I conti correnti continuano a farla da padroni: agli italiani piace mantenere i propri soldi in banca. Poco meno di un quarto della ricchezza finanziaria delle famiglie della Penisola è infatti affidato ai conti correnti. L’ultima relazione annuale della Banca d’Italia parla di 1.400 miliardi. Ai risparmiatori italiani è poi ormai associata l’immagine da «Btp people». Anche in questo caso, i numeri rimandano a un appetito degli investitori per i titoli di Stato. L’ultima rilevazione fissa al 14 per cento la quota di debito pubblico in mano alle famiglie.
Un livello che si mantiene stabile rispetto alle precedenti statistiche, cui si è però arrivati dopo mesi in cui la voglia di Btp è stata alta, assecondata da emissioni dedicate ai piccoli risparmiatori che hanno fatto raddoppiare gli investimenti. Sempre la relazione annuale di Via Nazionale segnalava 500 miliardi di ricchezza finanziaria degli italiani investita in titoli di debito tricolori, di cui 300 in titoli del Tesoro, tra Bot e Btp. Circa 1.100 miliardi sono destinati a polizze, fondi pensione e Tfr. C’è poi una larga quota, pari a 1.700 miliardi, investita in azioni e partecipazioni, e 850 miliardi in fondi comuni. Secondo una recente indagine di Intesa Sanpaolo, condotta assieme alla Fondazione Einaudi, le obbligazioni si confermano lo strumento preferito, posseduto da un quinto dei risparmiatori. Una scelta che cresce con l’aumentare dell’età, mentre le azioni rimangono marginali, con solo il 4,6% degli intervistati che ha operato in Borsa negli ultimi dodici mesi.
«Un’analisi più approfondita degli investimenti sfata un mito di lunga data», notano tuttavia gli analisti del fondo statunitense Pimco in un recente report. Sebbene le abitudini di investimento degli italiani siano solitamente associate alla prudenza, nei loro portafogli esiste quello che viene definito «un rischio azionario nascosto». L’Italia è anche un Paese di medie, piccole e piccolissime imprese, spesso a conduzione familiare, e questo di fatto rappresenta un investimento in azioni.
IL PROFILO – «Per comprendere il vero profilo di rischio dei portafogli delle famiglie italiane è necessario guardare oltre le tradizionali classificazioni degli asset», spiega Adriano Nelli, Head of Italy di Pimco. «La nostra analisi evidenzia che il rischio azionario gioca un ruolo molto più importante di quanto comunemente percepito». Le partecipazioni nelle aziende di famiglia vanno sommate alle esposizioni incluse nei prodotti di risparmio gestito. Secondo gli analisti, si tratta di un tipo di rischio simile a quello di un investimento in private equity, poiché le tipiche aziende familiari italiane sono private e di piccole o medie dimensioni, come quelle in cui solitamente investono i fondi di private equity.
Negli ultimi anni è inoltre emerso un altro prodotto diventato popolare, che ha attirato anche l’attenzione della Banca d’Italia: si tratta dei certificates, strumenti complessi «che in alcuni casi possono essere soggetti ad ampie variazioni di prezzo ed esporre quindi i detentori a perdite elevate qualora si verificasse uno scenario avverso», scriveva lo scorso novembre Via Nazionale nel bollettino sulla stabilità finanziaria. La febbre per tali strumenti sembra essersi affievolita. Nota però il Comitato per le politiche macroprudenziali, che riunisce il Mef e le autorità di vigilanza sul sistema finanziario, bancario e assicurativo, che «essi rimangono, tuttavia, una significativa forma di investimento diretto in titoli di debito da parte delle famiglie».
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