Si festeggia il raggiungimento dell’accordo sui dazi con gli Usa oppure no? Appare dubbio il successo dei colloqui, almeno lato europeo, per tutti i settori colpiti. Si alzano le voci, ma soprattutto i timori. La fine dell’incertezza sui dazi infatti non porta per forza buone notizie e il settore automotive, come quello agricolo, lo sa bene.
I miliardi in fumo potrebbero persino passare in secondo piano (se non comportassero il rischio di fallimento per molte imprese), quando tra le ipotesi peggiori c’è quella della delocalizzazione delle fabbriche. Se infatti il guadagno è nullo o addirittura in perdita, si potrebbe semplicemente aumentare la produzione in loco (negli Stati Uniti) di vetture o componenti per evitare di pagare i dazi.
Settore automotive tra i più colpiti
Le imprese accolgono con preoccupazione l’accordo tra Ue e Usa sui dazi al 15%. Settori come auto, agroalimentare, macchinari e vino stanno da tempo facendo i conti su quanto perderanno. Perché le conseguenze dell’accordo a perdere sono queste: miliardi di euro di export in fumo.
Il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, chiede un nuovo piano industriale, ma anche di sforare il Patto di stabilità. “Per noi tutto quello che è oltre lo zero è un problema”, ha detto in riferimento all’accordo al 15% e questo perché, secondo le stime, le imprese rischiano di perdere 22,6 miliardi di euro. Il calcolo tiene conto del danno all’export e degli effetti della svalutazione del dollaro.
I danni maggiori ricadranno su alcuni settori, come automobili e componenti automobilistici. L’Associazione Europea dei Costruttori di Automobili (Acea) spiega che l’impatto negativo non sarà solo per l’Ue, ma anche per l’industria statunitense.
Imprese già in crisi: l’impatto dei dazi
Il mercato Usa è il secondo per l’export italiano e proprio negli Usa, come ricorda Confartigianato, gli imprenditori italiani hanno messo a segno la maggiore crescita di esportazioni: +57%, ovvero 24,2 miliardi di euro. Per questo i dazi non saranno indolori e, anzi, si prospettano diversi scenari.
Nessuno è positivo, alcuni sono meglio di altri e poi c’è l’ipotesi peggiore.
In linea generale c’è il rischio che alcune aziende non ce la facciano, a partire da quelle artigiane che non possono sostenere dazi diretti o indiretti. “Molte delle nostre cooperative e imprese, già messe alla prova da anni di sfide economiche, faticheranno ad assorbire questo impatto”, aggiunge Confcooperative. Parte così la richiesta al governo e all’Ue di attivare ogni strumento possibile per evitare ulteriori crisi.
Basti pensare all’industria dell’auto, che da mesi non mostra dati positivi:
- nel 2024 sono stati consegnati 843.991 veicoli, nel 2025 solo 794.088;
- l’utile netto passa da 2,15 a 1,34 miliardi di euro.
“Non c’è molto da festeggiare. Ovviamente siamo soddisfatti della riduzione dell’aliquota con l’ultimo round negoziale, ma il 15% rimane importante e crea incertezza e complessità al sistema automotive italiano ed europeo”, sottolinea il direttore dell’Anfia Gian Marco Giorda.
Ipotesi delocalizzazione: cosa significa
Lo scenario peggiore, oltre al fallimento degli impianti, è quello della delocalizzazione. Mentre alcuni gruppi, come quello italofrancese, sono più al sicuro, altri sono più esposti. Chi ha stabilimenti negli Stati Uniti assorbirà meglio l’impatto dei dazi, puntando a una maggiore produzione interna per il mercato Usa, Canada e Messico.
Diverso invece lo scenario per le auto dalla Germania. Le case tedesche potrebbero aumentare la produzione negli Usa o direttamente spostare (delocalizzare) gli stabilimenti per evitare di pagare i dazi.
Lo scenario avrebbe impatti negativi anche per i produttori italiani. Infatti i veicoli tedeschi contengono molta componentistica italiana. Con la delocalizzazione questa collaborazione proseguirebbe o si rischierebbero posti di lavoro? La domanda è lecita, la risposta è incerta.
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