Pubblichiamo un estratto del libro di Paul Morland “Senza futuro. Il malessere demografico che minaccia l’umanità”, tradotto in italiano da Marco Valerio Lo Prete per l’editore Liberilibri
Per tenere assieme una popolazione in moderata crescita con la salute ecologica del pianeta è chiaro che dovremo fare affidamento sulla innovazione tecnologica. L’innovazione però non è qualcosa che semplicemente accade. I processi, i sistemi e le culture che alimentano il cambiamento tecnologico sono complessi e compresi solo in parte. Sicuramente aiuta istruire l’intera popolazione di un Paese, valorizzare il contributo di tutti i suoi cittadini, mentre Internet è una risorsa straordinaria per accelerare la cooperazione tra soggetti che lavorano sugli stessi problemi scientifici e tecnologici: l’era nella quale chi collaborava alle ricerche e allo sviluppo di progetti in Paesi diversi doveva ricorrere a telefonate, fax e corrispondenza scritta spedita con la posta ordinaria appare molto lontana, anche se tale situazione è iniziata a cambiare durante gli anni Novanta.
La lezione dell’economista Julian Simon
L’economista Julian Simon, discutendo negli anni Settanta e Ottanta con il malthusiano Paul Ehrlich, si convinse che le risorse naturali non sarebbero finite e che avremmo trovato nuovi modi per fronteggiare la loro carenza. L’esempio classico era il petrolio. Le auto statunitensi notoriamente consumavano molto carburante fino ai primi anni Settanta, quando esso costava poco. I successivi shock del prezzo del petrolio (sommati a preoccupazioni più recenti sulle emissioni dei combustibili fossili) hanno stimolato gli investimenti nel rendere le automobili più efficienti nel consumo di carburante. Le stesse quotazioni elevate del petrolio in vari momenti del ciclo economico hanno a loro volta stimolato sforzi di esplorazione che hanno fatto in modo che, nonostante un uso importante, le riserve globali di petrolio oggi sono maggiori di
tre quarti rispetto a trent’anni fa. Si potrebbe pure ritenere che non vogliamo – ed effettivamente non dobbiamo – bruciare tutto questo petrolio, ma il punto è che – come sostenne Simon – l’inventività umana è la risorsa fondamentale. Come recita il detto, l’età della pietra non si è conclusa perché abbiamo finito le pietre. L’età del petrolio non finirà perché avremo finito il petrolio. Per sviluppare un’analogia storica, attorno al 1860 l’importante economista britannico William Stanley Jevons si preoccupò per il fatto che il Paese stesse esaurendo il carbone. Oggi, con riserve di carbone che valgono centinaia di anni ancora nel sottosuolo britannico, l’attività delle miniere di carbone è quasi completamente cessata e probabilmente non riprenderà mai più.
Così come il grande progresso tecnologico del passato significa che oggi è il momento migliore per mettere al mondo un figlio, dovremmo essere fiduciosi che l’umanità potrà trovare soluzioni al presente e al futuro, anche per combattere il cambiamento climatico, senza dover ridurre il nostro numero. Uno dei principali elementi che spinge il progresso tecnologico è il tipo di sistema economico che rende possibili mercati liberi, premia rischio e impresa. Le società occidentali che cercavano il profitto, e non i pianificatori centrali nella Mosca comunista, videro l’aumento dei prezzi del carburante negli anni Settanta come un’opportunità di guadagno, producendo automobili più efficienti nel consumo di carburante. I costi di quest’ultimo aumentarono, vennero prodotte automobili più efficienti e il pubblico fu spinto ad acquistarle dal proprio interesse economico. È così che funzionano le economie di mercato. Ma a essere necessarie sono anche le giovani menti creative e i finanziatori che si assumono rischi. Ora la preoccupazione è che, mentre le nostre società invecchiano, ci sia un impatto doppiamente negativo sulla nostra capacità e tendenza a innovare. In primo luogo, ci sono in giro meno giovani che pensano, creano e inventano. E sono inevitabilmente i giovani a farlo. In una società l’innovazione sembra affievolirsi quando questa ha meno di 4 persone in età lavorativa per ogni pensionato, una soglia oggi superata dalla maggior parte dei Paesi sviluppati. In secondo luogo, il capitale, che è in modo prevalente nella disponibilità degli anziani, cerca asset a basso rischio come i titoli di Stato piuttosto che canali a rischio elevato che finanziano nuove idee. Gli investimenti più azzardati, con potenziali maggiori ritorni a lungo termine ma grande rischio, hanno senso per quanti puntano all’importo massimo della pensione in un futuro distante nel tempo. Essi infatti possono permettersi possibili saliscendi. Per coloro che si avvicinano al momento in cui dovranno cominciare a vivere della loro pensione, o per quelli che già vivono di questa, le perdite non possono essere sostenute così facilmente, dunque ha senso un approccio a rischio più basso.
La parabola del Giappone, da leader tecnologico a economia stagnante
Possiamo già vedere all’opera questo meccanismo in Giappone, Paese che per la sua popolazione è, a grandi linee, il più anziano del pianeta. Nei decenni immediatamente successivi alla guerra, il Giappone era famoso per la sua ingegnosità, sviluppava spesso le idee di altri e le commercializzava. L’inventiva giapponese, che fosse profondamente originale o principalmente adattiva (la seconda in ogni caso è spesso sottovalutata), insieme all’industriosità e all’organizzazione del Paese, è stata il cuore della sua ascesa ad una posizione economica di spicco; il Giappone è stato persino visto come un rivale per il dominio economico globale degli Stati Uniti. Negli anni Novanta, il primo decennio della sua crisi economica per ragioni demografiche, il settore privato nipponico passò dallo spendere in ricerca e sviluppo quasi due terzi di quanto facevano gli Stati Uniti ad appena due quinti. Nello stesso decennio, le richieste di brevetti del Giappone passarono dal doppio di quelle degli Stati Uniti a neanche un terzo. Nei due decenni pre-2018, il numero degli studenti giapponesi iscritti a corsi con discipline legate a scienza e matematica (STEM) è sceso del 17%. Poiché il numero assoluto di studenti giapponesi è in diminuzione, possiamo attenderci che questo declino prosegua. È vero che il Giappone continua a innovare massicciamente nei settori relativi alla gestione degli anziani, difficile sorprendersi vista l’età della sua popolazione e i suoi bisogni pressanti: dai robot che forniscono assistenza, che dovrebbero aiutare nel prendersi cura degli anziani, ai sensori e agli allarmi per offrire copertura nei turni notturni a staff sottodimensionati nelle case di cura. Anche in questo campo, però, possiamo aspettarci che i giapponesi perdano il loro primato nel momento in cui la loro società avrà sempre meno giovani innovatori. E questa perdita di innovazione, insieme all’invecchiamento, si verificherà in altri Paesi che non riusciranno a rinnovare se stessi dal punto di vista demografico.
Il che vuol dire che una popolazione in calo, comportando un rapido declino dei giovani, potrebbe vedere l’intero sforzo globale per la decarbonizzazione fallire a causa della mancanza di innovazione. Non possiamo essere certi di quale innovazione costituirà una svolta rivoluzionaria – che sia la cattura di anidride carbonica o nuovi tipi di carburante, o qualcosa a cui non abbiamo ancora nemmeno iniziato a pensare. Ma possiamo essere sicuri che le soluzioni, se emergeranno, verranno fuori dalle menti dei giovani e dalla loro collaborazione. Questi giovani potrebbero nascere ora. Oppure no, considerato il crollo della natalità nel mondo. Julian Simon fu efficace nel sottolineare che non dovremmo pensare agli individui come se fossero consumatori di futuro, in numero sempre crescente e in lotta tra loro per una fetta sempre più piccola di un insieme prestabilito di risorse, ma piuttosto come produttori di futuro e pensatori, che cercano nuove vie per fare fronte ai bisogni umani e facilitare la prosperità della nostra specie, e per far crescere la torta della ricchezza collettiva. Nuove persone non sono semplicemente bocche in più da sfamare. Sono braccia in più. E cervelli in più.
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