Per oltre due secoli la Germania ha rappresentato il grande enigma geopolitico d’Europa, ma oggi la nuova Questione tedesca si è trasformata radicalmente. Da fonte di instabilità e timore geopolitico, nonché fratture interne, la Germania è un gigante economico paralizzato, incapace di guidare e sempre più ripiegato su se stesso. La Questione tedesca nacque nel XIX secolo dal problema dell’unificazione di poco meno di una quarantina di Stati tedeschi indipendenti nella Confederazione germanica. La “Großdeutsche Lösung” (Soluzione della Grande Germania) prevedeva l’unificazione di tutti i popoli di lingua tedesca sotto l’egida dell’Impero austriaco. La “Kleindeutsche Lösung” (Soluzione della Piccola Germania), invece, mirava a unificare solo gli Stati della Germania settentrionale sotto la guida prussiana, escludendo l’Austria e i suoi territori. La rivalità tra Austria e Prussia si risolse con la guerra del 1866 e culminò con la proclamazione dell’Impero tedesco nel 1871.
Tramite l’applicazione della seconda soluzione, venne a formarsi uno Stato tedesco protestante dominato dalla Prussia che escludeva l’Austria-Ungheria cattolica. Il nuovo Impero divenne una potenza europea che suscitava paura e diffidenza. La cui forza industriale e militare, unita alle ambizioni espansionistiche, portò ai due conflitti mondiali. Compressa tra l’impero russo e la Francia, la Germania ha sempre vissuto suo malgrado la posizione al centro dell’Europa. Sotto il Nazionalsocialismo si realizzò solo temporaneamente la Großdeutsche Lösung con l’Anschluss dell’Austria e il Territorio dei Sudeti, creando il Großdeutsches Reich che durò fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale. La divisione della Germania in due stati durante la Guerra Fredda, trasformò la Questione tedesca in un simbolo della divisione tra Est e Ovest. La caduta del Muro di Berlino e la Riunificazione sembrarono aver finalmente risolto la Questione tedesca.
Durante il cancellierato merkeliano (2005-2021), la Germania assunse un ruolo di leadership in Europa, gestendo crisi finanziarie, flussi migratori e sfida pandemica. Nel primo ventennio di questo secolo la Germania è cresciuta del 2 per cento all’anno, raggiungendo nel 2019 un peso sul PIL dell’Europa a 28 pari al 21,3 per cento. Con la Brexit l’economia tedesca ha consolidato la posizione di leadership, salendo al 25,5 per cento del PIL dell’UE a 27. Tuttavia, proprio in questo periodo di apparente dominio, si stavano accumulando i germi della crisi attuale e la nuova Questione tedesca. La Germania del 2025 si trova di fronte a un paradosso storico. Da paese che per secoli ha rappresentato una problema per l’equilibrio europeo, oggi figura tra i malati d’Europa. La stagnazione appare strutturale e profonda. Il 2024, segnala Destatis, ha visto un marcato declino del manifatturiero.
Si è registrato un calo del 3 per cento del valore aggiunto lordo, soprattutto a causa della crisi dei settori meccanico e automobilistico. Per il secondo anno consecutivo, l’economia tedesca è in recessione. Il PIL si è ridotto dello 0,2 per cento. È solo la seconda volta dal 1950, dopo quella del 2002-2003, che l’economia tedesca subisce una flessione per due anni di fila. Tra il 2019 e il 2023 la Germania è tra i paesi dell’UE con la più bassa crescita del PIL. E sta attraversando la fase di stagnazione più lunga del Dopoguerra, accumulando notevoli ritardi. L’abbandono del gas russo a basso costo dopo l’invasione dell’Ucraina ha fatto schizzare i costi di produzione, minando la competitività dell’industria tedesca. Se prima della crisi il prezzo del gas naturale in UE era circa doppio rispetto a quello negli Stati Uniti, oggi si è su livelli quadrupli.
Pesa la concorrenza della Cina, che ha guadagnato terreno nella produzione di tecnologie importanti, soprattutto nel settore automobilistico e meccanico. Le aziende tedesche stanno perdendo quote di mercato globale per prodotti in cui erano state leader per decenni. La Germania, da sola, concentra il 43,3 per cento dell’export verso la Cina di tutta l’UE. E nei primi sette mesi del 2024 le imprese tedesche segnano un calo delle vendite sul mercato cinese del 2,8 per cento. Sul fronte interno, rispetto ad altri Stati europei, il peso di burocrazia e costi energetici sulle aziende è alto. Il rinnovamento delle infrastrutture digitali, energetiche e di trasporto procede più lentamente, così come si nota una carenza di lavoratori qualificati. La bassa accumulazione di capitale privato e pubblico influenza negativamente i processi di innovazione e la “twin transition” (digitale e green), indebolisce la dotazione infrastrutturale e l’efficienza della PA.
Secondo la Commissione europea, nel 2024 la dinamica degli investimenti in Germania è negativa (-1,0 per cento) a fronte della stazionarietà (0,3 per cento) in UE. La quota di investimenti pubblici sul PIL tedesco nel 2024 è del 2,8 per cento, inferiore al 3,6 per cento della media Ue. Nel quadriennio 2015-2019 gli investimenti della PA tedesca sono stati pari al 2,3 per cento del PIL, contro il 3,0 per cento della media Ue. Il basso profilo della spesa per infrastrutture pubbliche ricade sulla qualità dei servizi. È in ritardo, infatti, la digitalizzazione delle relazioni tra PA e cittadini. Secondo Eurostat, nel 2023 in Germania il 40,1 per cento dei cittadini interagiva via internet con la PA – tredici punti inferiore al 54,3 per cento della media Ue. La strategia “Gigabit” del governo (2022), finalizzata a garantire la copertura nazionale con fibra ottica di ultima generazione, ha registrato lenti progressi.
Nel 2023, il governo ha stanziato 3,6 miliardi di Euro nell’ambito del “Gigabit” aggiornato. Ma l’attuazione rimane problematica a causa delle procedure burocratiche e della frammentazione delle competenze tra diversi livelli amministrativi. Il feticcio del freno al debito (“Schuldenbremse”, recentemente abolito), che limita il deficit pubblico allo 0,35 per cento del PIL, ha impedito per anni investimenti nell’ammodernamento delle infrastrutture. Nulla rappresenta meglio la crisi tedesca quanto il settore automobilistico, la spina dorsale dell’economia nazionale. In Germania l’auto rappresenta il 15,4 per cento del valore della produzione manifatturiera – il doppio del 7,6 per cento della media europea. E nelle imprese automobilistiche tedesche lavorano 569 mila persone, più della metà degli occupati del settore di tutta l’UE. Ma le cose stanno cambiando: Volkswagen, ad esempio, ha annunciato 35mila licenziamenti entro il 2030. La transizione verso l’elettrico ha lasciato i produttori tedeschi indietro rispetto a cinesi ed americani.
La crisi del settore auto tedesco parrebbe rappresentare la fine di un’era in cui la Germania poteva contare sulla supremazia tecnologica nei settori industriali tradizionali. Gli investimenti scarsi in ricerca e sviluppo nell’auto elettrica e nella transizione energetica hanno lasciato le aziende tedesche impreparate di fronte alla rapidità del cambiamento tecnologico globale. Se si sommano anche i danni d’immagine del Dieselgate si nota come il settore sia in grave difficoltà. La crisi economica si accompagna a una profonda instabilità politica che amplifica l’incertezza e paralizza le decisioni strategiche. La fragile “Ampelkoalition” tra SDP, Verdi e FDP non ha retto alla frattura aperta nel novembre scorso dai liberali e che ha portato ad elezioni politiche anticipate nel febbraio 2025. Ma in realtà le divergenze fondamentali risiedevano nella politica economica, tradotto poi con lo scarso e tardivo supporto restìo all’Ucraina.
Il nuovo governo CDU/CSU con SPD non è di certo una novità. E per il momento non sembra aver dato maggiore linfa vitale all’economia tedesca neppure al morale o alla sua statura geopolitica. Una AfD che un giorno sì e l’altro no si conferma primo partito del paese non promette nulla di buono per la crescita economica del paese. Il ritorno al protezionismo, l’uscita dalle politiche europee di integrazione, la ripresa delle relazioni con la Russia, la cancellazione delle politiche verdi non sono politiche desiderabili per il paese e il continente. Il gas russo tanto agognato dall’AfD non rimetterà in moto la locomotiva d’Europa. Negli ultimi mesi diversi richiedenti asilo – la questione migratoria appare il grande dramma nazionale, strumento utile per coprire i veri problemi e la scarsità di investimenti negli anni – hanno compiuto attentati in varie città, alimentando le tensioni sociali che l’AfD sfrutta per consolidare il proprio consenso.
La questione migratoria è uno degli elementi principali della crisi attorno alla nuova Questione tedesca. Berlino ha abbandonato la politica delle porte aperte adottata durante la crisi migratoria del 2015-2016. Come l’“Ampel”, il governo attuale sta cercando di rincorrere la politica ostile all’immigrazione dell’AfD. Nel gennaio 2024 è stata approvato la “Rückführungsverbesserungsgesetz” (legge per il miglioramento dei rimpatri), che inasprisce le procedure di espulsione. I termini massimi di custodia cautelare sono aumentati da 10 a 28 giorni. È stata autorizzata la perquisizione domiciliare e degli effetti personali. Dal settembre 2024, la Germania ha reintrodotto controlli alle frontiere per limitare l’immigrazione irregolare, sospendendo unilateralmente di fatto il trattato di Schengen. Eppure, i consensi dell’AfD sono aumentati. In quest’ambito, tuttavia, c’è un problema di maggiore lungo raggio dell’AfD. La fine dell’era dell’accoglienza coincide con l’aumento delle necessità demografiche. Anche nel 2024 l’immigrazione è stata l’unica causa della crescita della popolazione.
Il sistema sanitario tedesco, caratterizzato dalla cosiddetta “Zweiklassemedizin” (medicina a due classi), amplifica le disuguaglianze sociali e influisce negativamente sulla longevità. Mentre meno del 15 per cento della popolazione totale è a rischio di povertà, il tasso di rischio di povertà per le persone di 65 anni e oltre è molto più alto, attualmente al 20 per cento. Si tratta del 42 per cento di tutti i pensionati del Paese. Va da sé che la perdita di competitività industriale riduce le risorse disponibili per gli investimenti pubblici e il welfare, alimentando il malcontento sociale che a sua volta genera instabilità politica. Quest’ultima impedisce le riforme strutturali necessarie per affrontare le sfide della transizione digitale ed energetica, perpetuando il declino economico. La digitalizzazione, la decarbonizzazione e la crescente concorrenza globale richiedono un ripensamento radicale che il sistema politico tedesco fatica a elaborare.
La nuova Questione tedesca ha implicazioni profonde per l’intero progetto europeo. Una Germania paralizzata, ripiegata su se stessa e incapace di leadership mette in crisi l’equilibrio dell’UE. Senza una Germania forte e propositiva, l’Europa rischia di frammentarsi. Con conseguenze geopolitiche che vanno ben oltre i confini del continente. Nonostante l’aspetto assertivo il governo attuale è più debole di quanto non voglia far credere. La CDU/CSU rischia di mischiarsi con le politiche miopi e crudeli dell’AfD, mentre l’SPD agonizzante – che alle ultime elezioni ha ottenuto il suo peggior risultato dal Dopoguerra con il 16,4 per cento – è in cerca di identità. I Verdi, fuori dal governo, non se la passano bene; idem i liberali, pure fuori dal Bundestag. Il governo, segnato da divisioni e compromessi dolorosi, con il cancelliere “prigioniero” dell’alleanza con i dem, dovrà rinunciare ad alcune promesse. Insomma, la Germania attraversa il momento più difficile della sua Storia recente.
La nuova Questione tedesca è una ricerca di identità e di slancio. Di un posto di leadership in Europa e assertività nei confronti di Cina e Russia, da una parte, ma anche Stati Uniti dall’altra. Previsioni di crescita zero per quest’anno, polarizzazione politica elevate, partiti estremisti (AfD e Die Linke): oggi la Germania non rappresenta una minaccia per i suoi vicini a causa della sua forza. Ma per se stessa. La paralisi istituzionale riflette l’incapacità di fornire un ruolo faro in un momento di crisi multiple a livello globale. Il gigante germanico è reticente sulla scena internazionale, mentre la guerra in Ucraina e le minacce russe, nonché l’affermarsi di MAGA e della Cina, richiederebbero un ruolo tedesco più incisivo. La sfida per il governo attuale non riguarda più l’unificazione o la divisione. Quanto la capacità di un paese di ritrovare stabilità politica ed economica, mantenendo la coesione democratica e liberale.
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