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Quei nomi senza fibra lanciati da destra


Se voleste avventurarvi nelle ferie d’agosto su qualche guglia rinomata delle Grigne vi affidereste a una guida alpina o a qualche giovanotto che al massimo ha conquistato il monte Barro in scarpe da tennis? O ancora: imperante lo sciopero dei tassisti, scegliereste Max Verstappen o il sottoscritto, idolo dei carrozzieri, spauracchio delle assicurazioni che ha chiuso la sua carriera di automobilista con 0 punti sulla patente? Meglio un chirurgo saldo di mano e di scienza per un intervento all’ernia o uno specializzando che di notte dovrà capire se discale o inguinale?

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Domande retoriche che si potrebbero moltiplicare all’infinito, da riempire la Treccani; ciononostante a Lecco, come altrove, ma nelle ultime settimane soprattutto a Lecco, si è registrato uno sfarfallio di ballerini di seconda fila lanciati dai partiti del centrodestra come possibili candidati sindaco per le elezioni della primavera 2026. Mi sono cadute le braccia. E non certo perché gli aspiranti non siano probi, la loro fedina penale è di sicuro più bianca della neve. Pulita com’è quella di Peppino Ciresa che nella sua vita ha alternato con pari spirito e passione il pane quotidiano del Padre Nostro con la “rosetta” del suo quasi secolare forno. Eppure ha perso per 31 voti nonostante al primo turno avesse mancato la fascia per un amen. E la fama e il consenso se li era conquistati dopo aver guidato associazioni d’ogni tipo: dal Cai alla Confcommercio.

Prendo a mo’ di esempio il candidato Filippo Boscagli, espressione di Fratelli d’Italia dopo una vita da azzurro nella scia degli illustri parenti. Ebbene, il 45enne è da quasi vent’anni consigliere comunale (ma non ha mai fatto neppure il presidente di un asilo, che specie di questi tempi è una bella gatta da pelare) e io sfido chiunque a trovare una traccia memorabile della sua parabola. Dimenticavo la partita a calcio fra consiglieri comunali da lui organizzata. Non capisco a quale titolo debba rappresentare la città, se non per anzianità di servizio, quella condizione che in altri campi se ti va bene, ti danno una medaglietta. Nè può valere per lui il cognome che porta, che ricorda lo zio Giulio, per me un amico carissimo, mai abbastanza compianto, con il quale ho condiviso mezzo secolo di impegno politico sino a poche ore dalla sua morte.

Una figura di alto profilo che ha gradualmente occupato cariche istituzionali di prestigio e che quando fu costretto ad attraversare la giungla delle aule giudiziarie soffrì al punto, ne sono convinto che quelle turbe, nella sua indole chiusa e discreta abbiano inciso sulla sua patologia terminale.

Ora il nipote si può definire veterano di tante battaglie sul fronte dei pendolari, sicché lo vedrei bene come capotreno e molto meno con la fascia tricolore. Brava persona, certamente, ma già quel nomignolo “Boscaglino” vale più di qualsiasi giudizio e ne disegna il profilo del classico gregario, che non ha mai sfiorato la soglia della Giunta.

Digressione personalissima: ho cominciato a navigare nella politica quando i bambini iniziano a nuotare, con un nonno assessore al Comune di Lecco per lustri e uno zio parlamentare per tre legislature. Ebbene, mai nessuno si è sognato di chiamarmi “Calvettino” anche perché l’avrei rincorso con l’ombrello e semmai la cerchia degli amici anche nazionali della Dc cominciavano a chiamare lui “zio Vittorio”.

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Ma per allargare il perimetro di questi coriandoli, seriosamente buttati al vento non in tempo di carnevale, non ho difficoltà a riconoscere che per un verso o per l’altro le forze di centrodestra si siano limitate a indicare, quasi per dovere, nomi che vanno a sento oltre il recinto amicale e familiare. Ma poi che senso hanno candidature fiorite all’interno di partiti ridotti a un pugno di iscritti? Mi raccontava di recente un leaderino che a una riunione di peso non si arrivava a un numero di partecipanti sufficiente per giocare alla morra. E il passato non suggerisce che mai nessun candidato germogliato in città sia poi approdato al soglio sindacale? Ho seguito per mezzo secolo la trafila delle candidature e, specie da quando è sbocciata la legge sull’elezione diretta, il via libera è sempre giunto da Milano, se non da Roma. E per tornare alla competenza e all’esperienza, ricordo che Lorenzo Bodega ha fatto l’assessore all’Urbanistica per quattro anni; Antonella Faggi per almeno sei; Virginio Brivio è stato presidente della Provincia e, tanto per gradire, Daniele Nava è stato vicesindaco, presidente della Provincia e sottosegretario regionale. Fatico a capire come facciano ora a sponsorizzare comparse. Di sicuro quando il dio della Politica ha dispensato il carisma, Boscaglino e la rosa degli altri ventilati erano assenti.

Mi rendo conto che questi rumors estivi risentono della voglia di cambiamento e di accelerare i tempi. Non si preoccupino a destra e a sinistra e lavorino sui programmi a partire dal PGT che questa sera sarà presentato in consiglio comunale e urge una visione della Lecco del futuro assai più di un albero della cuccagna in cima al quale trovare il sindaco al posto del salame. E se non bastasse è in corso d’opera la legge che prevede la vittoria al primo turno superando il 40% dei consensi.

Un fattore che non è algebrico, ma che cambia letteralmente le carte in tavola, soprattutto se si pensa che con Mauro Gattinoni cristallizzato nella sua posizione, pur con il consenso eroso da un’autorevole fetta del Pd, con il centrodestra che pure partirebbe avvantaggiato, c’è da scommettere che spunterà una terza lista intorno al civismo, pronta a giocare un ruolo non marginale nella partita marzolina.

Insomma, per chiudere in sintonia con temi già trattati da me e dai colleghi di caratteri e di pollici, ricordo che se da una parte si potranno inaugurare le opere le targate Pnrr, dall’altra si vanno moltiplicando le petizioni di dissenso per il parcheggio al lungolago, per l’hub di via Balicco e per la viabilità a Castello. Riferendomi al calcio, alle elezioni io sono un risultatista e non un giochista. Bisogna vincere, non partecipare e testimoniare.

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