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Allarme delle categorie. Orsini: ‘L’industria fuori dal Patto Ue’ – Notizie


Bene che si metta “fine all’incertezza”, ma l’accordo sui dazi al 15% avrà un costo “rilevante” per le imprese. Il mondo produttivo accoglie con preoccupazione l’intesa appena raggiunta da Ue e Usa.

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Dall’auto all’agroalimentare, dai macchinari al vino, il grido d’allarme è accompagnato da una prima stima dei possibili danni. Miliardi di euro di export destinati ad andare in fumo, che le categorie non intendono però incassare in silenzio: servono “sostegni e compensazioni” per le aziende colpite, è l’appello al governo e all’Ue.

Proprio all’Europa si rivolge il presidente di Confindustria Emanuele Orsini, che chiede non solo di attuare da subito “un nuovo piano industriale straordinario per le imprese”, ma propone anche di sforare il Patto di stabilità oltre che per le armi e la difesa, “anche per l’industria”. L’accordo raggiunto non è certo soddisfacente. “Per noi tutto quello che è oltre allo zero è un problema”, mette in chiaro Orsini, confermando le stime sull’impatto dei dazi per le imprese: “22,6 miliardi”. Un fardello cui si aggiunge anche “la svalutazione dollaro-euro, che per noi vuol dire oggi incrementare il dazio di un 13%”.

L’accordo è complesso e tutti aspettano di valutarlo con attenzione, ma è già chiaro fin d’ora che l’effetto sarà pesante. “Le prime stime segnalano per il 2025 un impatto diretto dei dazi al 15% a danno del nostro export nell’ordine di 8/10 miliardi: impatto cui bisogna aggiungere gli effetti della svalutazione del dollaro”, dice anche Confcommercio.

E proprio il biglietto verde debole rischia di avere effetti anche sul mercato turistico italiano, osserva Confesercenti, che stima “un impatto forte, con circa 300mila arrivi Usa in meno in Italia ed un calo di 600 milioni della spesa turistica americana”. Il mercato Usa è il secondo per il nostro export e “proprio negli Usa, negli ultimi 5 anni, gli imprenditori italiani hanno messo a segno la maggiore crescita di esportazioni: +57%, pari ad un aumento di 24,2 miliardi”, ricorda Confartigianato, che chiosa: l’intesa “non sarà indolore”.

Uno scenario in cui è anche possibile che qualcuno possa non farcela. “Le imprese artigiane non possono sostenere né dazi diretti né indiretti e il rischio concreto è che vadano incontro ad una crisi come quella avvenuta durante la pandemia”, sottolinea la Cna.

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“Molte delle nostre cooperative e imprese, già messe alla prova da anni di sfide economiche, faticheranno ad assorbire questo impatto”, avverte Confcooperative, chiedendo che “ogni strumento” venga mobilitato, “dal piano della Commissione Ursula von der Leyen alle decisioni di politica monetaria della Bce”. L’accordo avrà un “elevato impatto” sulle nostre principali esportazioni e, di conseguenza, sulla produzione, aggiunge Legacoop, che sollecita anche la “rapida riattivazione del tavolo sull’export per mettere a disposizione i 25 miliardi assicurati dal governo”.

 

A tremare sono molti settori. “Gli Stati Uniti manterranno dazi più elevati su automobili e componenti automobilistici, e ciò continuerà ad avere un impatto negativo non solo per l’industria dell’Ue, ma anche per quella statunitense”, dice l’Associazione Europea dei Costruttori di Automobili (Acea). L’automotive, con un export di 5,2 miliardi, evidenzia la Fiom, è tra i settori metalmeccanici più esposti nelle esportazioni verso gli Stati Uniti, “su cui quindi peseranno di più i dazi”.

Gli agricoltori della Coldiretti tirano un sospiro di sollievo rispetto all’ipotesi iniziale del 30% “che avrebbe causato danni fino a 2,3 miliardi di euro per i consumatori americani e per il Made in Italy agroalimentare”, ma avvertono che l’intesa avrà “impatti differenziati” e va quindi accompagnata da compensazioni europee per le filiere penalizzate”. Fedagripesca Confcooperative teme “gravi effetti sulla competitività”.

Sul settore dei vini i dazi sono “una bella botta”: l’Unione italiana vini stima un danno di “circa 317 milioni di euro cumulati nei prossimi 12 mesi”. Secondo le analisi Uiv, a inizio anno la bottiglia italiana che usciva dalla cantina a 5 euro veniva venduta in corsia a 11,5 dollari; ora, tra dazio e svalutazione del biglietto verde, il prezzo sarebbe vicino ai 15 dollari (+186%). E i produttori, dal Franciacorta ai vini toscani, dal Chianti al Brunello, chiedono l’intervento delle istituzioni. 

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