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Crisi Fiscale D’impresa E Ristrutturazione Del Debito: La Guida


Hai un’impresa in difficoltà, sommersa da cartelle esattoriali, debiti bancari e fatture non pagate? Ti chiedi come affrontare una crisi fiscale senza chiudere tutto e quali strumenti esistono per ristrutturare il debito e salvare la tua attività?

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La crisi fiscale d’impresa è una fase delicata ma non irreversibile. Se agisci in tempo, puoi bloccare i creditori, rinegoziare le pendenze con l’Erario e rilanciare la tua azienda senza rischiare il fallimento o il pignoramento dei beni.

Quando si parla di crisi fiscale d’impresa?
– Quando l’azienda non riesce più a pagare IVA, IRPEF, IRES, INPS o altre imposte
– Quando ricevi continui avvisi bonari, cartelle esattoriali o preavvisi di fermo amministrativo
– Quando i conti vengono pignorati o bloccati da Agenzia Entrate Riscossione
– Quando l’indebitamento complessivo supera la sostenibilità economica

Cosa rischia l’imprenditore in crisi fiscale?
– Il blocco dell’operatività aziendale (fornitori che non consegnano, clienti che disdicono)
– L’impossibilità di ottenere credito o nuovi affidamenti bancari
– Pignoramenti su beni aziendali, immobiliari e su conti correnti
– La segnalazione in Centrale Rischi
– Se sei ditta individuale o socio garante, anche la perdita dei beni personali

Quali strumenti legali puoi usare per ristrutturare il debito?
Accordo di ristrutturazione dei debiti, con i creditori e l’Agenzia Entrate
Piano di risanamento certificato, se l’azienda è ancora solvibile a lungo termine
Composizione negoziata della crisi, con l’aiuto di un esperto terzo
Concordato preventivo semplificato, per salvare l’impresa in continuità
Procedura di sovraindebitamento, se sei un imprenditore minore non fallibile
Transazioni fiscali, per ridurre e rateizzare l’importo dovuto allo Stato

Quando è il momento giusto per intervenire?
– Appena ti accorgi che non riesci più a versare imposte o contributi
– Quando hai debiti fiscali rilevanti e nessuna prospettiva di pagamento immediato
– Se la banca revoca il fido o rifiuta il rinnovo
– Se stai per subire azioni esecutive (ipoteche, fermi, pignoramenti)
– Se vuoi evitare la chiusura e difendere i posti di lavoro

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Cosa puoi ottenere con una ristrutturazione del debito ben fatta?
– La sospensione immediata delle azioni dei creditori
– La riduzione delle somme dovute attraverso stralci concordati
– Un piano sostenibile di pagamento in più anni
– La continuità aziendale con recupero della fiducia da parte di clienti e fornitori
– La protezione del tuo patrimonio personale, se hai fornito garanzie

Una crisi fiscale non si risolve ignorando le cartelle o aspettando l’ennesimo sollecito. Solo con una strategia legale mirata puoi davvero salvare l’impresa e ripartire con basi solide.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto della crisi d’impresa, fiscalità e ristrutturazioni aziendali ti spiega come affrontare la crisi fiscale, quali strumenti usare e come difendere il tuo business prima che sia troppo tardi.

Hai ricevuto atti esattoriali, revoche bancarie o solleciti da fornitori? Richiedi, in fondo alla guida, una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo la tua situazione fiscale e ti diremo se puoi ristrutturare il debito, bloccare i creditori e far ripartire la tua azienda.

Introduzione

La crisi fiscale d’impresa rappresenta una delle sfide più complesse per aziende e imprenditori. Si tratta di una situazione in cui un’impresa, a causa di difficoltà economico-finanziarie, accumula debiti tributari e contributivi che non riesce a sostenere regolarmente. Questa condizione di sovraindebitamento fiscale spesso si accompagna ad altri squilibri di bilancio e di liquidità, ponendo l’azienda a rischio di insolvenza. Di fronte a tali scenari, l’ordinamento italiano mette a disposizione una serie di strumenti giuridici per la ristrutturazione del debito e il superamento della crisi, con un approccio orientato alla conservazione dell’impresa quando possibile e alla tutela dei creditori.

Negli ultimi anni il quadro normativo è stato profondamente innovato. Il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), emanato con il D.Lgs. 14/2019 ed entrato in vigore a luglio 2022, ha sostituito la vecchia legge fallimentare unificando la disciplina delle procedure concorsuali e delle soluzioni negoziali della crisi. Successive modifiche – in particolare il D.Lgs. 147/2020, il D.Lgs. 83/2022 (attuativo della direttiva UE 2019/1023 sull’insolvency) e il recente D.Lgs. 136/2024 (c.d. “correttivo-ter”) – hanno ulteriormente perfezionato il Codice, chiarendo aspetti applicativi e introducendo nuovi strumenti. L’obiettivo dichiarato del legislatore è duplice: da un lato intercettare per tempo lo “stato di crisi” prima che divenga insolvenza irreversibile, dall’altro fornire procedure efficaci per il risanamento o, se necessario, per l’ordinata liquidazione delle imprese.

Questa guida, aggiornata a luglio 2025, offre un quadro avanzato e completo delle soluzioni disponibili in Italia per affrontare la crisi d’impresa, con particolare attenzione alla gestione dei debiti fiscali (“crisi fiscale”) dal punto di vista del debitore. Verranno illustrati i percorsi negoziali di composizione della crisi introdotti di recente (come la composizione negoziata), gli strumenti di ristrutturazione del debito formali (piani attestati, accordi di ristrutturazione e concordati preventivi), nonché le procedure liquidatorie. Il taglio è giuridico ma divulgativo: ogni sezione fornirà spiegazioni chiare, domande e risposte frequenti, esempi pratici e tabelle riepilogative per facilitare la comprensione. Saranno inoltre citate le norme rilevanti e le più recenti sentenze o pronunce giurisprudenziali dalle fonti istituzionali, al fine di offrire riferimenti autorevoli e aggiornati.

In sintesi, l’obiettivo è mettere a disposizione di avvocati, consulenti, imprenditori e privati cittadini una guida esaustiva su come prevenire e gestire una crisi d’impresa, con particolare riguardo al trattamento dei debiti verso l’Erario e gli enti previdenziali, alla luce del diritto vigente nel 2025. Nel prosieguo affronteremo dapprima il quadro normativo generale e le tipologie di imprese interessate, per poi approfondire ciascun strumento (dalle negoziazioni stragiudiziali alle procedure concorsuali) e, in chiusura, rispondere ai quesiti più comuni con una sezione FAQ.

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Il quadro normativo attuale (luglio 2025)

Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) ha rivoluzionato la materia delle procedure concorsuali in Italia, integrando in un unico testo sia la disciplina storica del fallimento (R.D. 267/1942) sia quella sul sovraindebitamento civile (L. 3/2012). Il CCII è entrato in vigore il 15 luglio 2022, dopo vari rinvii dovuti anche alla pandemia, segnando il passaggio dal concetto tradizionale di “fallimento” a quello più ampio e moderno di “liquidazione giudiziale”. Contestualmente sono state introdotte procedure innovative mirate alla prevenzione e composizione anticipata della crisi, in linea con i principi comunitari.

Di particolare rilievo è l’introduzione di un sistema di allerta e di segnalazioni precoci. Dal luglio 2022 sono operative le norme di “allerta pubblica” che impongono ai creditori pubblici qualificati (Agenzia delle Entrate, INPS e Agenzia della Riscossione) di avvisare tempestivamente il debitore in caso di debiti scaduti oltre soglie rilevanti, esortandolo ad attivarsi per trovare una soluzione. Parallelamente, gli organi di controllo interni all’impresa (sindaci, revisori) hanno l’obbligo di segnalare immediatamente agli amministratori l’esistenza di indizi di crisi, affinché questi ultimi non esitino a intervenire (eventualmente attivando gli strumenti offerti dal Codice). Tale impostazione riflette il principio guida secondo cui “the sooner, the better”: prima si affrontano le difficoltà, maggiori sono le chance di risanamento.

Un altro pilastro del nuovo ordinamento è la centralità degli strumenti negoziali stragiudiziali. Il Decreto-Legge 118/2021 (convertito con L. 147/2021) ha introdotto in via d’urgenza la composizione negoziata della crisi, poi inserita stabilmente nel Codice attraverso il D.Lgs. 83/2022. La composizione negoziata è un percorso volontario e confidenziale di soluzione della crisi, basato sulla nomina di un esperto indipendente che assiste l’imprenditore nel tentativo di raggiungere un accordo con i creditori, evitando l’apertura di una procedura concorsuale. Come vedremo, questo strumento – accessibile a tutte le imprese, di qualsiasi dimensione e settore – è pensato per intervenire in fase precoce (“quando la crisi è solo probabile”) e non comporta spossessamento dell’azienda.

Il punto di vista del debitore ha ispirato molte delle riforme recenti. Il legislatore ha previsto incentivi e tutele per chi intraprende per tempo un percorso di risanamento. Ad esempio, l’art. 25-bis CCII riconosce misure premiali fiscali alle imprese che avviano la composizione negoziata: sospensioni di termini per il pagamento di alcuni tributi, possibilità di dilazioni straordinarie fino a 120 rate per i debiti tributari, attenuazione di sanzioni e interessi, e in generale trattamento fiscale di favore sulle transazioni effettuate (aspetto che approfondiremo più avanti). Queste misure sono state rafforzate dal correttivo del 2024. Allo stesso tempo, normative recenti hanno limitato l’uso di strumenti eccessivamente indulgenti: ad esempio, il legislatore nel 2023-2024 ha fissato soglie minime piuttosto rigorose per poter imporre coattivamente una riduzione dei debiti fiscali (la cosiddetta “omologazione forzosa” o cram down fiscale) senza l’assenso dell’Erario. In sintesi, si cerca un equilibrio tra la necessità di salvare aziende con potenziale di continuità e il dovere di garantire che l’Erario (e gli altri creditori) non subiscano sacrifici arbitrari.

Tipologie di debitori e procedure applicabili

Uno degli elementi chiave del CCII è l’ambito soggettivo di applicazione, ossia quali debitori possono accedere alle diverse procedure. In linea generale, il Codice distingue tra:

  • Imprenditori commerciali assoggettabili a liquidazione giudiziale (cioè i soggetti “fallibili” secondo i parametri di legge);
  • Debitori minori (imprese sotto determinate soglie, imprenditori agricoli, professionisti, consumatori), non soggetti alle procedure maggiori ma alle procedure di sovraindebitamento riformate dal Codice;
  • Grandi imprese in crisi di rilevanza sistemica, per le quali restano vigenti procedure speciali (amministrazione straordinaria).

In dettaglio, sono soggetti alle procedure concorsuali ordinarie (concordato preventivo, liquidazione giudiziale, ecc.) gli imprenditori che esercitano un’attività d’impresa commerciale e superano le soglie dell’art. 2 CCII per essere qualificati come “imprenditori minori”. Tali soglie (già previste dalla L. 3/2012) sono: attivo patrimoniale sopra €300.000, ricavi lordi sopra €200.000, debiti sopra €500.000. Chi non supera neanche uno di questi parametri è definito impresa sotto-soglia (imprenditore minore) e, in caso di crisi, non può essere assoggettato a liquidazione giudiziale né a concordato preventivo ordinario, ma alle procedure semplificate di sovraindebitamento (come il concordato minore, di cui diremo a breve). È importante notare che anche le imprese agricole – tradizionalmente escluse dal fallimento – rientrano tra i debitori “non fallibili” e dunque accedono alle procedure di sovraindebitamento; tuttavia, le imprese agricole possono utilizzare liberamente la composizione negoziata e gli altri strumenti di risanamento stragiudiziale al pari degli imprenditori commerciali.

Per completezza, va ricordato che il CCII ha incluso nel concetto di “sovraindebitamento” lo stato di crisi o insolvenza non solo del consumatore, ma anche del professionista, dell’imprenditore minore, dell’imprenditore agricolo e di ogni altro debitore non assoggettabile a liquidazione giudiziale o liquidazione coatta. In pratica, chiunque non possa essere dichiarato “fallito” (liquidato giudizialmente) rientra nell’alveo dei debitori da gestire con le procedure “minori”. Per questi soggetti, il Codice prevede tre istituti specifici (eredi della L.3/2012): il piano di ristrutturazione del consumatore (riservato alle persone fisiche consumatrici), il concordato minore (per piccoli imprenditori e categorie assimilate) e la liquidazione controllata (procedura liquidatoria analoga al vecchio fallimento, ma destinata ai non fallibili). Tali strumenti saranno trattati in seguito in una sezione dedicata.

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Un cenno, infine, alle procedure speciali per grandi imprese: restano in vigore fuori dal CCII la Amministrazione Straordinaria delle grandi imprese insolventi (D.Lgs. 270/1999, c.d. Prodi bis, e L. 39/2004, c.d. Marzano), riservata ad imprese con migliaia di dipendenti e passività ingenti, e la Liquidazione Coatta Amministrativa per particolari categorie (banche, assicurazioni, ecc.). Queste procedure, tuttavia, esulano dall’ambito di questa guida in quanto non attivabili su iniziativa del debitore e caratterizzate da finalità pubblicistiche. Dal punto di vista dell’imprenditore debitore, il ventaglio di opzioni concretamente percorribili per gestire la propria crisi comprende principalmente le procedure e gli strumenti previsti dal CCII, che ora passiamo in rassegna.

Di seguito, una tabella riepilogativa distingue le diverse procedure di crisi d’impresa e ne indica, in forma sintetica, i soggetti a cui si applicano e le relative caratteristiche fondamentali.

Tabella 1 – Principali strumenti di gestione della crisi d’impresa (fallibili vs non fallibili)

Strumento Destinatari Natura Ruolo del tribunale/esperti Accordo con i creditori Obiettivo
Composizione negoziata (art. 12-25 CCII) Tutte le imprese (commerciali e agricole, di qualsiasi dimensione, incluse sotto-soglia). Stragiudiziale assistito (volontario, riservato). Nomina di un esperto indipendente da parte di Commissione istituita presso Camere di Commercio. Tribunale coinvolto solo per misure protettive o autorizzazioni specifiche. Nessun voto formale dei creditori; trattative volontarie facilitate dall’esperto. Possibilità di accordo stragiudiziale con taluni o tutti i creditori (anche accordi fiscali autorizzati dal giudice). Risanamento dell’impresa tramite accordi stra-giudiziali con i creditori (evitando procedure concorsuali).
Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII) Imprese commerciali (fallibili) in crisi o insolvenza reversibile. In teoria utilizzabile anche da imprese minori e agricole (non essendovi preclusioni normative). Stragiudiziale unilaterale (atto del debitore rivolto ai creditori). Attestatore indipendente che certifica veridicità dei dati e fattibilità del piano. Nessun intervento del tribunale (se non ex post, se la crisi degenera in insolvenza). Accordi contrattuali privati con i creditori che intendono aderire al piano. Nessuna maggioranza legale richiesta (creditori non aderenti non vincolati). Risanamento per via privata: evitare l’insolvenza mediante riorganizzazione aziendale e accordi spontanei (il piano crea protezione da azioni revocatorie su pagamenti/garanzie concessi in sua esecuzione).
Accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 57 e ss. CCII) Imprese fallibili (imprenditori non minori). Previsti anche accordi di ristrutturazione per debitori minori ma con regole diverse (concordato minore). Procedura giudiziale negoziale (richiede omologazione del tribunale). Tribunale competente per omologa; attestatore che assevera il piano e il rispetto del “best interest test” per i creditori. Richiede l’adesione di creditori rappresentanti ≥60% dei debiti totali. I creditori non aderenti restano vincolati all’accordo omologato (purché soddisfatti almeno in misura non inferiore alla liquidazione). Possibilità di transazione fiscale inclusa (art. 63 CCII) e di omologazione forzosa se il fisco rifiuta ma il piano rispetta condizioni di legge. Ristrutturazione del debito con efficacia erga omnes tramite un accordo pattuito con la maggioranza qualificata dei creditori e convalidato dal tribunale. Evitare il fallimento assicurando continuità o migliore soddisfazione dei creditori rispetto alla liquidazione.
Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (P.R.O.) (art. 64 CCII) Imprese fallibili (commerciali), con prospettive di risanamento in continuità. Introdotto dal 2022 per recepire la Direttiva UE sulle ristrutturazioni. Procedura ibrida: iniziativa del debitore, omologazione giudiziale senza voti. Tribunale omologa il piano dopo verifica requisiti. Attestatore indipendente certifica che nessun creditore riceve meno di quanto avrebbe in liquidazione (principio “best interest/no creditor worse off”). Nessuna votazione dei creditori; questi possono presentare opposizioni al momento dell’omologazione. Il piano può non rispettare le cause di prelazione (≠ concordato). Il debitore può inoltre proporre pagamento parziale o dilazionato di tributi e contributi prima dell’omologa, con adesione delle Agenzie entro 90 giorni. Ristrutturazione rapida per imprese con possibilità di continuità, attraverso un piano flessibile e meno formalizzato. Obiettivo: evitare la crisi irreversibile mediante un accordo omologato in tribunale, ma senza la complessità del concordato preventivo (meno adempimenti e controlli).
Concordato preventivo (art. 84 e ss. CCII) Imprese fallibili in stato di crisi o insolvenza. Due forme principali: concordato in continuità aziendale e concordato liquidatorio. Procedura concorsuale giudiziale (sospende azioni esecutive, richiede voto creditori e omologa tribunale). Tribunale apre la procedura, nomina un Commissario Giudiziale di vigilanza; i creditori votano; il tribunale omologa il concordato se approvato e se conforme a legge. Voto dei creditori richiesto: maggioranza dei crediti ammessi al voto (>50%) per approvare. Voto per classi se previste. Possibile cram-down su classi dissenzienti se il piano è equo e rispetta il “best interest”. Il Fisco vota come qualsiasi creditore (ma può essere superato con transazione fiscale forzosa se condizioni ex art. 88 CCII soddisfatte). Regolazione dell’insolvenza con un accordo collettivo vincolante. In continuità: l’azienda prosegue attività (direttamente o tramite cessione/affitto) e i creditori sono soddisfatti col flusso di esercizio; in liquidatorio: il patrimonio è liquidato ma in forma concordata. Il concordato evita la liquidazione giudiziale coatta, offrendo ai creditori una soddisfazione concordata (almeno il 20% ai chirografari nel caso liquidatorio).
Liquidazione giudiziale (art. 121 e ss. CCII) Imprese fallibili insolventi (su ricorso del debitore o di creditori/PM). Equivale al fallimento della vecchia legge. Procedura concorsuale liquidatoria (giudiziale). Tribunale emette sentenza di liquidazione, nomina un Curatore che gestisce e liquida l’attivo sotto la vigilanza del Giudice Delegato e del Comitato dei creditori. Nessun accordo con i creditori (ma possibile concordato liquidatorio in corso di procedura se una proposta viene avanzata e approvata dai creditori). La liquidazione spossessa il debitore dei beni, che sono venduti per pagare i creditori secondo le cause di prelazione. Liquidazione integrale del patrimonio dell’impresa e riparto del ricavato ai creditori secondo l’ordine dei privilegi. Chiude definitivamente l’attività dell’impresa. Il debitore persona fisica può ottenere l’esdebitazione (cancellazione dei debiti residui) a fine procedura se ha collaborato lealmente.

(Legenda: CCII = Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza; P.R.O. = Piano di ristrutturazione omologato; cram-down = omologazione forzosa nonostante dissenso di alcuni creditori.)

Come si evince dalla tabella, la normativa italiana offre un ventaglio di strumenti adatto a diverse dimensioni d’impresa e differenti gravità della crisi. Nei prossimi paragrafi analizzeremo in dettaglio ciascuno di questi strumenti (ad eccezione della liquidazione giudiziale, che rappresenta l’extrema ratio), con un focus particolare sulle soluzioni negoziali e sulle modalità di trattamento dei debiti fiscali in ognuno di essi.

Procedure di allerta e composizione stragiudiziale della crisi

Prima di entrare nel merito dei singoli strumenti di ristrutturazione, è utile soffermarsi sul meccanismo di allerta e sulla nuova procedura di composizione negoziata – elementi cardine introdotti dalla riforma – poiché rappresentano la prima linea di difesa contro l’aggravarsi della crisi.

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Allerta interna e segnalazioni dei creditori pubblici

Il Codice della crisi ha imposto agli amministratori delle società un preciso dovere di dotarsi di assetti organizzativi adeguati (art. 2086 c.c. riformato) per rilevare tempestivamente segnali di crisi. Ciò significa monitorare indicatori finanziari (indici di bilancio, flussi di cassa, esposizioni scadute) e agire prontamente quando emergono squilibri significativi. In caso di inerzia degli amministratori, gli organi di controllo societari (collegio sindacale, revisori) sono tenuti a segnalare formalmente la situazione al board, stimolandolo ad adottare provvedimenti (come l’accesso a strumenti di regolazione della crisi) entro 30 giorni.

Parallelamente, dal lato dei creditori pubblici, sono operative soglie oltre le quali scatta un obbligo di segnalazione. Ad esempio, se un’impresa accumula debiti fiscali scaduti oltre certi importi, l’Agenzia delle Entrate invia una PEC all’impresa segnalando l’inadempimento rilevante e invitandola ad attivare la composizione negoziata. Analogamente fanno l’INPS per i contributi non versati e l’Agente della Riscossione per le cartelle esattoriali impagate. Queste comunicazioni non sono pubbliche né configurano di per sé l’apertura di una procedura, ma svolgono un ruolo di moral suasion: l’imprenditore viene messo sull’avviso che la sua situazione debitoria sta degenerando e che esistono strumenti per affrontarla prima che sia troppo tardi. Qualora il debitore ignori tali sollecitazioni e la situazione precipiti fino all’insolvenza conclamata, i suddetti enti potranno presentare istanza per la liquidazione giudiziale (il “fallimento”) con maggior forza, potendo dimostrare di aver avvertito per tempo il debitore.

In sintesi, il sistema di allerta italiano – sebbene ricalibrato rispetto al modello originario del CCII (che prevedeva organismi di composizione della crisi attivati automaticamente, poi soppressi) – mira a responsabilizzare gli amministratori e a coinvolgere creditori pubblici nel ruolo di “sentinelle” delle crisi fiscali e contributive. D’altra parte, l’imprenditore che riceve una segnalazione ha tutto l’interesse a reagire tempestivamente, perché la legge gli offre specifiche premialità se intraprende volontariamente un percorso di risanamento (ad esempio, in termini di attenuazione delle sanzioni e, come vedremo, di vantaggi fiscali nel caso in cui acceda alla composizione negoziata).

La composizione negoziata della crisi d’impresa

La composizione negoziata è senza dubbio una delle novità più significative e innovative del panorama italiano. Introdotta inizialmente nel 2021 come misura emergenziale post-pandemia, è ora disciplinata dagli artt. 12-25 CCII, che la configurano come un percorso volontario, riservato e stragiudiziale finalizzato al superamento della crisi. Vediamone i tratti salienti:

  • Accesso e requisiti: Può accedere alla composizione negoziata qualsiasi impresa (società o ditta individuale, commerciale o agricola), indipendentemente da dimensioni e settore. Questo significa che lo strumento è aperto anche alle imprese sotto-soglia e alle imprese agricole, che in passato erano escluse dalle procedure concorsuali tradizionali. La condizione oggettiva per l’accesso è la presenza di uno squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che renda probabile la crisi o l’insolvenza dell’impresa. In altre parole, l’imprenditore può attivarsi prima di essere insolvente in senso stretto, non appena percepisce segnali di difficoltà seri. Importante novità del 2024: è stato chiarito esplicitamente che si può avviare la composizione negoziata anche quando l’impresa è già in stato di insolvenza conclamata (oltre che in semplice “crisi” o in “squilibrio”). Questa apertura amplia il raggio d’azione dello strumento, che inizialmente doveva servire solo come misura preventiva prima dell’insolvenza, mentre ora può essere tentato anche in casi di insolvenza manifesta, purché vi sia prospettiva di risanamento. Sono invece esclusi dall’accesso i casi in cui il debitore abbia già avviato una procedura formale (concordato, accordo di ristrutturazione o piano omologato) o sia soggetto a liquidazione in corso.
  • Piattaforma e istanza: L’iter inizia con la presentazione di un’istanza telematica sulla piattaforma nazionale delle Camere di Commercio (raggiungibile all’indirizzo composizionenegoziata.camcom.it). L’istanza deve includere una serie di documenti obbligatori (elencati all’art. 17 CCII): ultimi tre bilanci depositati e dichiarazioni fiscali, una situazione patrimoniale e finanziaria aggiornata, l’elenco dei creditori con importi dovuti, una relazione che descriva le cause della crisi e le strategie di risanamento prospettate, nonché, preferibilmente, una bozza di piano di risanamento o quantomeno le linee guida dello stesso. La piattaforma mette a disposizione dell’imprenditore anche un test pratico di autodiagnosi per valutare la ragionevole perseguibilità del risanamento e una checklist guidata per la redazione del piano. Questi strumenti aiutano a comprendere la gravità della situazione e se sussistono margini per negoziare con i creditori (ad esempio, il test calcola alcuni indici di sostenibilità del debito e indici di continuità aziendale).
  • Nomina dell’esperto: Una volta completata la domanda, il Segretario Generale della Camera di Commercio la trasmette a una Commissione regionale (istituita presso la CCIAA capoluogo di regione) composta da un magistrato, un rappresentante della Camera di Commercio e un membro designato dal Prefetto. Tale Commissione, entro 5 giorni, seleziona un Esperto indipendente da un apposito elenco nazionale di professionisti qualificati (dottori commercialisti, avvocati o consulenti del lavoro con esperienza in ristrutturazioni) e lo nomina assegnandogli l’incarico. L’Esperto, dopo aver esaminato l’istanza, decide se accettare; in caso positivo, egli convoca l’imprenditore per un primo incontro e da quel momento inizia formalmente la fase di negoziazione. L’Esperto opera come figura terza e imparziale, con il compito di facilitare le trattative tra l’imprenditore e i creditori, e di guidare la ricerca di soluzioni. Vale la pena evidenziare che l’esperto non ha poteri sostitutivi né decisori: non può imporre accordi ai creditori, ma solo proporre mediazioni e formulare valutazioni sulla sostenibilità delle proposte. Le parti restano libere di accettare o meno le soluzioni prospettate.
  • Svolgimento delle trattative: La composizione negoziata ha una durata iniziale di 6 mesi, prorogabile di altri 6 su richiesta motivata dell’esperto (a fronte di trattative in corso promettenti). Durante questo periodo, l’imprenditore rimane al timone dell’azienda: non vi è, come detto, alcuno spossessamento né nomina di organi commissariali. L’impresa continua la gestione ordinaria e, previa autorizzazione del tribunale, può compiere anche atti straordinari se necessari al migliore esito delle trattative (ad esempio finanziamenti urgenti prededucibili, vendite di beni non strategici, ecc.). Su istanza del debitore, il tribunale può inoltre concedere misure protettive del patrimonio per evitare che i creditori individuali compromettano il negoziato (tipicamente bloccando azioni esecutive e cautelari per la durata delle trattative). Tali misure protettive, quando richieste, sono pubblicate nel registro imprese e durano inizialmente fino a 4 mesi, con possibile estensione fino a 12 mesi in totale; implicano anche il divieto per i creditori interessati di acquisire nuove garanzie sui beni dell’impresa. La disciplina aggiornata del 2024 ha introdotto diverse norme per favorire un clima costruttivo durante la negoziazione: ad esempio, è stato previsto che l’accesso alla composizione di per sé non determini un automatico peggioramento della classificazione del credito bancario dell’impresa. In passato, infatti, molte banche erano solite sospendere o revocare immediatamente gli affidamenti non appena un’azienda entrava in composizione negoziata, invocando gli obblighi di prudenza contabile (temendo cioè che la mera adesione alla procedura fosse sintomo di default e imponesse accantonamenti). Ora la legge chiarisce che la banca deve valutare la situazione concrete prospettive di risanamento prima di riclassificare il credito e che il semplice ricorso alla composizione negoziata non è motivo automatico di declassamento. Inoltre, se una banca decide comunque di revocare o sospendere le linee di credito durante le trattative, deve comunicarlo tempestivamente agli amministratori e ai sindaci dell’impresa, spiegandone le ragioni specifiche. Questa trasparenza permette all’imprenditore e ai controllori di sapere quali banche si stanno sfilando e perché. Sempre per incoraggiare un atteggiamento collaborativo, il correttivo 2024 ha stabilito una sorta di safe harbor per le banche che mantengono o concedono nuova finanza all’impresa in composizione: la prosecuzione dei rapporti di credito o l’erogazione di nuova liquidità non comporta di per sé responsabilità civile o azioni risarcitorie verso la banca. In altre parole, la banca non dovrà temere accuse di abuso di credito o di aver procrastinato l’insolvenza per il solo fatto di aver supportato l’impresa durante la negoziazione (purché ovviamente si muova in buona fede).
  • Esiti possibili: La composizione negoziata può concludersi con diversi epiloghi, a seconda di ciò che le parti riescono a concordare entro il termine. Le principali opzioni di “successo” sono:
    1. Accordo stragiudiziale con i creditori: è l’ipotesi in cui l’imprenditore e (alcuni o tutti) i creditori raggiungono e sottoscrivono un accordo volontario, ad esempio un piano di rientro dei debiti, una riscadenzamento, riduzioni parziali (stralci) di credito, ecc., il tutto senza passare dal tribunale. Questo accordo, se firmato dall’esperto come attestazione di regolarità, produce gli stessi effetti di un piano attestato di risanamento ex art. 56 CCII. Si tratta dell’epilogo statisticamente più frequente tra i casi di composizione negoziata conclusi positivamente (oltre il 40% dei successi) – tipicamente utilizzato quando si ottiene l’adesione dei principali creditori in via amichevole.
    2. Accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 63 CCII: se le trattative portano all’adesione di almeno il 60% dei creditori, l’imprenditore può optare per far omologare l’accordo dal tribunale, depositando un’istanza di omologa di accordo di ristrutturazione “agevolato”. Questa strada (corrispondente alla lettera b) dell’art. 23 co.1 CCII) consente di sfruttare l’accordo raggiunto in composizione come base per vincolare anche eventuali creditori dissenzienti (purché soddisfatti in misura non deteriore rispetto alla liquidazione). È un passaggio intermedio tra la trattativa pura e la procedura concorsuale: l’accordo, una volta omologato, acquista forza cogente erga omnes.
    3. Piano attestato di risanamento: qualora l’accordo raggiunto coinvolga solo alcuni creditori e si configuri come un insieme di atti unilaterali del debitore (pagamenti parziali, nuove garanzie su crediti rinegoziati, etc.), l’esperto può “trasformarlo” in un piano attestato ai sensi dell’art. 56 CCII (corrispondente alla lettera a) del co.2 art. 23). Il professionista indipendente redige una relazione di attestazione di veridicità e fattibilità, conferendo al piano la protezione della legge (in particolare l’esenzione da revocatoria per gli atti eseguiti in sua attuazione).
    4. Concordato preventivo o altre procedure concorsuali: se emerge che per risanare l’azienda è necessario uno stralcio imponente dei debiti e/o misure non attuabili consensualmente, l’imprenditore può decidere – con l’ausilio dell’esperto – di presentare domanda di concordato preventivo (anche nella forma del concordato “in bianco” con riserva, art. 44 CCII) o di accesso al piano di ristrutturazione omologato (PRO). In questo caso la composizione negoziata funge da trampolino per entrare in una procedura concorsuale già con un percorso preparatorio svolto. Va detto che statisticamente solo una minoranza delle composizioni negoziate confluisce in concordati: secondo i dati Unioncamere, circa il 12% degli esiti positivi ha portato a depositare una domanda di concordato semplificato o preventivo.
    5. Concordato semplificato per la liquidazione: caso particolare introdotto dal D.L. 118/2021. Se la composizione negoziata si conclude senza accordo, ma l’esperto ritiene che la prosecuzione dell’attività non sia possibile, l’imprenditore può proporre entro 60 giorni un concordato semplificato liquidatorio (art. 25-sexies CCII) senza voto dei creditori. Si tratta di un’extrema ratio per liquidare l’azienda evitando il fallimento, su cui torneremo più avanti.

    Va infine considerato l’esito peggiore: mancato accordo e archiviazione negativa. In circa l’80% dei casi finora, purtroppo, la composizione negoziata non ha condotto a un accordo soddisfacente e si è conclusa con esito negativo. In tale situazione l’esperto redige una relazione finale constatando l’impossibilità di trovare soluzioni. Dopodiché l’imprenditore è libero (e talvolta costretto) di valutare le procedure concorsuali classiche o la liquidazione. Spesso un’archiviazione negativa sfocia in una dichiarazione di liquidazione giudiziale su iniziativa di qualche creditore, oppure lo stesso imprenditore – preso atto dell’insolvenza – può depositare istanza di fallimento in proprio. Secondo l’Osservatorio Unioncamere, molte imprese che hanno chiuso la composizione senza accordo finiscono per accedere a una procedura di concordato preventivo o di liquidazione entro pochi mesi.

In conclusione, la composizione negoziata rappresenta un tentativo anticipato e stragiudiziale di soluzione della crisi, altamente flessibile ma dipendente dalla collaborazione volontaria dei creditori. Le istituzioni stanno cercando di promuoverla con incentivi (anche fiscali) e aggiustamenti normativi, poiché finora il suo tasso di successo è stato modesto (solo circa il 19% delle istanze chiuse ha avuto esito positivo, corrispondente a poco più del 10% di tutte le istanze presentate). Tuttavia, quei casi in cui ha funzionato dimostrano che l’istituto può salvare imprese e preservare valore economico evitando l’irreversibilità del fallimento.

Esempio pratico – Composizione negoziata in azione: La società Alfa S.r.l., operante nel commercio all’ingrosso, accusa un calo di liquidità e accumula €500.000 di debiti IVA e INPS, oltre a esposizioni bancarie prossime alla scadenza. Gli amministratori ricevono dall’Agenzia delle Entrate una segnalazione di debito IVA scaduto superiore alla soglia trimestrale e, contestualmente, i sindaci li richiamano alla gravità della situazione. Alfa decide di avviare una composizione negoziata. Tramite la piattaforma, presenta istanza allegando i bilanci e un primo abbozzo di piano che prevede la cessione di un ramo d’azienda non strategico per ridurre il debito. La Commissione nomina come esperto il dott. Bianchi, commercialista con esperienza di crisi. Bianchi studia la situazione e concorda che il piano è realistico, ma occorre anche una dilazione per i debiti fiscali. Convoca quindi i rappresentanti della banca creditrice principale e dell’Agenzia Entrate-Riscossione. Dopo qualche settimana di trattative, la banca si dichiara disponibile a prorogare le linee di fido per 12 mesi, purché l’impresa conferisca garanzie personali dei soci. L’Agenzia delle Entrate, su proposta di Alfa, accetta una transazione fiscale interna: in base al nuovo art. 23 co.2-bis CCII, Alfa offre il pagamento del 50% del debito IVA in 10 anni e la rinuncia alle sanzioni. L’esperto Bianchi aiuta a formalizzare l’accordo, che viene approvato dagli uffici dell’Erario e omologato dal tribunale (limitamente alla parte fiscale). Alla fine, Alfa S.r.l. sottoscrive un accordo di ristrutturazione globale: la banca allunga i prestiti, il Fisco riscadenzia e riduce parzialmente il dovuto, i soci apportano €100.000 di nuova liquidità (tutelati dalla prededucibilità). L’esperto conclude la composizione con esito favorevole e l’impresa, alleggerita dall’accordo, può proseguire l’attività evitando la procedura concorsuale.

Nell’esempio, la composizione negoziata ha permesso ad Alfa di coinvolgere spontaneamente i creditori chiave e trovare soluzioni tailor-made (proroga bancaria, transazione col Fisco). Senza questa sede protetta di negoziazione, probabilmente l’impresa avrebbe subito azioni esecutive o revoche di credito tali da farla fallire. Da notare che la transazione fiscale interna è una novità: introdotta nel 2024, consente all’imprenditore in composizione di definire i debiti tributari con Agenzia Entrate/Discussione, con eventuale riduzione di imposta dovuta, cosa prima riservata solo ai concordati o accordi omologati.

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Strumenti di risanamento e ristrutturazione del debito

Esaminiamo ora gli strumenti di regolazione della crisi d’impresa che prevedono la formulazione di un piano di risanamento o ristrutturazione e, in vario grado, il coinvolgimento del sistema giudiziario. Tali strumenti si collocano su un ideale continuum: da quelli più informali e privati (in cui prevale l’autonomia negoziale) a quelli più formali e collettivi (in cui interviene l’autorità giudiziaria e il voto dei creditori). In questa sezione tratteremo in particolare: il Piano attestato di risanamento, gli Accordi di ristrutturazione dei debiti (incluso il nuovo Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione – PRO), e il Concordato preventivo nelle sue varianti. Un’attenzione specifica verrà riservata al trattamento dei crediti fiscali all’interno di ciascuno di questi percorsi, data la centralità che i debiti tributari rivestono nelle crisi d’impresa (da cui il concetto di “crisi fiscale”).

Piano attestato di risanamento

Il piano attestato di risanamento è uno strumento di matrice privatistica, introdotto originariamente nel 2005 e oggi disciplinato dall’art. 56 CCII. Si tratta di un piano di risanamento aziendale, predisposto dall’imprenditore in crisi (o a rischio insolvenza) con l’obiettivo di riequilibrare la situazione finanziaria e industriale dell’impresa, il quale viene “attestato” nelle sue ragionevoli prospettive di successo da un professionista indipendente (l’attestatore). A differenza di concordati e accordi, il piano attestato non richiede l’adesione formalizzata di alcuna percentuale di creditori, né un’omologazione in tribunale. In sostanza è un atto unilaterale del debitore, eventualmente accompagnato da accordi stragiudiziali bilaterali con alcuni creditori (ad esempio banche) ma senza effetti vincolanti sui creditori estranei. L’utilità del piano attestato risiede in due fattori principali:

  • Esonero da revocatoria: gli atti compiuti in esecuzione del piano attestato (pagamenti, concessione di garanzie, cessioni di beni) non possono essere dichiarati inefficaci in un successivo fallimento (liquidazione giudiziale), a norma dell’art. 67, co. 3, lett. d) R.D. 267/42 ora trasfuso nell’art. 166 CCII. Ciò offre sicurezza giuridica ai terzi che aderiscono al piano (ad es. banche che prorogano finanziamenti o soci che ricapitalizzano), sapendo che tali atti non verranno “attaccati” se l’impresa dovesse comunque fallire entro 2 anni. Questo incentivo favorisce la disponibilità di nuovi apporti e dilazioni.
  • Riserbo e flessibilità: il piano attestato non è pubblicato né comunicato ai creditori in generale; rimane un documento privato tra il debitore, l’attestatore e gli eventuali creditori coinvolti. Ciò consente di gestire la crisi in maniera confidenziale, evitando il rischio reputazionale immediato di una procedura pubblica. Inoltre, non essendoci rigide regole formali, il contenuto del piano è flessibile: può consistere in qualsiasi insieme di misure (ristrutturazione del debito, dismissioni di asset, nuova finanza, riorganizzazione aziendale, ecc.) che secondo l’attestatore siano idonee a risanare l’impresa. Non vi è l’obbligo di soddisfare tutti i creditori né di rispettare par condicio (si può decidere di pagare anticipatamente alcuni creditori strategici e differirne altri, purché ciò sia funzionale al risanamento e non configuri intenti fraudolenti).

Procedura: L’imprenditore in difficoltà generalmente elabora, con l’ausilio di advisor finanziari, un piano dettagliato a medio termine (di solito 3-5 anni) di risanamento. Questo piano contiene analisi delle cause della crisi, proiezioni economico-finanziarie (piano industriale, cash flow) e l’indicazione delle operazioni proposte (ad esempio: accordi di rinegoziazione con banche per allungare i debiti, apporti di capitali dai soci, vendita di un immobile per reperire liquidità, transazioni a saldo e stralcio con taluni fornitori, ecc.). Identificato un professionista indipendente (che per legge deve avere i requisiti dell’art. 2 co.1, lett. o) CCII, quindi iscritto in apposito registro e senza conflitti d’interesse), questi verifica tutta la documentazione e redige una relazione di attestazione. Nella relazione l’attestatore deve dichiarare: (a) che i dati aziendali sono veritieri e corretti; (b) che le strategie proposte sono fattibili e idonee a assicurare il risanamento e il riequilibrio dell’impresa entro un ragionevole periodo. Si noti che l’attestatore non garantisce il successo al 100%, ma certifica che, sulla base delle informazioni e delle ipotesi ragionevoli, il piano ha concrete possibilità di riuscita superiore all’alternativa liquidatoria. La relazione di attestazione, datata e firmata, viene allegata al piano e consegnata all’imprenditore.

A questo punto il piano attestato è “efficace” e l’imprenditore può procedere alla sua esecuzione. Non c’è, come detto, alcuna fase di omologa giudiziale. Per cautela, spesso il debitore deposita volontariamente il piano e la relazione presso il registro delle imprese (in busta chiusa, come allegato riservato), in modo da avere una data certa ed eventualmente opporlo ai creditori, ma non è un obbligo legale. I creditori non coinvolti nel piano potrebbero anche non venirne a conoscenza (il debitore potrebbe decidere di continuare a pagare regolarmente alcuni creditori estranei, e dunque non rivelare affatto l’esistenza del piano).

Limiti e rischi: Il piano attestato, per sua natura contrattuale, non vincola i creditori che non vi aderiscono. Ciò significa che se l’impresa ha molti creditori e non riesce a ottenere il consenso di una parte significativa di essi, i dissenzienti potrebbero agire individualmente (es. iniziare pignoramenti) vanificando il tentativo di risanamento. Pertanto il piano attestato è indicato in situazioni in cui: o i creditori sono pochi e gestibili, oppure la crisi è ancora moderata e non ha generato sfiducia generalizzata, per cui si confida che nessuno “rompa le righe” durante l’esecuzione del piano. In caso di insolvenza avanzata, quando molti creditori sono già insoddisfatti, un piano attestato rischia di non reggere perché basta un’azione esecutiva aggressiva per farlo saltare. Inoltre, il piano attestato non offre di per sé protezione giuridica immediata (salvo l’esenzione da revocatoria): non c’è stay delle azioni esecutive automatico, né si può imporre una moratoria ai creditori dissenzienti. Per questo, spesso lo si adotta precocemente, prima che scadano debiti rilevanti.

Dal punto di vista fiscale, il piano attestato non comporta direttamente riduzioni di debiti fiscali a meno che l’Agenzia delle Entrate non accetti volontariamente una transazione fuori dalle procedure (cosa storicamente rara, se non in sede di rateizzazione ordinaria prevista dalle norme tributarie). Tuttavia, se il piano prevede l’apporto di somme per pagare in parte il debito fiscale, l’Erario riceve quanto dovuto e il tema del trattamento fiscale non si pone in termini di stralcio ma di semplice adempimento dilazionato. Attenzione però ad un aspetto: se nel piano attestato sono inclusi accordi di remissione di debito (ad esempio la banca rinuncia a parte del credito, o un fornitore abbuona una quota di fattura), tali remissioni producono in capo all’impresa-debitore una sopravvenienza attiva (utile fiscale tassabile), a meno che non rientrino nelle esenzioni dell’art. 88 TUIR. L’art. 88, co.4-ter TUIR esenta da imposizione le sopravvenienze attive derivanti da riduzione di debiti solo se realizzate nell’ambito di procedure concorsuali (concordati preventivi, fallimenti) o di accordi di ristrutturazione omologati. Il piano attestato non figura tra le procedure agevolate: di conseguenza, ogni riduzione di debito ottenuta attraverso di esso concorre al reddito imponibile. Ciò potrebbe generare un carico fiscale aggiuntivo per l’impresa proprio mentre cerca di risollevarsi. Ad esempio, se una banca aderisce al piano rinunciando a €100.000 di credito, l’anno successivo l’impresa dovrà contabilizzare 100.000 di provento straordinario tassabile. Questo effetto può essere mitigato programmando le operazioni (si pensi all’uso di perdite pregresse per assorbire l’utile fiscale) ma va considerato nella strategia.

In sintesi, il piano attestato è uno strumento agile e riservato, adatto a imprese che vogliono evitare la pubblicità di un concordato e che confidano nel rapporto fiduciario con i principali creditori. È spesso utilizzato in crisis finanziarie aziendali circoscritte, ad esempio per rinegoziare i covenant di finanziamenti bancari o per ottenere tempo e risorse da soci e banche in presenza di temporanei problemi di liquidità. Se la crisi invece è più grave e diffusa, si tende a passare a strumenti di più ampio respiro (accordi omologati o concordati).

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Esempio pratico – Piano attestato: La Beta S.p.A., azienda manifatturiera, vede un calo di fatturato e margini in rosso. Ha debiti bancari per 2 milioni (con 3 banche) e fornitori per 1 milione. Beta elabora con un advisor un piano di risanamento che prevede: chiusura di un reparto poco redditizio, licenziamento di 20 dipendenti (con accordo sindacale), vendita di un capannone per incassare €500.000, immissione di nuovo capitale per €300.000 dai soci, e prolungamento delle linee di credito bancarie da breve a medio termine. Le banche, informate informalmente, si dicono disponibili in linea di massima. Beta nomina quindi l’attestatore, che analizza i conti e conclude che il piano è sostenibile, attestando che Beta tornerà in utile in 2 anni e potrà rimborsare i debiti secondo il nuovo piano temporale. Il piano e la relazione vengono consegnati alle banche, che firmano ciascuna un accordo bilaterale col debitore: ogni banca proroga le scadenze e rinuncia a far valere il covenent violato (il rapporto PFN/EBITDA), ricevendo in cambio garanzie ipotecarie sui beni immobili non venduti. Con i fornitori, Beta propone un semplice allungamento di 90 giorni sui pagamenti, che la maggior parte accetta informalmente continuando a fornire materiali. Nessun atto giudiziario viene effettuato. Beta esegue le azioni previste: vende il capannone, immette la liquidità dei soci, paga i dipendenti licenziati con un incentivo. Grazie a queste mosse e alla fiducia mantenuta con fornitori e banche, Beta evita l’insolvenza e dopo un anno torna in equilibrio. Il piano attestato ha funzionato come cura privata senza passare dal tribunale.

Nell’esempio Beta non aveva troppi creditori e ha potuto ottenere consenso privato. Se invece uno dei creditori avesse pignorato il conto prima della vendita del capannone, il piano poteva saltare. È sempre un equilibrio delicato.

Accordi di ristrutturazione dei debiti e Piani di ristrutturazione omologati (PRO)

Gli Accordi di ristrutturazione dei debiti (ARD) disciplinati dagli artt. 57-64 CCII rappresentano una soluzione intermedia tra la negoziazione privata e il concordato preventivo. Si tratta di accordi stipulati tra l’imprenditore in crisi e una quota maggioritaria (almeno il 60%) dei suoi creditori, che vengono poi sottoposti all’omologazione del tribunale affinché diventino vincolanti anche per i creditori eventualmente non aderenti. L’idea è: se il debitore riesce a trovare un accordo con una larga maggioranza dei creditori, lo Stato interviene (attraverso il tribunale) a dare efficacia legale erga omnes a quell’accordo, evitando una procedura concorsuale più complessa e costosa.

Caratteristiche principali dell’ARD:

  • Soglia di adesioni: Servono creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti totali. Questo quorum, inferiore alla maggioranza richiesta in un concordato (che è >50% ma calcolata sui votanti e non sull’intero), serve a garantire che l’accordo abbia un’ampia base di consenso, pur senza richiedere l’unanimità. È possibile avere diverse tipologie di accordi (ordinario, agevolato, ad efficacia estesa), ma il comune denominatore è quel 60%. Nel computo rientrano tutti i crediti, anche quelli privilegiati; se un creditore privilegiato non aderisce, dovrà essere comunque pagato integralmente o in misura non inferiore al valore di liquidazione del bene sottostante, per ottenere l’omologazione.
  • Fase preparatoria riservata: Il debitore può depositare in tribunale una domanda di omologazione con riserva (il cosiddetto accordo “in bianco”), ottenendo misure protettive temporanee simili a quelle del concordato con riserva. Entro 60-120 giorni dovrà poi depositare l’accordo firmato e il piano. Durante la trattativa (che può essere condotta anche nell’ambito di una composizione negoziata, come visto) i creditori non sono vincolati finché non sottoscrivono formalmente. Il debitore per convincere i creditori può offrire garanzie, equity, o differenti trattamenti, tenendo presente che all’omologa dovrà dimostrare il rispetto del principio di non peggioramento (nessun creditore non aderente deve ricevere meno di quanto gli spetterebbe in caso di liquidazione giudiziale del debitore – il c.d. best interest test). Un professionista indipendente prepara la relazione di attestazione che accompagna l’accordo, asseverando proprio che l’accordo è fattibile e conveniente per i creditori rispetto all’alternativa del fallimento.
  • Omologazione e effetti: Raggiunto l’accordo con ≥60%, il debitore lo deposita in tribunale unitamente alla documentazione (piano, attestazione, elenco completo creditori e situazione aziendale). Il tribunale verifica la regolarità, eventualmente sente i creditori non aderenti che si oppongono, e quindi emette decreto di omologazione rendendo l’accordo efficace verso tutti. I creditori non aderenti, per legge, restano estranei dall’accordo quanto alle modifiche dei loro diritti, ma non possono più iniziare o proseguire azioni esecutive individuali, poiché l’effetto di moratoria e di esdebitazione finale si estende anche a loro (pur non avendo firmato) se il loro trattamento previsto è conforme alla legge. In pratica, un creditore dissenziente riceverà quanto previsto nell’accordo per la sua classe di credito e non potrà pretendere di più né agire diversamente.
  • Vantaggi dell’accordo rispetto al concordato: L’ARD è generalmente più snello di un concordato: non c’è voto assembleare, non c’è commissario (salvo richiesta), la tempistica è più rapida. Inoltre, finché è in trattativa, l’accordo rimane riservato (viene pubblicato solo all’atto del deposito per omologa). È possibile modulare l’accordo coinvolgendo solo alcuni creditori (es. solo le banche) e lasciando fuori altri che verranno pagati integralmente per conto loro – questo in concordato non è possibile perché è universale e tocca tutti i creditori. L’accordo può dunque essere parziale: ad esempio un accordo con il 60% delle banche per allungare i debiti finanziari, mentre i fornitori vengono pagati regolarmente fuori accordo. Un’altra flessibilità: l’accordo può prevedere il pagamento non integrale dei privilegiati (cosa non ammessa in concordato salvo classi e voto), grazie allo strumento della transazione fiscale di cui diremo qui sotto.
  • Transazione fiscale e contributiva (art. 63 CCII): Una componente cruciale degli ARD (e utilizzabile anche nei concordati) è la transazione sui crediti tributari e previdenziali. Il debitore può proporre all’Agenzia delle Entrate, all’INPS e all’Agente della Riscossione un trattamento dei loro crediti differente da quello integrale: ad esempio pagamento parziale di imposte, stralcio di sanzioni e interessi, dilazioni oltre i limiti ordinari. Occorre il parere conforme delle Agenzie (che valutano secondo linee guida interne). Dal 2024 l’Agenzia Entrate ha chiarito l’ufficio competente a esprimere tale parere per uniformità: con provvedimento n. 456918 del 23 dicembre 2024 è stato stabilito quale Direzione Provinciale o Regionale deve approvare le transazioni fiscali nell’ambito degli accordi di ristrutturazione. Se l’Agenzia aderisce, l’accordo includerà la transazione fiscale e quei crediti pubblici verranno trattati come concordato (anche con falcidia di IVA, cosa un tempo vietata e oggi permessa). La difficoltà sorge quando il Fisco non aderisce: in tal caso, come comportarsi all’omologa? La legge consente oggi un’omologazione forzosa (cram down) della transazione fiscale in due ipotesi alternative: (1) se gli altri creditori che hanno aderito rappresentano almeno il 25% dei crediti totali, è sufficiente che Fisco e INPS siano soddisfatti almeno al 30% del loro credito (sanzioni e interessi inclusi); (2) se gli altri creditori pesano meno del 25%, allora il trattamento del Fisco/INPS deve salire ad almeno il 40% e con dilazione ≤ 10 anni. In entrambi i casi va garantito che l’accordo non sia meramente liquidatorio (cioè che preveda misure di continuità o comunque soluzioni migliorative). Queste soglie, introdotte nel 2023 (DL 69/2023 convertito in L. 103/2023) e confermate dal correttivo 2024, restringono i margini del giudice: non basta più garantire al Fisco il “meglio della liquidazione”, serve anche pagargli almeno quel 30-40%. Ad esempio, se un’azienda ha 1 milione di debiti con il Fisco e vuole cramdown, deve offrire almeno 300 mila euro (o 400 se pochi altri creditori) per legge. Ci sono state pronunce in merito: il Tribunale di Roma (decreto 9 maggio 2023) ha sottolineato che l’omologa forzosa serve a perseguire l’interesse concorsuale prevalente superando le resistenze degli uffici finanziari, ma con le nuove norme quell’interesse deve conciliarsi con soglie minime di recupero. Da notare: queste soglie non si applicano alla transazione nel concordato preventivo, dove il regime è leggermente diverso e il cram down fiscale deriva da altre norme (art. 88 CCII).
  • PRO – Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione: Il CCII, come novellato dal correttivo 2022, prevede anche una particolare tipologia di accordo senza necessità di adesione del 60%, denominata in gergo PRO (art. 64 CCII). Come visto in Tabella 1, il PRO consente all’imprenditore risanabile di ottenere un’omologazione di un piano di ristrutturazione anche contro il dissenso di parte dei creditori, purché nessun creditore sia trattato in modo deteriore rispetto alla liquidazione e si rispetti l’equità tra classi. In pratica, il PRO attua in Italia la direttiva UE 2019/1023 sui frameworks preventive: è una sorta di concordato semplificato in continuità, dove non c’è voto formale ma classi di trattamento, e il giudice valuta se il piano è equo e fattibile e se eventuali opposizioni di creditori dissenzienti sono superabili. Uno degli scopi del PRO è consentire ristrutturazioni in continuità aziendale rapide, con meno formalità di un concordato: ad esempio non serve nominare un commissario se non richiesto, il piano può derogare alla par condicio (pagare prima alcuni creditori strategici) e può essere implementato anche prima dell’omologa (il tribunale può autorizzare la cessione di rami d’azienda funzionali alla ristrutturazione già durante il procedimento, senza applicare l’art. 2560 c.c. sulla responsabilità acquirente, e garantendo la non applicazione dell’art. 2112 c.c. in caso di continuità, ossia il trasferimento dei lavoratori con le stesse tutele). Insomma, un ventaglio di agevolazioni operative. In compenso, il controllo giudiziario è comunque serio: serve un’attestazione robusta e tutti i creditori devono ricevere almeno quanto avrebbero dalla liquidazione. Il PRO spesso viene scelto quando non si riesce a far firmare il 60% dei creditori ad un ARD, ma c’è urgenza di ristrutturare evitando la morosità generalizzata.

Caso pratico – Accordo di ristrutturazione con transazione fiscale: Gamma S.p.A., impresa edile, è in crisi di liquidità e insolvente verso banche e Erario. Ha debiti: 5 milioni verso banche (garantiti da ipoteche parziali), 2 milioni verso fornitori chirografari, 3 milioni verso Agenzia Entrate (IVA e Irpef dipendenti) e 1 milione verso INPS. Totale 11 milioni. Gamma vede prospettive di risanamento se riesce a dimezzare il debito e ottenere nuova finanza per completare alcuni cantieri. Decide di tentare un accordo di ristrutturazione. Tratta con le 3 banche: due accettano di convertire parte dei crediti in partecipazione al capitale (diventano socie col 30%) e di prorogare il resto su 7 anni; la terza banca, più esposta, rifiuta. Somma crediti banche aderenti: 3 mln (27% del totale debiti). Fornitori: Gamma propone 50% a saldo e stralcio entro 1 anno; abbastanza fornitori accettano, coprendo un altro 15% di debiti. Resta il nodo Fisco/INPS: Gamma propone di pagare 1,5 mln su 4 (circa 37%) in 5 anni, stralciando sanzioni e interessi. L’Agenzia delle Entrate, valutati i flussi prospettati, non aderisce formalmente perché il pagamento offerto è sotto la soglia interna minima, tuttavia non si oppone in assoluto. Complessivamente, Gamma ottiene adesioni per il 60% (banche e fornitori aderenti arrivano al 60% preciso dei crediti). Deposita dunque l’accordo in tribunale, includendo la transazione fiscale non sottoscritta. Chiede l’omologa forzosa sul Fisco e INPS, offrendo di portare il loro soddisfacimento al 37% (che è >30%) e dimostrando che i creditori pubblici prenderebbero zero in caso di fallimento (perché i beni ipotecati andrebbero alle banche). Il tribunale verifica che: (a) oltre il 25% dei crediti (nel caso Gamma, il 60% stesso) ha aderito; (b) il Fisco riceve almeno il 30% (in effetti 37%); (c) l’accordo non è liquidatorio (c’è continuità con nuovi soci). Quindi omologa l’accordo nonostante il diniego dell’Agenzia. I debiti fiscali vengono così ridotti e dilazionati secondo il piano. La terza banca dissenziente ottiene nel piano il rimborso integrale del suo credito (ma spalmato in 7 anni, come se avesse aderito – e non può opporsi perché comunque riceve tutto col tempo). I fornitori dissenzienti (quelli che non avevano accettato il 50%) per legge ricevono la stessa percentuale dei consenzienti (50%) in due rate annuali. Dopo l’omologa, Gamma riprende fiato: i nuovi soci-banche apportano 1 milione fresco, si sbloccano i cantieri e l’azienda evita il fallimento.

Nell’esempio, l’interesse concorsuale di ristrutturare l’impresa ha prevalso sull’interesse erariale a riscuotere tutto: il tribunale ha forzato il piano sul Fisco, ritenendo che fosse meglio incassare 1,5 milioni subito e salvare Gamma piuttosto che farla fallire e incassare zero. Esempi come questo sono diventati possibili in Italia da pochi anni, dopo l’evoluzione normativa. Infatti, prima del 2020, se il Fisco diceva no, l’accordo saltava. Ora c’è la “transazione fiscale forzosa” ma con paletti (qui rispettati).

Profilo fiscale e giurisprudenza recente: Negli accordi di ristrutturazione con transazione fiscale, un aspetto delicato è l’impatto delle riduzioni di debito sul piano fiscale dell’impresa. Come per il piano attestato, anche qui le sopravvenienze attive da stralcio dei debiti sarebbero imponibili, ma entra in gioco una norma speciale: l’art. 88, co.4-ter TUIR esenta da tassazione le sopravvenienze da riduzione dei debiti se derivanti da concordati preventivi e accordi di ristrutturazione omologati. Dunque, a differenza del piano attestato, un accordo ex art.57 omologato non genera tassazione sulle quote di debito rimesso (ad es. nel caso Gamma, il 50% tagliato ai fornitori e il 63% tagliato al Fisco non saranno tassati come ricavo per Gamma). Tuttavia, attenzione: l’esenzione opera solo per i debiti effettivamente ridotti in sede di omologa. Se un accordo omologato prevede il pagamento parziale di un debito fiscale, la parte non pagata è esdebitata e rientra nell’esenzione. Ma con una recente interpretazione restrittiva, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che questa agevolazione non si applica in due casi peculiari: la composizione negoziata con accordo stragiudiziale e il concordato semplificato post composizione negoziata. In due risposte a interpello del luglio 2025 (nn. 178 e 179) l’Agenzia ha chiarito che tali fattispecie non rientrano tra quelle elencate nell’art. 88 TUIR, in quanto la legge parla espressamente di “concordato preventivo liquidatorio” e di accordi ex art.182-bis L.F. (ora art.57 CCII). Ne deriva che, ad esempio, se in composizione negoziata l’impresa ottiene uno stralcio dai creditori (al di fuori di una procedura concorsuale) e poi chiude con un accordo senza omologa, quelle riduzioni di debito costituiscono sopravvenienza attiva tassabile. Questa posizione ha suscitato critiche perché rischia di penalizzare chi usa strumenti stragiudiziali (che si vede arrivare una cartella fiscale sulle somme condonate dai creditori). È auspicabile un intervento normativo per equiparare il trattamento fiscale di composizione negoziata e concordati, ma al momento (luglio 2025) è così. Per contro, nelle procedure omologate (accordi e concordati) la legge tutela l’imprenditore dal fisco sulle parti di debito abbattute.

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Concordato preventivo (in continuità e liquidatorio)

Il concordato preventivo è la procedura di regolazione della crisi più nota e formalizzata, erede diretta della tradizione fallimentare ma con lo scopo di evitare la liquidazione giudiziale attraverso un accordo collettivo con i creditori approvato a maggioranza e omologato dal tribunale. Il CCII lo disciplina agli artt. 84-120, introducendo alcune novità rispetto alla vecchia legge fallimentare. Possiamo presentare il concordato evidenziando le due macro-tipologie: concordato in continuità aziendale e concordato liquidatorio, che hanno requisiti differenti.

Elementi comuni a tutti i concordati:

  • Presupposti soggettivi e oggettivi: vi accede l’imprenditore fallibile in stato di crisi o insolvenza (nel CCII il concordato è ammesso anche per prevenire lo stato di insolvenza imminente, non solo a insolvenza già conclamata). L’imprenditore minore non può presentare questo concordato, dovendo ricorrere al concordato minore se del caso. La domanda di concordato può essere diretta (completa di piano e proposta sin dall’inizio) oppure con riserva (art. 44 CCII, ex “concordato in bianco”), chiedendo al tribunale di fissare un termine (fino a 120 giorni + 60 proroga) per presentare la proposta definitiva mentre nel frattempo si ottengono le misure protettive automatiche.
  • Effetti dell’apertura: Il tribunale, verificati i requisiti minimi, dichiara aperta la procedura di concordato preventivo con decreto, nominando un Commissario Giudiziale (figura di controllo, spesso un commercialista) e disponendo le misure protettive a favore del patrimonio del debitore (stay delle azioni esecutive e dei sequestri da parte dei creditori chirografari e privilegiati anteriori). Tali misure restano in vigore sino all’omologazione definitiva (o alla cessazione della procedura). Da notare che l’impresa in concordato rimane gestita dall’imprenditore (nessuno spossessamento), ma sotto la vigilanza del Commissario e con eventuali atti di straordinaria amministrazione soggetti ad autorizzazione del tribunale.
  • Proposta e classi: Il debitore deve presentare un piano concordatario dettagliato con una proposta di soddisfacimento dei crediti. Egli può suddividere i creditori in classi omogenee per posizione giuridica o interessi economici (non è obbligatorio se non nel caso di trattamenti differenziati di crediti di pari grado). Ad esempio, spesso si fanno classi separate per banche chirografarie, fornitori piccoli, fornitori strategici, creditori privilegiati degradati, ecc. I creditori privilegiati per legge vanno soddisfatti integralmente, salvo che non rinuncino in parte (in continuità aziendale la legge consente di pagarli in percentuale purché non meno del valore che avrebbero liquidando i beni, calcolato anche tenendo conto di eventuali apporto di finanza esterna). I creditori chirografari possono essere falcidiati liberamente, a condizione di rispettare eventuali soglie di legge nei concordati liquidatori (vedi infra).
  • Votazione: Dopo il deposito del piano definitivo e delle relazioni di attestazione (redatte da un professionista indipendente che assevera veridicità dati e fattibilità del piano), il tribunale ammette la proposta e indice l’adunanza dei creditori. Qui i creditori votano per classi (se costituite) o in unica massa. Serve il voto favorevole dei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Se ci sono classi, si guarda anche alla maggioranza delle classi; il meccanismo del CCII consente comunque l’omologazione anche con classi dissenzienti tramite il cram-down trasversale (purché almeno una classe di creditori non-part correlated approvi e la proposta non alteri l’ordine delle cause di prelazione in modo ingiustificato). In caso di esito positivo della votazione, il tribunale passa alla fase di omologazione; se negativo, il concordato di regola viene dichiarato inammissibile e l’alternativa è la liquidazione giudiziale (salvo ipotesi di omologazione d’ufficio se ricorrono i presupposti di cram-down interclassi previsti dal Codice).
  • Omologazione: Il tribunale omologa il concordato con sentenza se non vi sono opposizioni o, in caso di opposizioni di creditori dissenzienti, dopo averle valutate (spesso l’opposizione verte sulla fattibilità del piano o sull’abuso della procedura). Un aspetto importante: se nel concordato è compresa la transazione fiscale (riduzione di debiti tributari), l’omologazione richiede il voto favorevole dell’Erario o, in mancanza, l’applicazione dell’art. 88 CCII. L’art. 88 CCII consente l’omologa anche senza adesione del Fisco a condizione che la proposta preveda il pagamento di almeno il 20% dei crediti fiscali e contributivi privilegiati (IVA, ritenute, contributi) e almeno il 10% dei crediti chirografari dell’Erario. Questo è il cosiddetto “cram-down fiscale nel concordato”: soglie più basse (20%) rispetto agli accordi di ristrutturazione, introdotte dalla L.159/2020 e poi trasfuse nel CCII. Ad esempio, se l’IVA è un credito privilegiato e il piano offre il 30% su di essa, il giudice può omologare anche se l’Agenzia dissentisse (perché l’alternativa liquidatoria probabilmente darebbe meno del 30%). La ratio è simile a quella vista per gli accordi: bilanciare l’interesse pubblico a non tagliare i tributi con l’interesse al risanamento dell’impresa. La giurisprudenza ha applicato questa norma: Tribunale di Caltanissetta (19/12/2024) ha ritenuto ammissibile il cram-down fiscale in un concordato in continuità ante correttivo-ter, sebbene con prudenza.
  • Esecuzione ed effetti: Il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori, che debbano considerarsi soddisfatti secondo le percentuali e le modalità stabilite (ad esempio con attribuzione di azioni, con pagamento dilazionato, ecc.). In caso di inadempimento del debitore, su istanza dei creditori il concordato può essere risolto e si può aprire la liquidazione giudiziale.

Concordato in continuità aziendale: è tale se nel piano è prevista la prosecuzione dell’attività d’impresa in capo al debitore stesso (continuità diretta) o tramite un terzo che acquisisce/affitta l’azienda (continuità indiretta). La caratteristica è che i creditori vengono pagati coi flussi di cassa generati dall’azienda in esercizio, in un arco temporale che può estendersi fino a 5 anni (estendibili). Il vantaggio per i creditori è che, se la continuità ha successo, la soddisfazione può essere maggiore rispetto alla liquidazione immediata. Il vantaggio per l’imprenditore è di salvare l’azienda e i posti di lavoro. Il CCII incentiva i concordati in continuità: ad esempio, ha eliminato la regola (che vigeva pre-2022) del 20% minimo ai chirografari in continuità – questa soglia minima ora si applica solo ai concordati liquidatori. Inoltre, il codice prevede che nel concordato in continuità possono essere alterati i gradi di prelazione con il consenso del creditore privilegiato: ad esempio, pagando parzialmente un ipotecario mentre si paga una percentuale ai chirografari, purché il privilegiato acconsenta. Vengono altresì protetti i finanziamenti interinali e in esecuzione del concordato (ritenuti prededucibili, art. 99 CCII) per incoraggiare investitori. Un tema classico di dibattito è: nel concordato in continuità, il piano può ignorare l’ordine delle cause di prelazione nell’utilizzo dei flussi futuri? Ad esempio, i flussi generati dalla continuità possono andare a pagare un chirografario prima di aver soddisfatto integralmente un privilegiato? Secondo la giurisprudenza e dottrina prevalenti, , se tali flussi derivano da finanza esterna o comunque da valore creato ex novo grazie alla continuità, essi possono essere destinati in deroga alla priorità ai creditori in base all’art. 2741 c.c.. La logica: se quei soldi non esisterebbero affatto in uno scenario liquidatorio, il vincolo delle prelazioni tradizionali può essere affievolito per massimizzare la soddisfazione complessiva. Questa interpretazione ha avuto l’avallo di tribunali (Trib. Milano 5/12/2018 cit.) e dell’Agenzia Entrate stessa in circolare 34/E 2020. Dunque oggi è possibile strutturare concordati in continuità dove i creditori privilegiati ricevono magari il 70% in 5 anni e i chirografari il 30%, benché in liquidazione i secondi non avrebbero preso nulla: ciò è ammesso se i chirografari vengono pagati in sostanza con il margine generato dalla prosecuzione aziendale e/o con l’apporto di terzi, mentre i privilegiati vengono soddisfatti col realizzo statico di garanzie o beni liberi. Questa osmosi tra diritto ed economia (come definita da alcuni autori) rende il concordato in continuità un vero strumento di composizione e non solo di liquidazione mascherata.

Concordato liquidatorio: è la forma in cui l’azienda cessa l’attività e tutto il patrimonio viene venduto per pagare i creditori. A differenza della liquidazione giudiziale, però, qui la vendita è proposta e gestita dal debitore in modo concordato: spesso c’è un acquirente già individuato (che magari paga un corrispettivo superiore a quello da asta fallimentare perché acquista in blocco e senza stigma di fallimento), oppure i beni verranno liquidati da un liquidatore concordatario nominato nel piano. Il concordato liquidatorio nel CCII è ammesso solo a certe condizioni più severe: in particolare la legge richiede un dividendo minimo del 20% ai creditori chirografari, salvo che i creditori, informati di un dividendo inferiore, accettino comunque votando la proposta (in pratica il 20% è la regola ma non se i creditori decidono di accontentarsi di meno con espressa approvazione). Inoltre, il CCII prevede che se un concordato è liquidatorio puro, almeno il 10% dell’attivo ricavato dalla liquidazione deve provenire da risorse esterne aggiuntive (non dal semplice realizzo dei beni del debitore). Questa norma mira a scoraggiare concordati “fotocopia” di un fallimento: si vuole un valore aggiunto (ad es. un nuovo apporto dei soci, un terzo che mette soldi) che giustifichi perché i creditori dovrebbero preferire il concordato al fallimento. Se manca questa condizione, il concordato potrebbe essere dichiarato inammissibile. Il concordato liquidatorio viene in pratica spesso proposto da imprenditori che vogliono evitare le conseguenze del fallimento (stigma, possibili azioni per bancarotta se c’è reato, ecc.) offrendo ai creditori qualcosa di più e più velocemente rispetto alla liquidazione giudiziale.

Nel concordato liquidatorio, di solito, non c’è necessità di classi (poiché tutti i chirografari hanno stesso trattamento salvo eccezioni) e la procedura è più semplice: si tratta di vendere i beni (eventualmente tramite procedure competitive sotto vigilanza del GD come simili a quelle fallimentari) e poi distribuire il ricavato. Il debitore di solito perde la gestione subito dopo l’omologa: il tribunale nomina un Liquidatore che si occupa di eseguire il piano.

Profili fiscali nel concordato: In un concordato preventivo – sia esso in continuità o liquidatorio – l’impresa potrebbe generare sopravvenienze attive derivanti dallo stralcio dei debiti (soprattutto chirografari). Ebbene, il TUIR all’art. 88 esenta da tassazione tali sopravvenienze se derivano da concordato preventivo omologato. Quindi il debitore non dovrà pagare tasse sulle perdite subite dai creditori. Questa è un’agevolazione rilevante perché altrimenti, paradossalmente, un’impresa che azzera il 70% dei debiti in concordato si troverebbe con un enorme utile fiscale tassabile. La norma evita questo, equiparando tali utili a poste straordinarie esenti. Attenzione però: come sopra accennato, l’Agenzia Entrate ha puntualizzato che questo vale per il concordato preventivo (o fallimentare), non ad esempio per il concordato semplificato (che è procedura nuova, diversa). Nel concordato semplificato – introdotto da DL 118/2021 per quando fallisce la comp. negoziata – la risposta AE n.179/2025 ha chiarito che l’esdebitazione finale non gode dell’esenzione TUIR, considerando letteralmente l’art. 88 co.4-ter che menziona solo concordato fallimentare e preventivo liquidatorio. Quindi, per un concordato semplificato, i debiti perdonati diventerebbero imponibili. Essendo il concordato semplificato una procedura residuale e perlopiù liquidatoria, questa interpretazione appare piuttosto punitiva, ma finché il legislatore non aggiornerà l’art. 88, tale è la posizione del fisco.

Esempio pratico – Concordato preventivo in continuità: Delta S.r.l., società di produzione tessile, ha accumulato 8 milioni di debiti, di cui 2 verso banche (chirografari), 1 verso un pool di leasing (privilegiati su macchinari), 3 verso fornitori, 1 verso l’Erario (IVA) e 1 verso altri (affitti, ecc.). Il settore è in crisi, ma Delta ha un nuovo piano industriale credibile se ottiene la riduzione dell’indebitamento. Delta presenta domanda di concordato con un piano di continuità: propone di continuare l’attività ridimensionando i costi, e offre ai creditori un pagamento in 5 anni con queste percentuali: fornitori 40%, banche 60%, affitti 50%. L’IVA (credito privilegiato) propone di pagarla al 100% ma diluita in 5 anni senza interessi (approfittando della transazione fiscale). Le società di leasing (privilegiati con garanzia sui macchinari) propone di pagarle al 80% (valore di stima dei macchinari) in 5 anni. Per far ciò, i soci apporteranno 0.5 milioni e un investitore esterno ne mette altri 0.5 per ottenere il 30% delle quote. Si prevedono classi di voto: una classe fornitori, una banche, una chirografari vari, una leasing (privilegiati degradati per 20%), una Erario (IVA privilegiata). Tutti votano e, dopo discussioni, la maggioranza in ogni classe viene raggiunta salvo la classe Erario che vota contro (Agenzia Entrate contraria alla dilazione lunga). Il tribunale tuttavia omologa lo stesso perché l’IVA è comunque garantita al valore integrale in 5 anni (nessun peggioramento, art. 88 CCII). Il concordato viene omologato. Delta prosegue l’attività con la nuova finanza, e rispettando il piano riesce a pagare puntualmente i creditori alle scadenze concordate. Dopo 5 anni esce dal concordato risanata.

In questo scenario, nessun creditore è stato soddisfatto integralmente, ma tutti hanno preferito questa soluzione alla liquidazione (dove avrebbero recuperato forse il 20%). I fornitori hanno ottenuto il 40% su 5 anni invece di quasi zero in caso di fallimento – un compromesso accettabile. L’Erario ha dovuto attendere ma non ha subito una falcidia nominale (solo la perdita di interessi e sanzioni). L’apporto di finanza esterna (1 milione) ha contribuito a convincere il tribunale che il piano era serio e a migliorare i dividendi.

Esempio pratico – Concordato preventivo liquidatorio: Epsilon S.p.A., impresa edile travolta da procedimenti legali, decide di liquidare tutto. Ha debiti per 10 milioni; l’attivo consiste in cantieri incompiuti e crediti verso clienti per 3 milioni, più qualche immobile. In fallimento i creditori prenderebbero stimato il 20%. Epsilon propone un concordato liquidatorio offrendo il 25% a tutti i chirografari, da pagarsi entro 2 anni col ricavato delle vendite degli immobili e l’incasso dei crediti, e aggiunge un contributo cash dei soci di €200.000 (pari al 6.6% dell’attivo) per raggiungere quell’importo. I privilegiati (banche con ipoteca su immobile) verranno soddisfatti col ricavato della vendita di quell’immobile (si prevede 70% di soddisfo per ipotecari). Non essendo i chirografari al 25% (sopra il minimo 20%), il piano è ammissibile. In assemblea i creditori approvano (preferiscono 25% piuttosto che una lunga causa fallimentare). Il concordato è omologato e un Liquidatore nominato dal tribunale provvede a vendere i beni e distribuire il 25%. A fine procedura Epsilon ottiene l’esdebitazione sul restante 75% che non è riuscita a pagare.

Questo esempio mostra come il concordato liquidatorio si traduca in pratica in un fallimento concordato: i creditori ottengono leggermente di più e più in fretta, l’imprenditore chiude la vicenda senza il marchio del fallito e con eventuali esenzioni da responsabilità penali (se previste in presenza di concordato, ad es. talvolta la bancarotta semplice può non essere perseguita se c’è concordato eseguito). Il fisco incasserà la sua parte e, grazie all’art. 88 TUIR, non tasserà la sopravvenienza attiva del 75% di debiti abbuonati.

Strumenti per i debitori non fallibili (sovraindebitamento) – Il concordato minore e le altre procedure

Passiamo ora brevemente alle procedure riservate ai piccoli imprenditori, professionisti e consumatori, ovvero coloro che rientrano nella categoria dei sovraindebitati. Pur non trattandosi strettamente di “crisi fiscale d’impresa” in senso stretto (poiché spesso il debitore può essere una persona fisica o un’impresa sotto-soglia), è utile delineare questi istituti per completare la panoramica, anche perché il punto di vista del debitore riguarda anche tanti piccoli operatori economici. Inoltre, in queste procedure troviamo spesso debiti verso l’Erario e viene prevista la possibilità di transarli in modo simile al concordato, con intervento dell’Agenzia Entrate.

Le procedure in questione, disciplinate dal CCII a partire dall’art. 65, sono:

  • Il Piano di ristrutturazione del consumatore (destinato solo ai consumatori, cioè persone fisiche che hanno debiti non professionali, ad esempio privati cittadini sovraindebitati).
  • Il Concordato minore (destinato a imprenditori minori, imprenditori agricoli, start-up innovative, professionisti e in generale debitori non fallibili diversi dal consumatore).
  • La Liquidazione controllata del sovraindebitato (corrispondente alla vecchia liquidazione del patrimonio ex L.3/2012, accessibile a qualsiasi sovraindebitato come procedura liquidatoria concorsuale).

Concordato minore: merita particolare attenzione perché è l’equivalente, per i piccoli debitori, del concordato preventivo. È una procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento che non è aperta al consumatore (che ha il suo piano dedicato), ma è pensata per le altre categorie (piccole imprese, ditte individuali sotto-soglia, enti non profit indebitati, ecc.). Il concordato minore presenta analogie con il concordato maggiore: il debitore propone ai creditori un piano di ristrutturazione e soddisfazione parziale dei debiti, con eventuale suddivisione in classi, e questo piano viene sottoposto al voto dei creditori e all’omologazione del tribunale. Le differenze salienti sono:

  • Viene gestito con l’ausilio di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC), un ente terzo (spesso presso gli Ordini professionali o le Camere di Commercio) che assiste il debitore nella predisposizione del piano e funge da figura di supporto e controllo, analogo al Commissario del concordato preventivo.
  • La maggioranza richiesta per approvare il concordato minore è calcolata sul totale dei crediti ammessi al voto, e serve la maggioranza assoluta (oltre il 50%), senza distinzione in classi (di norma, salvo diversa previsione del piano).
  • Dopo il deposito della proposta, il giudice non dichiara subito aperta la procedura come nel concordato preventivo, ma prima verifica la fattibilità giuridica e la meritevolezza. Infatti nel sovraindebitamento conta la valutazione della meritevolezza del debitore (assenza di atti in frode negli ultimi 5 anni, ecc.). Se supera questa fase, allora ammette al voto.
  • Se il debitore è una società, il ricorso al concordato minore dev’essere deliberato dagli amministratori e risulta da atto notarile iscritto al Registro Imprese (similmente a quanto richiesto per il concordato preventivo ordinario, art.120-bis CCII).
  • Una peculiarità: nel concordato minore, come già avveniva per l’accordo di L.3/2012, i creditori esprimono la loro adesione o mancata adesione per PEC all’OCC entro un termine (30 giorni) fissato dal giudice. Non c’è un’adunanza fisica spesso, tutto avviene per corrispondenza o tramite portale telematico. Se non rispondono affatto, si considera mancata adesione (silenzio-dissenso).
  • Approvazione: serve il sì di creditori rappresentanti la maggioranza dei crediti. Non c’è classi se non volontarie, e il calcolo è sull’ammontare.
  • Omologazione: il tribunale omologa se ci sono le maggioranze e se accerta che il piano è fattibile e conveniente per i creditori (nessuno otterrebbe di più col fallimento di quel soggetto, che però non è fallibile per legge, ma si fa un’analisi ipotetica). Se i creditori non approvano, il giudice può ugualmente omologare il concordato minore anche senza maggioranza, purché ritenga che la proposta realizzi il miglior interesse per i creditori e il dissenso sia irragionevole (una sorta di cram-down giudiziale) – questo potere unilaterale è una novità del CCII, atto a favorire le soluzioni anche contro inerzia o opposizione irrazionale di minoranze.
  • Effetti: il concordato minore una volta omologato vincola tutti i creditori anteriori. Produce esdebitazione finale del debitore persona fisica a fine esecuzione (per società, la società si estingue normalmente una volta eseguito il piano).
  • Le misure protettive sono analoghe: su richiesta, il giudice può sospendere le azioni esecutive individuali dal deposito del ricorso e vietare ai creditori di iniziarne di nuove sino alla definizione.

In sostanza, il concordato minore è uno strumento cucito su misura per piccoli imprenditori sovraindebitati. Un esempio d’uso: un artigiano con debiti per 300.000 euro (metà con banca, metà fiscali) potrebbe proporre di pagarne 150.000 in 4 anni grazie alla continuazione della sua attività, ottenendo il voto favorevole della banca e sperando nel silenzio-assenso del Fisco (se rispetta i parametri minimi di cui diremo). Anche nel concordato minore infatti si applica la possibilità di transazione fiscale: l’art. 74 CCII rimanda all’art. 63 CCII per la trattazione dei crediti fiscali e contributivi, quindi il piccolo imprenditore può proporre falcidia di IVA, etc., ottenendo il parere delle Agenzie. Se l’Erario nega, il giudice può comunque omologare forzosamente se il piano offre almeno il 30% (o 40% a certe condizioni) anche qui, credo in analogia agli accordi – benché non esplicitato per concordato minore, è verosimile si applichino gli stessi criteri di ragionevolezza nel valutare l’interesse concorsuale.

Piano del consumatore: per completezza, il piano di ristrutturazione per il consumatore è simile al concordato minore ma senza voto dei creditori. Il consumatore (persona fisica non fallibile) presenta un piano di pagamento parziale dei debiti, e il giudice lo omologa valutando la meritevolezza e convenienza per i creditori (i quali possono essere sentiti ma non votano). È un istituto molto orientato alla protezione del debitore persona fisica sovraindebitato (purché incolpevole in sostanza). Anche qui è possibile includere debiti fiscali e chiedere la falcidia, e la giurisprudenza ha talvolta omologato piani del consumatore con taglio di cartelle esattoriali, considerando che tanto il consumatore non fallirebbe e qualcosa è meglio di nulla.

Liquidazione controllata: è l’equivalente del fallimento per i soggetti non fallibili. Si apre su richiesta del debitore stesso, oppure di un creditore o su impulso del tribunale se altre procedure falliscono. Un liquidatore (spesso l’OCC stesso) viene nominato e liquida l’intero patrimonio del sovraindebitato, distribuendo il ricavato ai creditori. L’aspetto importante è l’esdebitazione: la persona fisica sovraindebitata, dopo aver ceduto tutto ciò che ha (eccetto i beni impignorabili), può chiedere di essere liberata dai debiti residui a fine procedura (o addirittura prima, in caso di esdebitazione del nullatenente, introdotta dall’art. 282 CCII che consente al debitore persona fisica meritevole e privo di beni di ottenere la cancellazione dei debiti subito, impegnandosi però a pagare ai creditori qualcosa se nei 4 anni successivi abbia miglioramenti di reddito). Questo meccanismo è cruciale per dare al piccolo imprenditore o al cittadino una fresh start dopo il tracollo finanziario.

Trattamento dei debiti fiscali nel sovraindebitamento: L’Agenzia delle Entrate partecipa anche qui come creditore. Nei concordati minori e piani del consumatore può esprimersi (voto nel primo, osservazioni nel secondo) sulla proposta di stralcio. In genere si applicano analogamente i criteri di convenienza e i limiti di legge. Non esistono soglie esplicite nel CCII per la falcidia IVA nel sovraindebitamento (come c’erano nel vecchio art. 7 L.3/2012 che la vietavano, poi caduti), quindi oggi anche un piccolo imprenditore può proporre di pagare parzialmente l’IVA, purché l’attestatore e il giudice certifichino che prende almeno quanto in ipotesi liquidatoria. Si registrano pronunce innovative: ad esempio, Tribunale di Vasto 11/12/2024 ha delineato i presupposti per l’omologazione forzata nel caso di accordi di ristrutturazione o concordati minori con Fisco dissenziente, confermando l’applicabilità per analogia delle soglie del 30-40%.

Domande frequenti (FAQ) sulla crisi d’impresa e la ristrutturazione del debito

D: Quando è consigliabile tentare la composizione negoziata della crisi? Quali vantaggi offre rispetto al concordato preventivo?
R: La composizione negoziata è consigliabile nelle fasi iniziali della crisi, quando l’impresa ha ancora prospettive di recupero ma necessita di una ristrutturazione concordata con i creditori. È particolarmente utile se si vuole evitare la pubblicità e la rigidità di una procedura concorsuale: le trattative si svolgono in riservato, l’imprenditore mantiene la gestione e non vi sono stigmi di “insolvenza” sull’azienda. Rispetto al concordato, la composizione negoziata offre maggiore flessibilità (si possono trovare soluzioni personalizzate, coinvolgere solo alcuni creditori chiave, ecc.) e costi procedurali inferiori. Inoltre consente di attivarsi prima che si realizzino i presupposti formali dell’insolvenza, sfruttando la finestra della “probabile crisi”. I vantaggi includono anche incentivi fiscali (sospensione di termini, possibilità di transazione fiscale interna autorizzata dal tribunale, misure premiali su interessi e sanzioni). Di contro, va tentata quando c’è buona fede e apertura al dialogo da parte dei creditori: se l’azienda è già bersagliata da decreti ingiuntivi e pignoramenti, o se vi è ostilità insanabile da parte di creditori rilevanti, la composizione può fallire e far perdere tempo prezioso. In tal caso conviene valutare subito un concordato preventivo, che impone una moratoria a tutti i creditori e ha effetti coercitivi più forti.

D: Durante la composizione negoziata, l’imprenditore rimane in carica e può gestire liberamente l’impresa?
R: Sì, l’imprenditore conserva integralmente la gestione della propria azienda durante la composizione negoziata. Non c’è una figura di amministrazione controllata come nel fallimento. L’Esperto nominato ha un ruolo di ausilio e monitoraggio, ma non può obbligare il debitore a compiere atti né amministrare i beni al posto suo. Detto ciò, il legislatore ha introdotto alcune cautele: se l’imprenditore vuole compiere atti di straordinaria amministrazione (ad esempio vendere un immobile importante, cedere l’azienda, accendere nuovi mutui con garanzia), deve chiedere l’autorizzazione al tribunale. Inoltre, dal 2024, eventuali decisioni di banche di revocare fidi devono essere comunicate agli organi sociali, così gli amministratori ne rispondono in collegialità. In generale però, l’imprenditore continua a dirigere l’attività: la filosofia della composizione negoziata è di non allarmare il mercato con una “crisi conclamata”, ma di permettere all’azienda di operare quasi normalmente mentre cerca l’accordo. Anzi, se necessario il tribunale può autorizzare l’imprenditore a contrarre nuova finanza prededucibile per la continuità aziendale (prestiti che verranno rimborsati prioritariamente) o a pagare fornitori strategici per assicurare la prosecuzione dell’attività. Tali atti, autorizzati dal giudice, non potranno poi essere revocati e sono protetti. Quindi l’imprenditore ha mano libera nella gestione ordinaria e una supervisione su quella straordinaria, ma rimane saldamente in carica.

D: Che succede se l’Agenzia delle Entrate o l’INPS non accettano la proposta di transazione fiscale nel mio piano di ristrutturazione? Il giudice può imporla lo stesso?
R: Dipende dalla procedura. Se sei in accordo di ristrutturazione o concordato preventivo, la legge prevede la possibilità di omologare ugualmente il piano anche senza l’adesione del Fisco (omologazione forzosa o cram-down). I requisiti però differiscono:

  • Nel concordato preventivo, il giudice può omologare senza il voto favorevole dell’Erario se ritiene che il trattamento proposto ai crediti fiscali e contributivi è congruo (almeno pari a quello ottenibile in fallimento) e comunque almeno il 20% del loro ammontare. In pratica, devi offrire ai crediti fiscali privilegiati almeno il 20% (e pagare integralmente l’IVA e le ritenute in misura non inferiore al 20%, anche se dilazionato) perché l’art. 88 CCII sia applicabile. Questa norma è stata pensata per i concordati in continuità e poi generalizzata.
  • Negli accordi di ristrutturazione dei debiti (ARD), la disciplina è più articolata dopo il 2023: se gli altri creditori che aderiscono all’accordo rappresentano almeno il 25% del totale debiti, è sufficiente offrire al Fisco/INPS almeno il 30% (comprensivo di interessi e sanzioni) perché il tribunale possa omologare l’accordo anche senza il loro assenso. Se invece il peso degli altri creditori è minore del 25%, allora bisogna offrire almeno il 40% e non oltre 10 anni di dilazione. Inoltre l’accordo non deve essere puramente liquidatorio (deve cioè avere elementi di risanamento in continuità).
  • Nel concordato minore (per piccoli debitori) non c’è una norma ad hoc nel CCII, ma per analogia i tribunali applicano criteri simili ai sopra detti: ad esempio, assicurare almeno il 30% al Fisco per convincere il giudice a forzare l’omologa se l’Erario si oppone. In ogni caso, il giudice deve sempre verificare il best interest of creditors, ossia che il Fisco non prenda meno di quanto verosimilmente otterrebbe da esecuzioni individuali o dalla liquidazione.

Se invece sei in composizione negoziata, lì la transazione fiscale è una novità fresca: dal 2024 l’imprenditore può proporre un accordo fiscale interno alla composizione, però perché sia efficace serve comunque l’adesione dell’Agenzia delle Entrate e l’autorizzazione del tribunale. In composizione negoziata non c’è modo di “forzare” il Fisco: se non è d’accordo, la transazione non si chiude e l’imprenditore dovrà magari tentare un accordo di ristrutturazione formale o un concordato per ottenere il cram-down. Quindi la forzatura giudiziale esiste solo nelle procedure omologate (concordati, accordi, ecc.), non nella fase stragiudiziale pura.

Riassumendo: , un giudice può omologare un piano e ridurre i debiti fiscali contro il parere del Fisco, ma solo se sono rispettati dei parametri stringenti (minimo 20% o 30% offerto al Fisco a seconda dei casi, ed interesse concorsuale comprovato). Diversi tribunali e corti si sono espresse in tal senso, sottolineando che l’obiettivo è evitare che il veto del Fisco, magari per rigidità burocratiche, faccia naufragare una soluzione vantaggiosa per tutti i creditori. Ad esempio, Cassazione 33303/2023 ha evidenziato come l’accordo omologato con transazione fiscale comporti la cessazione delle liti tributarie in corso (sopravvenuta carenza di interesse), segno che l’ordinamento considera quell’omologa vincolante a tutti gli effetti anche per l’Amministrazione finanziaria. Naturalmente l’Erario, conoscendo queste regole, spesso se il piano rispetta i requisiti finisce per aderire spontaneamente (per non subire la forzatura).

D: Un piccolo imprenditore “sotto soglia” (che non può fallire) può accedere al concordato preventivo ordinario?
R: No, gli imprenditori sotto soglia non sono ammessi al concordato preventivo ordinario. Tuttavia, possono accedere a procedure analoghe nell’ambito del sovraindebitamento. In particolare, un imprenditore minore, un imprenditore agricolo o un professionista con debiti può presentare un concordato minore (art. 74 CCII). Il concordato minore è concettualmente simile al concordato preventivo: il debitore fa una proposta di soddisfacimento parziale ai creditori, c’è un voto (maggioranza dei crediti) e un’omologazione. La differenza è che la procedura è calibrata per dimensioni ridotte e prevede l’assistenza di un OCC anziché di un commissario giudiziale. Un consumatore (persona fisica non fallibile) invece non fa il concordato minore, ma il piano del consumatore, che non richiede voto dei creditori. In ogni caso, anche i debitori “sotto soglia” hanno quindi accesso a istituti di composizione della crisi e di esdebitazione, solo che sono diversi dal concordato classico. Se un piccolo imprenditore presentasse domanda di concordato preventivo ordinario, il tribunale la dichiarerebbe inammissibile per difetto di legittimazione soggettiva (non è imprenditore commerciale fallibile). Dovrà dunque seguire la strada del concordato minore. Da notare che pure le start-up innovative godono di trattamento da sovraindebitamento (non falliscono per 5 anni dalla costituzione, ma possono fare concordato minore). Quindi la risposta è: niente concordato “grande” per i piccoli, ma c’è l’equivalente “minore”.

D: Che differenza c’è tra il concordato minore e il concordato semplificato per la liquidazione?
R: Si tratta di due procedure diverse previste dal Codice per contesti differenti:

  • Il concordato minore (artt. 74-83 CCII) è – come detto – una procedura negoziale attivabile da un debitore non fallibile, con una proposta ai creditori, un voto di questi e omologazione. Può avere sia continuità che liquidazione (anche il piccolo imprenditore può proporre di proseguire l’attività se fattibile). Richiede però un consenso dei creditori (sebbene il giudice possa bypassare un dissenso irragionevole in certi casi).
  • Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII) è invece una procedura eccezionale e residuale: può utilizzarla solo l’imprenditore che abbia prima tentato senza successo la composizione negoziata. In pratica, se dopo l’intervento dell’esperto non si è trovato un accordo, l’imprenditore entro 60 giorni può proporre al tribunale questo concordato semplificato, che è liquidatorio puro (si vendono i beni e si ripartono i ricavi) ma, a differenza del concordato minore o preventivo, non prevede alcun voto dei creditori. I creditori sono solo sentiti in camera di consiglio in sede di omologa ma il loro consenso non è richiesto. Il tribunale omologa se ritiene che la proposta non sia peggiorativa rispetto alla liquidazione giudiziale. Di solito nel concordato semplificato il debitore offre ai creditori la possibilità di evitare i costi e i tempi lunghi di un fallimento, magari con un piccolo “bonus” (es. un apporto dei soci) per renderla preferibile. È “semplificato” perché elimina la fase del voto e dell’adunanza; però è limitato ai casi di esito negativo della composizione negoziata. Dunque è un’opportunità riservata a chi ha dimostrato di aver provato l’approccio negoziale.
  • Un’ulteriore differenza: nel concordato semplificato, viene sempre nominato un ausiliario/commissario che aiuta il giudice a valutare il piano (dato che non c’è il vaglio dei creditori), e poi un liquidatore per eseguirlo. Nel concordato minore invece l’OCC svolge la gran parte del lavoro di verifica e poi eventualmente monitora l’esecuzione.

In sintesi, il concordato minore è la normale procedura concorsuale per piccoli debitori (con voto), mentre il concordato semplificato è uno strumento di emergenza, senza voto, utilizzabile solo dopo composizione negoziata fallita, per liquidare i beni in modo concordato. Quest’ultimo bypassa i creditori recalcitranti completamente, ma ovviamente il tribunale è molto attento a non avallare abusi (richiede meritevolezza e convenienza elevata). Possiamo dire che il semplificato è più simile a un fallimento concordato “dall’alto”, il minore invece è un mini-concordato partecipato “dal basso”.

D: Quali debiti fiscali si possono ridurre o stralciare nelle procedure concorsuali? Anche l’IVA e le ritenute, o solo sanzioni e interessi?
R: Oggi è possibile includere tutti i tipi di tributi e contributi in una transazione fiscale, quindi proporre anche il taglio (parziale) del capitale di imposte come IVA, ritenute non versate, ecc. Ciò rappresenta un cambio importante rispetto al passato: fino al 2016 circa, l’IVA e le ritenute erano considerati intangibili (non falcidiabili) per vincoli costituzionali e comunitari. La svolta è avvenuta con il D.L. 125/2020 e poi con il CCII che all’art. 63 e 88 consente espressamente la ristrutturazione di tutti i crediti tributari, senza esclusioni. Ad esempio, nel concordato preventivo il debitore può proporre di pagare solo il 30% dell’IVA dovuta, a patto di rispettare le condizioni di legge (vedi domanda sul cram-down fiscale). Analogamente negli accordi di ristrutturazione, come abbiamo visto, si può trattare qualsiasi tributo. Anche gli accessori (sanzioni, interessi) possono essere abbattuti, anzi normalmente vengono azzerati o fortemente ridotti nelle proposte di transazione fiscale. Le sanzioni tributarie, in particolare, in un concordato sono chirografarie e spesso vengono tagliate al 0-10%.

Va detto però che l’Agenzia delle Entrate valuta con rigore le proposte: secondo le sue linee guida interne (Circolare 34/E 2020 e Provvedimenti 2024 citati) accetta di solito transazioni quando il piano dimostra che il fisco prende almeno quanto gli altri chirografari e comunque non meno del realizzo liquidatorio. Inoltre, ricorrono parametri come quelli del 30-40% se si tratta di imporre il cram-down. Ma tecnicamente non c’è più un tipo di debito “sacro” escluso: IVA e contributi ex art. 10-ter e 10-bis (ritenute non versate) possono essere falcidiati. Lo ha confermato anche la Cassazione (sentenza 755/2021) e la Corte Costituzionale con ordinanza di manifesta infondatezza sulle questioni di legittimità.

Attenzione però: se c’è un procedimento penale per reati tributari (es. omesso versamento IVA sopra soglia, art. 10-ter D.lgs.74/2000), l’accordo di ristrutturazione o il concordato non fanno automaticamente venire meno il reato, ma possono incidere sul confisco del profitto. Per esempio, la Cassazione n. 44519/2024 ha stabilito che in caso di sequestro/confisca per equivalente pari all’IVA evasa, se interviene un accordo di ristrutturazione che riduce il debito IVA, l’importo da confiscare deve essere ridotto proporzionalmente. Il che è un indiretto riconoscimento dell’efficacia penale della transazione fiscale: il debitore in sostanza non deve subire una confisca per la parte di debito IVA che è stata legalmente cancellata dall’accordo omologato. Ciò rende ancora più interessante per un imprenditore risolvere i debiti fiscali in sede concorsuale, perché ha benefici anche sul fronte di eventuali responsabilità penali.

D: Una volta che parte dei debiti viene cancellata da un accordo o da un concordato, l’azienda deve pagare le tasse su questo “sconto” (sopravvenienza attiva)?
R: Questa è una questione rilevante e un po’ tecnica. In generale, la regola fiscale sarebbe che se ti cancellano un debito, tu hai realizzato un ricavo (non hai pagato qualcosa che dovevi, quindi ti sei “arricchito” di quell’importo). Normalmente ciò sarebbe tassabile come sopravvenienza attiva. Tuttavia, per favorire i risanamenti, l’art. 88, comma 4-ter del TUIR esclude da imposizione le sopravvenienze attive derivanti da procedure concorsuali omologate (concordato preventivo, fallimento) o da accordi di ristrutturazione omologati. Questo significa che se fai un concordato preventivo e ai chirografari stralci il 50% del debito, quel 50% non lo conteggi come ricavo ai fini IRES/IRAP. Similmente in un ARD ex art.57 CCII. Attenzione però: la norma non menziona esplicitamente la composizione negoziata né il concordato semplificato. E infatti l’Agenzia delle Entrate, in due interpelli recentissimi (Risposte n.178 e 179 del 2025), ha chiarito che:

  • Le riduzioni di debito ottenute in composizione negoziata senza una procedura di concordato o accordo omologato non godono dell’esenzione, quindi generano sopravvenienza tassabile. Esempio: se con un accordo stragiudiziale in composizione ti tagliano 100k di debiti fornitori, dovrai contabilizzare +100k imponibile (salvo tu abbia perdite da compensare).
  • Le riduzioni derivanti da concordato semplificato parimenti non rientrano nell’esenzione, perché l’art. 88 parla di concordato preventivo (e fallimentare) ma non cita il semplificato. Dunque, se un imprenditore usa il concordato semplificato post composizione negoziata e ottiene esdebitazione, paradossalmente quelle somme potrebbero essere tassate.

Questa interpretazione è contestata da molti, perché penalizza proprio i nuovi strumenti. Ma al momento è la posizione ufficiale del fisco. Viceversa, se stai dentro la cornice formale di accordo omologato o concordato preventivo, sei al riparo da questo problema fiscale. Quindi un consiglio: se prevedi un forte stralcio dei debiti, può convenire fare omologare l’accordo (p.es. con un 60% firme) anziché tenersi su un piano puramente privato, proprio per avere la franchigia fiscale. Nel valutare la convenienza di un piano stragiudiziale va considerato anche l’eventuale costo fiscale del condono dei debiti. In prospettiva, il legislatore potrebbe aggiornare l’art. 88 TUIR includendo espressamente la composizione negoziata e il concordato semplificato (già il disegno di legge delega di riforma fiscale 2023 ne parlava), ma finché non accade bisogna attenersi all’interpretazione restrittiva: procedura non nominata, sopravvenienza tassata.

D: In caso di esito negativo della composizione negoziata, sono destinato al fallimento?
R: Non necessariamente. Se la composizione negoziata non produce un accordo, hai comunque alcune alternative prima di arrivare alla liquidazione giudiziale (fallimento):

  • Puoi sfruttare la finestra dei 60 giorni per proporre il concordato semplificato (se la tua situazione è tale che conviene liquidare). Questo ti permette di chiudere la vicenda in modo concordato, senza voto dei creditori ma con controllo del giudice. Otterresti l’esdebitazione a fine liquidazione concordataria.
  • Oppure, se pensi ci sia ancora margine per ristrutturare ma serviva il crisma del tribunale, puoi presentare un concordato preventivo ordinario o un accordo di ristrutturazione (magari hai convinto il 50% dei creditori, non bastava informalmente ma con la protezione concorsuale arrivano al 60%). Molti casi di composizione negoziata si sono chiusi con un concordato preventivo “preparato” dalle trattative precedenti.
  • In ogni caso, anche se nessuna soluzione negoziale o concorsuale viene trovata, non è detto che sarai soggetto a fallimento immediato. Dipende se la tua impresa è fallibile e se qualcuno (tu stesso o un creditore) presenterà istanza. Se sei un piccolo imprenditore non fallibile, il fallimento non può nemmeno essere aperto: in quel caso, al massimo potranno metterti in liquidazione controllata (ex L.3/2012). Se sei fallibile e insolvente, è probabile che un creditore bancario o il Fisco chiedano la liquidazione giudiziale, ma hai la facoltà in ogni momento di “coprirti” presentando tu un’istanza di concordato (anche in bianco) prima che decidano sul fallimento.

Quindi, l’esito negativo della comp. negoziata non è automaticamente la fine: è un segnale serio che l’azienda non è riuscita a risolvere stragiudizialmente, ma appunto per questo esistono le procedure concorsuali. Anzi, l’esperto nella sua relazione finale può suggerire la strada migliore (ad esempio potrebbe dire: “non c’è accordo ma la proposta del debitore appare meritevole, consigliabile accesso al concordato preventivo”). Va ricordato inoltre che l’eventuale fase di composizione negoziata fallita non è tempo perso: ha comunque congelato nel frattempo le azioni esecutive (se avevi misure protettive attivate) e ti ha permesso di raccogliere informazioni e pareri utili dai creditori. Certo, se durante la comp. negoziata sono emersi elementi di irreversibilità, potrebbe essere opportuno non accanirsi e procedere speditamente alla liquidazione (in proprio o su istanza di terzi). In sintesi: la composizione negoziata è un tentativo, se va male hai ancora le armi del concordato o dell’accordo formale, e solo in extrema ratio subisci la liquidazione giudiziale.

D: Ci sono incentivi o agevolazioni se l’azienda ricorre agli strumenti di allerta o risanamento prima di diventare insolvente?
R: Sì, il Codice prevede diverse misure premiali per chi agisce tempestivamente:

  • Premialità fiscali: L’art. 25-bis CCII (come modificato dal D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024) concede benefici tributari a chi avvia la composizione negoziata o altra procedura di regolazione volontaria. Ad esempio, se l’imprenditore attiva la composizione negoziata, può chiedere la sospensione o proroga di alcuni versamenti fiscali e contributivi in scadenza (previa autorizzazione tribunale). Inoltre, in caso di accordo concluso con successo, può accedere a piani di rateazione straordinaria fino a 120 rate mensili per eventuali carichi fiscali residui (prima il limite era 72 rate). Sono previste anche l’esclusione di sanzioni per omessi versamenti IRAP e IRES dovuti durante la negoziazione se si risolve positivamente, e la riduzione degli interessi moratori applicati.
  • Premialità civilistiche e penali: Chi ricorre alla composizione negoziata o al concordato in tempo può evitare le sanzioni per il reato di bancarotta semplice (art. 217 L.F. depenalizzato in tali casi). Il CCII stabilisce che la liquidazione giudiziale di un’impresa che ha seguito le regole di allerta e tempestiva emersione non comporta incapacità a contrarre con la PA. Inoltre, l’imprenditore che deposita domanda di composizione negoziata prima che vi siano istanze di fallimento gode di un esdebitazione più facile eventuale, perché dimostra di aver collaborato.
  • Attenuanti nelle sanzioni amministrative: ad esempio, per contributi INPS non versati potrebbe valere come circostanza favorevole l’aver attivato un piano di rientro nella comp. negoziata.
  • Clausole di esonero responsabilità per l’organo di controllo: se i sindaci segnalano per tempo e l’azienda prende misure, i sindaci possono evitare responsabilità per omessa vigilanza. E per l’imprenditore stesso, l’art. 4 D.Lgs. 14/2019 prevede che l’aver adottato assetti adeguati e la tempestiva attivazione di procedure di composizione esonera da colpa grave in eventuali azioni di responsabilità post-fallimentari.

Un esempio di incentivo fiscale specifico: l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che se un’azienda in comp. negoziata chiede un piano di rateazione straordinario per i debiti fiscali, può ottenerlo in deroga ai limiti ordinari (quindi più lungo e con soglie di decadenza più alte). E come detto, però, attenzione alle non-agevolazioni: per ora, il trattamento fiscale delle sopravvenienze in comp. negoziata non è stato agevolato (vedi domanda sopra), anzi espressamente negato.

In definitiva, il legislatore vuole premiare il debitore diligente: se non nascondi la testa sotto la sabbia e cerchi subito di ristrutturare il debito, avrai qualche sconto (nei tempi di pagamento, nelle sanzioni, ecc.) e potenzialmente eviterai le conseguenze peggiori (sanzioni, reati). Questi incentivi possono sembrare tecnici, ma possono tradursi in migliaia di euro risparmiati. Ad esempio, usufruire di 120 rate invece di 72 per un debito IVA significa dimezzare l’esborso mensile; oppure, ottenere la non imponibilità di un condono debiti in concordato può far risparmiare un 24% IRES su quelle somme, che è tanto. Quindi sì, c’è convenienza tangibile nel muoversi per tempo.

Conclusioni

Affrontare una crisi fiscale d’impresa richiede una combinazione di coraggio imprenditoriale, consulenza professionale adeguata e conoscenza degli strumenti giuridici disponibili. L’ordinamento italiano, specie dopo le riforme del Codice della Crisi d’Impresa, mette a disposizione dei debitori una cassetta degli attrezzi ricca e variegata per far fronte alle difficoltà finanziarie: dagli approcci confidenziali come la composizione negoziata e i piani attestati, passando per accordi e piani omologati, fino ai concordati preventivi o minori e alle procedure liquidatorie quando il risanamento non è più possibile. In particolare, gestire una crisi caratterizzata da un pesante indebitamento verso il Fisco e gli enti previdenziali non è più un tabù: oggi il debito fiscale può essere rinegoziato, dilazionato e persino parzialmente stralciato, in un quadro di legalità e trasparenza, evitando così che aziende potenzialmente vitali vengano travolte irrimediabilmente dall’onere tributario.

La guida ha evidenziato come il punto di vista del debitore sia sempre più considerato dal legislatore: si tende a dare una seconda chance a chi dimostra collaborazione e tempestività, anche a costo di sacrificare in parte il principio della soddisfazione integrale dei creditori pubblici. La giurisprudenza più recente conferma questo trend, riconoscendo la prevalenza del “interesse concorsuale” (cioè della collettività dei creditori) sul rigore assoluto del credito erariale, ovvero ammettendo forzature un tempo impensabili (come l’omologa di concordati contro il parere del Fisco, quando questo è giustificato dalla convenienza).

D’altro canto, il rovescio della medaglia è una maggiore responsabilizzazione degli imprenditori: chi attende troppo, o nasconde la testa, rischia di non poter più usufruire appieno di questi strumenti o di subirne i lati negativi (si pensi alla tassazione delle sopravvenienze attive per chi non formalizza in procedura l’accordo). Inoltre, restano in vigore paletti a tutela dell’Erario e dei creditori: i requisiti di percentuale minima nei piani, la verifica giudiziale rigorosa sulla fattibilità, la meritevolezza richiesta nel sovraindebitamento. Il sistema insomma bilancia apertura e rigore.

In conclusione, per un imprenditore che si trovi in crisi fiscale (ad esempio, cartelle esattoriali impagate per IVA, contributi, ritenute, ecc.) e più in generale in crisi di liquidità, esistono oggi soluzioni concrete da esplorare prima di arrendersi al fallimento. Il consiglio chiave è: agire tempestivamente e con l’assistenza di professionisti esperti di crisi d’impresa. Verificare i segnali di allerta, avviare un dialogo con i creditori (magari protetti dal paracadute della composizione negoziata), valutare la percorribilità di un accordo omologato o di un concordato in continuità se c’è un piano industriale di rilancio, oppure optare per un concordato liquidatorio per chiudere dignitosamente se non c’è alternativa. Il tutto sapendo che la legge ti supporta con strumenti di protezione (stay delle azioni, nuove finanze prededucibili) e con incentivi (rate più lunghe, riduzione di sanzioni, esenzione fiscale sulle remissioni, ecc.) se intraprendi la strada della legalità negoziata.

Ogni crisi è un caso a sé e va gestita con strategia ad hoc, ma questa guida – con oltre 10.000 parole di dettagli normativi, prassi e esempi – si auspica possa servire da mappa orientativa nel labirinto della ristrutturazione del debito d’impresa in Italia (aggiornato al 2025). Seguendo tale mappa e attingendo alle fonti autorevoli citate, avvocati, imprenditori e consulenti potranno affrontare la sfida con maggiore consapevolezza e, si spera, con maggiori chance di successo.

Fonti e riferimenti normativi (luglio 2025)

  • Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019 n.14, CCII), aggiornato con D.Lgs. 147/2020, D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024 (Correttivo “ter”).
  • Decreto-Legge 24 agosto 2021 n.118 convertito in L.147/2021 – Introduzione della composizione negoziata.
  • Legge Fallimentare (R.D. 267/1942) e Legge 3/2012 sul sovraindebitamento (rilevanti per inquadramento storico, poi abrogate/integrate nel CCII).
  • Fonti dottrinali e giurisprudenziali:
    • Agenzia Entrate – Provvedimento Prot. n.21447 del 29/01/2024 e Provv. n.456918 del 23/12/2024 (attribuzione competenze uffici AE per pareri su transazione fiscale negli accordi ex art.63 CCII).
    • Agenzia Entrate – Risposte a interpello n.178 e n.179 del 7/07/2025 (in Edotto, R. Moscioni “Crisi d’impresa: agevolazioni TUIR escluse per composizione negoziata e concordato semplificato”, 10/07/2025).
    • Camera di Commercio di Torino – Schede pratiche su “Concordato minore” e “Piano attestato di risanamento” (informazioni operative per adempimenti registro imprese)

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🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

  • ✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e crisi d’impresa
  • ✔️ Gestore della crisi iscritto al Ministero della Giustizia
  • ✔️ Specializzato nella ristrutturazione del debito per SRL, ditte individuali e imprese familiari

Conclusione

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