Ritengo che la chiarezza raggiunta sia un elemento positivo, poiché la fase di incertezza era forse la condizione peggiore per le nostre imprese. Se poi sia un “buon” accordo in termini assoluti, lo valuteremo nel tempo, considerando diversi aspetti che emergono dal dettaglio dell’intesa». Questo, in sintesi, il messaggio del presidente di Confindustria Como, Gianluca Brenna, dopo l’accordo tra Usa e Ue sui dazi al 15%.
Presidente Brenna, un buon accordo o una limitazione del danno?
Quando ci siamo sentiti qualche giorno fa, il mio auspicio era proprio quello di un negoziato, lontano da prove di forza o blocchi contrapposti. In questo senso, il raggiungimento dell’accordo, senza dimostrazioni di forza evidenti da una parte o dall’altra, era sicuramente nelle aspettative e nella speranza degli operatori. Ritengo che la chiarezza raggiunta sia un elemento positivo, poiché la fase di incertezza era forse la condizione peggiore per le nostre imprese. Se poi sia un “buon” accordo in termini assoluti, lo valuteremo nel tempo, considerando diversi aspetti che emergono dal dettaglio dell’intesa.
La svalutazione della moneta americana si aggiunge di fatto ai dazi negoziati. Quanto si stima che questa “tassa implicita” inciderà sui prodotti europei esportati negli Stati Uniti, in aggiunta al dazio esplicito del 15%?
È un aspetto cruciale e non di poco conto. Quando parliamo di un dazio del 15%, dobbiamo già considerare che il potere d’acquisto del dollaro si è ridotto rispetto all’euro. Questo significa che i nostri prodotti, per essere venduti allo stesso prezzo in dollari sul mercato americano, genereranno un ricavo in euro inferiore per le nostre imprese, o richiederanno un aumento del prezzo in dollari per mantenere lo stesso ricavo in euro, rendendoli meno competitivi. Non ho una stima precisa e ufficiale sull’esatto impatto di questa “tassa implicita”, poiché dipende dalla dinamica del cambio che è volatile. È un costo aggiuntivo non esplicito che le nostre aziende devono internalizzare o scaricare sul consumatore finale, rendendo la penetrazione nel mercato americano più onerosa.
La strategia negoziale di Trump – “alzare l’asticella” al massimo per poi massimizzare il risultato – è ben nota. Ritiene che abbia ottenuto il massimo risultato?
È la strategia negoziale di Trump. Sarei prudente sul risultato finale. Raggiungere un accordo di tale portata non è una questione di sottomissione europea, ma di pragmatismo e di riconoscimento di interdipendenze economiche fortissime. Il mancato accordo avrebbe avuto ripercussioni ben più gravi per entrambi i lati dell’Atlantico.
Quale sarà il concreto impatto sulle filiere produttive?
Se il 15% è omnicomprensivo del dazio preesistente, significa un aumento del 10%. La buona notizia è che il fatto di trattare in maniera equivalente tutti i Paesi del blocco europeo (con l’eccezione della Gran Bretagna) mantiene inalterate le posizioni di competitività: i tedeschi, gli italiani, i polacchi e gli altri saranno tutti più cari del 15%, ma la loro competitività relativa rimane quella di prima. Questo è un aspetto non di poco conto. Dobbiamo però entrare nel merito settore per settore.
Nel settore alimentare, ad esempio, Parmigiano Reggiano e Grana Padano erano già daziati del 15%. Se questo nuovo 15% ricomprende il dazio preesistente, allora le condizioni potrebbero essere equivalenti a quelle passate, non peggiorative. Diverso è il discorso per la farmaceutica, un settore importante per l’Italia e molto esposto con gli Stati Uniti. Il 15% sembrerebbe un duro colpo, ma è fondamentale capire se sono ricompresi i farmaci generici o quelli non protetti da brevetto.
Per quanto riguarda il settore automobilistico, sembrerebbe che i dazi scendano dal 25% al 15%. Se questa informazione dovesse essere confermata con un livello di dettaglio superiore, sarebbe una notizia positiva, dato che si tratterebbe di una riduzione e non di un aumento. Le parole della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni sulla volontà di individuare i settori più colpiti e di affiancarli con contromisure a livello europeo mi sembrano molto razionali. Si dovrà valutare caso per caso per offrire il giusto supporto a chi soffre di più.
Cosa può fare l’Europa per crescere in termini di competitività?
Spesso tendiamo a guardare solo all’esterno, ma le nostre inefficienze interne sono altrettanto, se non più, dannose. Quando parlo di “balzelli” e anomalie, mi riferisco a quelle specificità fiscali e normative che, pur legittime all’interno delle legislazioni nazionali, creano distorsioni nel mercato unico europeo. L’esempio dell’Olanda che favorisce le holding o dell’Irlanda con regimi fiscali particolarmente vantaggiosi per certe attività, è emblematico. Queste situazioni, pur attirando investimenti e sedi legali, possono creare una competizione sleale all’interno dell’Unione, incentivando la delocalizzazione fittizia o la frammentazione delle filiere produttive per sfruttare i regimi più favorevoli. Rafforzare il mercato unico significa armonizzare, dove possibile, le normative fiscali e burocratiche per creare un terreno di gioco realmente paritario per tutte le imprese europee. Una maggiore unificazione del mercato europeo non solo ci renderebbe più forti e coesi di fronte ai blocchi commerciali esterni, ma libererebbe anche un enorme potenziale di crescita interna. Richiede volontà politica e il superamento di interessi nazionali specifici, ma è una strada irrinunciabile.
Il settore tessile, in particolare quello comasco, sta attraversando una fase di difficoltà prolungata. Questo accordo, a suo avviso, aggiunge un grado di incertezza ulteriore?
Il settore tessile merita un monitoraggio particolare. Il consumatore americano abituato al lusso potrebbe anche accettare un aumento del 15% del prezzo finale. Parliamo di prodotti per i quali il valore intrinseco, il design, il marchio e la qualità sono i driver principali all’acquisto, e un aumento di prezzo, pur significativo, potrebbe non scoraggiare chi cerca l’esclusività.
Tuttavia, esiste tutta una categoria di prodotti e di consumatori nella fascia che potremmo definire “premium”. Questi prodotti sono caratterizzati da alta qualità, design raffinato, ma con un posizionamento di prezzo più accessibile rispetto al lusso sfrenato. Per questa fascia, un aumento del 15% dovuto al dazio, sommato all’effetto della svalutazione del dollaro, può effettivamente avere un impatto sui consumi. Le famiglie americane di reddito medio-alto, attente alla qualità ma anche al rapporto qualità-prezzo, potrebbero essere indotte a ridimensionare gli acquisti o a orientarsi verso alternative meno costose, anche se di qualità inferiore.
La filiera tessile è una di quelle che bisogna attenzionare. Le nostre aziende dovranno valutare se assorbire parte del costo, ridurre i margini, o tentare di scaricarlo interamente sul prezzo finale, con il rischio di perdere quote di mercato in una fascia strategica. Sarà fondamentale un’analisi molto fine dei mercati e della capacità di adattamento delle singole imprese.
In sintesi, ritiene che l’accordo sia un passo avanti per le relazioni transatlantiche e quali contromisure o strategie l’Europa dovrebbe prioritariamente mettere in atto per navigare in questo nuovo scenario?
In sintesi, l’accordo è un passo positivo. Almeno c’è un elemento di chiarezza, e come ho detto prima, la fase di incertezza era forse il peggio. Da qui in avanti, l’Europa ha una serie di contromisure e strategie che possono essere messe in atto. La prima e più importante è quella di una maggiore unificazione del mercato europeo. Dobbiamo eliminare le barriere interne, le specificità che rendono meno efficiente il nostro mercato unico. Questo ci rafforzerebbe immensamente a livello globale.
In secondo luogo, dobbiamo proseguire e accelerare gli accordi commerciali con altre aree strategiche: penso agli accordi con il Mercosur, con l’India, con l’Indonesia. Ci sono aree su cui si può e si deve lavorare per cercare di trovare altri sbocchi per i nostri prodotti e diversificare i mercati di riferimento, riducendo la dipendenza da un singolo partner, seppur strategico come gli Stati Uniti.
Contemporaneamente, si tratta di capire in che modo le filiere verranno impattate. Come ha giustamente detto la presidente del consiglio, sarà necessario un “look through” attraverso le varie filiere per identificare quelle maggiormente in difficoltà e cercare di aiutarle in maniera mirata. Questo supporto potrebbe includere incentivi, agevolazioni fiscali, fondi per l’innovazione o per la riconversione, per permettere alle imprese di adattarsi al nuovo contesto.
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