reddito fino a un massimo di circa 5.164 euro. La proposta è di elevare significativamente questa soglia per incentivare versamenti più cospicui, specialmente da parte dei redditi medio-alti;
  • contributi da parte di familiari: per aumentare la consapevolezza tra i giovani, si valuta la possibilità di permettere a genitori o nonni di contribuire direttamente al fondo pensione del figlio/nipote, godendo loro stessi dei relativi benefici fiscali;
  • introduzione di un modello “life-cycle”: si tratterebbe di prevedere per legge che i fondi pensione adottino automaticamente linee di investimento più aggressive e potenzialmente più redditizie quando l’aderente è giovane, per poi spostarsi progressivamente su profili più conservativi all’avvicinarsi dell’età pensionabile.

Tutte queste misure, pur presentate come tecniche, vanno in un’unica direzione: rendere il secondo pilastro previdenziale, quello privato, non più un’opzione, ma una necessità di massa.

Cos’è e perché si parla di un’assicurazione obbligatoria per la non autosufficienza?

Il secondo grande fronte della ritirata dello Stato sociale riguarda la gestione della non autosufficienza. In Italia, oggi, ci sono 4 milioni di persone non autosufficienti, un numero destinato a crescere esponenzialmente. L’assistenza a queste persone (badanti, strutture, ausili) ha costi enormi, che oggi ricadono quasi interamente sulle famiglie o su un sistema sanitario pubblico già al collasso.

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La proposta, anche qui su modello di altri Paesi europei, è quella di creare un sistema di massa di polizze assicurative “long-term care”. L’idea è che i lavoratori, durante la loro vita attiva, versino un premio relativamente contenuto (poche centinaia di euro all’anno, magari diviso con il datore di lavoro e incentivato fiscalmente) a una compagnia di assicurazione. In cambio, qualora in età avanzata dovessero perdere l’autosufficienza, l’assicurazione garantirebbe loro una rendita o l’accesso a servizi di assistenza convenzionati e certificati. Anche in questo caso, si parla di un’incentivazione forte o addirittura di “universalità” (cioè un’adesione quasi obbligatoria) per far funzionare il meccanismo mutualistico. È, di nuovo, la presa d’atto che la sanità pubblica non ha, e non avrà, le risorse per gestire questa bomba sociale, e la conseguente delega al mercato assicurativo.

Quali sono i rischi di questa “privatizzazione” del welfare?

Questa transizione, per quanto possa apparire pragmatica di fronte ai problemi di bilancio dello Stato, nasconde rischi enormi. Proviamo a sintetizzarli:

  • aumento delle disuguaglianze: un sistema basato sul privato rischia di creare un welfare a due velocità. Chi ha un lavoro stabile e un reddito sufficiente potrà costruirsi una pensione integrativa e una copertura per la vecchiaia. Ma i lavoratori precari, i discontinui, i bassi redditi, rischiano di rimanere aggrappati a un sistema pubblico sempre più impoverito, vedendo aumentare il divario con il resto della popolazione;
  • rischio di mercato: le pensioni e le coperture sanitarie, oggi gestite (bene o male) dallo Stato, verrebbero affidate ai mercati finanziari. Il valore degli accantonamenti dipenderebbe dall’andamento di azioni e obbligazioni, introducendo un elemento di rischio oggi assente;
  • profitto vs. assistenza: l’obiettivo di un’assicurazione privata è, legittimamente, il profitto. L’obiettivo dello Stato dovrebbe essere l’assistenza universale. Affidare la gestione di bisogni primari come la pensione e la cura degli anziani a una logica di mercato solleva interrogativi etici e pratici sulla qualità e l’accessibilità delle prestazioni per i casi meno “redditizi”.

Qual è il quadro generale di questa strategia?

La strategia di partnership con il mondo assicurativo non si limita a pensioni e sanità. È un modello che il Governo sta già applicando, come dimostra l’introduzione dell’obbligo di stipulare polizze contro le catastrofi naturali per le imprese. Il filo conduttore è sempre lo stesso: di fronte a rischi collettivi sempre più grandi (invecchiamento della popolazione, crisi climatica), lo Stato cerca di ridurre la propria esposizione diretta, trasformandosi da “assicuratore” di ultima istanza a “regolatore” che obbliga o incentiva i cittadini ad assicurarsi privatamente.



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