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Rimborso IVA, la prova spetta al contribuente: la sentenza


Il contribuente è l’unico soggetto su cui ricade l’onere della prova dei fatti costitutivi della pretesa creditoria per il rimborso dell’IVA. Ad averlo ribadito è l’ordinanza n. 17110 del 25 giugno 2025 della Corte di cassazione. Ecco il caso esaminato e le motivazioni dei giiudici.

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Richiesta di rimborso IVA e prova del credito: il caso

La vicenda trae origine dalla richiesta di rimborso di un credito IVA avanzata da una società di persone costituita sotto forma di società in nome collettivo. L’Agenzia delle Entrate si oppone per mancanza di esercizio di attività, elemento rilevante ai fini dell’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto. La società contribuente si rivolge pertanto alla giustizia tributaria.

Qui, in primo grado, il ricorso viene respinto. In secondo grado, invece, la Corte di giustizia tributaria decide di accogliere l’appello della società.

Le motivazioni

La decisione dei giudici è dovuta a due principali ragioni:

  1. una lettera interlocutoria da parte dell’agente della riscossione viene qualificata come un sostanziale riconoscimento del debito;
  2. si ritiene che il presunto silenzio da parte dell’amministrazione in seguito a istanza di interpello, avesse contribuito a formare un assenso vincolante. Successivamente alla prima missiva, infatti, l’ente resistente per oltre cinque anni non aveva più fatto avere alcuna notizia sulla richiesta di restituzione avanzata dalla società ricorrente, né ha restituito alcunché. 

Ricorda dunque la Corte che, ex d.lgs. del 24.9.2015 n. 156 art 1., una volta che il contribuente ha interpellato l’amministrazione esercitando il diritto di interpello, è l’amministrazione che deve rispondere nel termine di 90 giorni o 120 giorni a seconda della natura dell’istanza. La risposta scritta e motivata vincola ogni organo dell’amministrazione con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza e limitatamente al richiedente.

Per i giudici della Corte di giustizia tributaria di secondo grado, il giudice di primo grado non aveva valutato il valore giuridico del mancato riscontro da parte dell’Ufficio, né il fatto che l’atto emesso dalla resistente fosse considerabile come un vero e proprio riconoscimento del debito.

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Dinanzi a tale presa di posizione, l’Agenzia delle Entrate ha scelto di impugnare la sentenza in Cassazione, lamentando l’omesso esame di fatti decisivi e la violazione di norme sull’onere della prova.

Rimborso IVA e onere della prova: il contribuente come attore in senso sostanziale

Nelle sue valutazioni, la Corte di cassazione rammenta prima di tutto che nel processo tributario il ruolo del contribuente in un’istanza di rimborso è quello di attore in senso sostanziale, con la conseguenza che spetta allo stesso contribuente che domanda il rimborso fornire la prova dei fatti che legittimerebbero la sua pretesa. 

La Corte di cassazione richiama dunque una pronuncia delle sezioni unite (n. 21766 del 29 luglio 2021) secondo cui, per le regole ordinarie, il contribuente che intende far valere la propria pretesa al rimborso deve assumersene l’onere probatorio (il che, a maggior ragione, vale a fronte della contestazione del Fisco). 

In sostanza, a fronte della richiesta di rimborso non possono assumere rilievo i comportamenti inerti dell’amministrazione finanziaria considerato che (si legge ancora nella pronuncia delle Sezioni Unite), il legislatore prende sì in considerazione l’inerzia, ma assegna ad essa il significato di rifiuto tacito, in quanto tale impugnabile: l’art. 21, comma 2, primo nucleo normativo, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 ammette il ricorso contro il silenzio rifiuto opposto dall’amministrazione a qualsiasi richiesta di rimborso, comprese quelle rappresentate dall’indicazione in dichiarazione del credito d’imposta idonea a manifestare la volontà di richiedere il rimborso; e il silenzio rifiuto funge, come autorevole dottrina ha sottolineato, da anello di congiunzione tra la procedimentalizzazione del diritto al rimborso e la sua tutela in sede giudiziale).

Il principio ora rielaborato non muta nemmeno dinanzi all’introduzione dell’art. 7 co. 5-bis del d.lgs. n. 546/1992, secondo cui nelle controversie che hanno ad oggetto istanze di rimborso l’onere della prova spetta sempre al contribuente in qualità di attore sostanziale. È lui che deve pertanto dimostrare i fatti che costituiscono il proprio diritto al rimborso: la nuova norma si applica infatti ai procedimenti di accertamento in cui è l’amministrazione a contestare una violazione, e non alle pretese avanzate dal contribuente stesso.

Ne consegue che l’eventuale comportamento inerte dell’amministrazione finanziaria non può certo essere inteso come un vantaggio probatorio per il contribuente, bensì come rifiuto tacito.

Il principio di diritto

La Corte di cassazione ha sancito la fondatezza del motivo relativo all’omessa pronuncia sull’onere della prova, ricordando come la Corte di giustizia tributaria di secondo grado abbia ignorato la questione centrale, ovvero il fatto che il contribuente non aveva mai fornito in giudizio la prova della spettanza del rimborso e dell’esistenza dei presupposti che sono richiesti dalla legge. Pertanto, non si capirebbe nemmeno perché si debba ritenere dovuto un rimborso senza che ne siano provati i presupposti.

In secondo luogo, la Corte ha accolto il motivo relativo all’omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360, co. 1, n. 5 cpc, condividendo come il giudice di merito abbia travisato il contenuto di un documento, qualificando una mera richiesta documentale dell’agente della riscossione come un riconoscimento del debito.

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I giudici della Cassazione affermano poi come il giudice di merito abbia fondato la sua decisione su un presupposto inesistente, ovvero il fatto che l’agente della riscossione non avesse mai risposto all’interpello del contribuente. Di contro, il Fisco ha dimostrato di avere regolarmente inviato una risposta negativa a mezzo PEC all’indirizzo della professionista che aveva curato l’istanza.

Viene così ribadito l’orientamento consolidato in giurisprudenza: prima della valutazione del comportamento dell’amministrazione finanziaria, è bene che il giudice verifichi se il contribuente abbia o meno adempiuto all’onere probatorio. In mancanza della prova dell’onere probatorio, la domanda di rimborso non può trovare accoglimento.



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