Negli ultimi trent’anni, le economie dei Balcani Occidentali hanno beneficiato dell’afflusso di investimenti diretti esteri (IDE). Un flusso in costante crescita, ma con sostanziali differenze da paese a paese.
Tutti li vogliono: UE, Russia, Cina, Turchia nei Western Balkans
Dopo esserci recentemente occupati degli imponenti investimenti emiratini nei Balcani occidentali, ora East Journal allarga lo sguardo per stilare una panoramica dei capitali esteri nella regione. Nonostante la posizione geopolitica sia un’eterna incertezza, negli ultimi trent’anni le economie di questi paesi hanno beneficiato dell’afflusso di investimenti diretti esteri (IDE): da quando Albania, Bosnia Erzegovina, Kosovo, Montenegro, Macedonia del Nord e Serbia sono passate all’economia di mercato, il volume degli IDE in entrata è infatti cresciuto costantemente.
L’Unione Europea resta l’investitore leader nell’area (grazie ai famosi “pacchetti” di finanziamenti) sia per i suoi legami storici, sia per la vicinanza geografica, sia soprattutto per il percorso di adesione all’UE intrapreso da questi paesi. Ma recentemente anche Russia, Turchia e Cina (e UAE) hanno rafforzato i propri legami economici, diplomatici e culturali con i Western Balkans. Insomma: se le principali potenze regionali e globali sono tutte presenti nella regione, l’entità dei rispettivi investimenti è però variabile.
Se gli investimenti russi sono consistenti nei paesi dei Balcani occidentali che godono di legami linguistici e religiosi comuni – in particolare in Montenegro (oltre il 10%) e, in misura minore, Serbia e Bosnia Erzegovina – negli altri paesi gli IDE russi sono trascurabili. Gli investimenti statunitensi sono invece molto meno comuni nella regione: la quota americana nello stock totale di IDE è in genere inferiore al 3,5%, con il Kosovo come eccezione degna di nota (oltre il 7%). Gli IDE cinesi nella regione sono un fenomeno relativamente nuovo e in forte crescita: dal lancio della Belt and Road Initiative circa dieci anni fa, la quota cinese nello stock di IDE dei Balcani occidentali è in rapido e costante aumento (in Serbia, in particolare, nel 2023 la quota è salita all’11,3%). Se la presenza cinese è irrilevante in Albania e Kosovo, è la Turchia qui a spadroneggiare. Non solo: gli investimenti turchi nei Balcani sono in crescita, sia in termini di numero che di valore, e rientrano in una strategia più ampia di Ankara volta a rafforzare la sua influenza regionale. Questi investimenti non sono solo economici, ma comprendono anche attività culturali, religiose e diplomatiche, spesso sfruttando il retaggio ottomano nella regione. La Turchia è particolarmente attiva nella parte meridionale della penisola, ovvero nei paesi con una significativa popolazione musulmana.
Albania, Kosovo e Macedonia del Nord
Gli IDE in Albania mostrano una crescita costante, con un aumento significativo nel primo trimestre del 2025, raggiungendo i 362 milioni di euro. Il settore immobiliare continua ad essere un importante destinatario di questi investimenti, insieme a settori come l’energia, il tessile, il turismo e l’agricoltura. Nel mercato del paese delle aquile c’è una forte presenza italiana, dovuta in primis alla vicinanza geografica e ai legami storici tra i due paesi. Le 2.675 imprese a partecipazione italiana presenti (dati 2021) fanno dell’Italia il primo Paese in termini di numero di aziende straniere attive in Albania, rappresentando oltre il 40% di tutte le imprese straniere attive nel paese e costituendo una fetta importante del sistema produttivo ed occupazionale albanese. Oltre alla vicinanza geografica, anche quella politica svolge un ruolo importante: l’amicizia che lega Edi Rama, fresco della quarta vittoria consecutiva alle elezioni parlamentari del maggio scorso, alla premier italiana Giorgia Meloni è cosa nota.
Anche gli investimenti esteri in Kosovo sono in aumento, con un focus su settori come la produzione, le energie rinnovabili e il turismo: il governo kosovaro offre incentivi fiscali e zone economiche “speciali” coi relativi incentivi per attrarre ulteriori investimenti. Gli IDE in Kosovo sono aumentati di 79,20 milioni di euro nell’aprile del 2025. Per quanto riguarda la Macedonia del Nord, il governo sta attivamente promuovendo il paese come destinazione per gli investimenti, sostenuto anche dai programmi di pre-adesione all’UE e da finanziamenti di istituzioni finanziarie internazionali.
Oltre al fiume di denaro giunto a Belgrado dagli UAE per il controverso progetto Beograd na vodi / Belgrade Waterfront0, nel paese di Aleksandar Vučić anche gli investimenti cinesi hanno un ruolo cruciale, specialmente nel settore delle infrastrutture. Investimenti a volte controversi: due anni fa una compagnia di costruzione cinese ha demolito un monumento durante i lavori per la nuova autostrada. A partire dal 2012 la diplomazia economica cinese si è strutturata attraverso l’iniziativa Central and Eastern European Countries (CEEC), più nota come 16+1 (divenuta 17+1 con l’adesione della Grecia). Nel vari summit tenuti nel corso degli anni, la Cina ha portato avanti un dialogo bilaterale con i principali paesi balcanici e dell’Est-Europa, per consolidare una cooperazione che riguarda principalmente il settore energetico e quello delle infrastrutture. Basta fare un giro sui binari della Vojvodina, nel nord del paese, per rendersi conto dell’imponenza della presenza cinese nei cantieri ferroviari del paese.
Il Montenegro presenta molte opportunità per gli investitori esteri, specialmente nel settore immobiliare, del turismo e dell’energia. Il paese ha visto un aumento significativo deli IDE nel 2006, raggiungendo un picco di 1,2 miliardi di euro nel 2009. Tuttavia, nel primo semestre del 2024 si è registrato un calo degli IDE, con un afflusso di 422,13 milioni di euro e un deflusso di 176,74 milioni, secondo dati preliminari della Banca Centrale del Montenegro. Petrolio raffinato, barche e automobili sono alcune delle principali importazioni nel piccolo paese balcanico, i cui principali partner commerciali sono Grecia e Italia, e in misura minore Serbia, Bosnia e Croazia.
In Bosnia Erzegovina sono particolarmente attivi gli stati del Golfo, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Kuwait, rappresentando oltre il 6% dello stock totale di IDE nel 2023. Da qualche anno la Bosnia sta rilanciando con grande spolvero il proprio passato ottomano, turchizzando e più in generale islamizzando non solo gli spazi pubblici, ma anche la lingua (da tempo la filologia locale insiste sulla fase di differenziazione che la lingua bosniaca starebbe vivendo). Ovviamente anche la vicinanza religiosa tra bosgnacchi, emiratini, turchi e sauditi è un fattore fondamentale.
Da sempre cerniera tra Est e Ovest, negli ultimi anni per le strade di Sarajevo – ribattezzata Gerusalemme d’Europa per la sua secolare tolleranza religiosa – si stanno moltiplicando gelaterie turche, pasticcerie con dolci emiratini, kebabbari, ma anche manufatti e artigianato mediorientale. La sensazione è che ci sia una specie di debito culturale e più in generale identitario verso chi sovvenziona e si prende cura dei fratelli musulmani d’Europa, che oscillano tra le difficoltà di stabilizzare il proprio ruolo all’interno dello scacchiere geopolitico post-jugoslavo e l’orgoglio per il proprio passato.
Foto: EurActiv.com
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