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Un miliardo per “salvare” l’agricoltura. Il “ColtivaItalia” potrebbe non essere sufficiente


Un miliardo per risollevare le sorti dell’agricoltura italiana. Lo ha messo nero su bianco il Governo qualche giorno fa con un disegno di legge, subito indicato con un nome oltre che con un numero: “ColtivaItalia”.

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Mossa opportuna, quella dell’esecutivo, che completa stanziamenti per 11 miliardi già effettuati e che dovrebbe contribuire a sostenere il settore alle prese con una congiuntura più che difficile e complessa fatta da mercati internazionali imprevedibili, costi di produzione altalenanti e un cambiamento climatico che non perdona. Mossa che, naturalmente, ha trovato subito il consenso di pressoché tutta la compagine agricola nazionale, ma che va ben compresa nei suoi particolari.

Una parte rilevante dei fondi arriva da quelli destinati allo sviluppo e alla coesione. Del miliardo stanziato, 300 milioni vanno al fondo sovranità alimentare per le filiere in difficoltà soprattutto del centro-sud; altri 300 sono per il settore olivicolo per la riconversione impianti con cultivar più resistenti alla Xylella che ha tartassato gli olivi nelle aree più vocate dello Stivale. Interventi sono previsti anche per la stabilizzazione dei prezzi dei mercati come quello cerealicolo con un credito d’imposta che oscilla tra il 20/40%. È anche previsto un intervento per il ricambio generazionale con facilitazioni per l’accesso al credito e con comodato d’uso per 10 anni di 8500 ha di terre e interventi per l’utilizzazione dei cosiddetti “terreni silenti”. Interventi anche sul fronte delle moratorie per le imprese colpite da malattie infettive del bestiame e per la ricerca e l’innovazione agricola.

Tutte positive, come si è detto, le reazioni delle organizzazioni degli agricoltori che parlano di “segnale importante” (Confagricoltura), di conferma della “strategicità del settore” (Coldiretti), di risorse “essenziali” per le imprese (Cia-Agricoltori Italiani), di “boccata d’ossigeno importante per un comparto in sofferenza” (Copagri). Fin qui tutto bene, salvo almeno due particolari. Un miliardo di euro è certamente un importo importante ma basta appena a tamponare le emergenze più evidenti. Poi ci sono i tempi della politica. È vero, il Governo ha dato il carattere d’urgenza al provvedimento, ma i tempi parlamentari che dovrebbero essere veloci fanno prevedere, a detta dello stesso Governo, una approvazione del provvedimento nel marzo 2026. Cosa accadrà intanto? Riusciranno le aziende agricole a resistere alle intemperie dei mercati e del clima? Tutto, tra l’altro, senza contare gli effetti (veri o presunti) della guerra commerciale che, di fatto, l’Amministrazione di Donald Trump ha ormai scatenato.

A ben vedere sono queste le preoccupazioni espresse da un po’ tutti gli agricoltori. Timori che, in effetti, hanno più di una ragione d’essere e che vanno di pari passo con i problemi che comunque l’agricoltura e l’agroalimentare devono affrontare con un cambio di registro per il quale “ColtivaItalia” non pare essere sufficiente. Per comprenderlo basta tornare alle stime circolate pochi giorni fa. Le ipotesi di dazi Usa sull’agroalimentare nazionale indicano, secondo Coldiretti, il rischio di danni diretti fino a 2,3 miliardi di euro. Mentre quelle di revisione della Politica agricola comune da parte della Commissione Ue potrebbero colpire circa 770mila imprese agricole italiane.

Quindi che fare? Non esiste una ricetta per tutti i “mali agricoli”, fuorché, forse, un cambio di passo che dovrebbe partire da un atteggiamento culturale diverso nei confronti del comparto agroalimentare che deve essere inteso come un settore complesso e importante, variegato e strategico. Almeno per due circostanze: fornisce il cibo a tutti e deve farlo cercando di tutelare anche l’ambiente.

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