L ‘Europa è spaccata sull’accordo commerciale siglato con una stretta di mano tra Donald Trump e Ursula von der Leyen in Scozia. C’è chi, tra le cancellerie europee (Berlino e Parigi tra tutti), lamenta i danni attesi per le aziende, dal settore della difesa all’energia, dall’automotive ai semiconduttori e all’agroalimentare. Roma invece accoglie l’intesa con cautela, accettando i dazi del 15 per cento sui prodotti europei destinati agli Usa pur di non incrinare i rapporti con il presidente americano
Per Bruxelles i prossimi giorni saranno intensi. L’accordo commerciale Usa-Ue non è stato ancora firmato: la Commissione europea avrebbe fretta di chiudere il dossier e formalizzare l’intesa entro il 1° agosto, temendo un possibile cambio di posizione da parte di Trump.
Lo scudo europeo: dove trovare i fondi (che non ci sono) per aiutare le aziende
Tra le principali critiche rivolte alla presidente della Commissione europea c’è il fatto che Bruxelles, pur avendo negoziato l’accordo con Washington, non ha alcun potere di acquirente. A effettuare gli ordini con gli esportatori americani saranno infatti le aziende private – o parastatali – dei singoli Stati membri, non l’esecutivo comunitario. I meccanismi di sostegno all’economia saranno inevitabili, perché non è chiaro fino a che punto l’accordo tra Ue e Stati Uniti potrà essere rispettato dagli europei. A Bruxelles ammettono che la natura privata dei 600 miliardi di euro di investimenti negli Usa potrebbe rendere difficile onorare gli impegni presi, motivo per cui serviranno fondi pubblici.
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Per questo motivo, l’Unione europea sta valutando la creazione di una rete di aiuti per sostenere i settori più colpiti dai dazi. Con l’accordo ancora da definire nel dettaglio, la Commissione europea sta valutando un pacchetto di misure basato su ciò che è già sul tavolo: sospensioni di dazi, esenzioni, vino e liste definitive dei prodotti interessati.
Gli strumenti a disposizione di Bruxelles restano però limitati. Il bilancio comune, in scadenza nel 2027, offre risorse ridotte: eventuali incentivi potrebbero arrivare attraverso fondi e programmi europei. Un’altra ipotesi è l’allentamento temporaneo delle regole sugli aiuti di Stato, come avvenuto durante la pandemia di Covid. Più complessa, ma non esclusa, una deroga ai vincoli del patto di stabilità, che richiederebbe però un accordo politico all’unanimità dei 27 Stati membri.
Il pacchetto degli aiuti del governo Meloni
Il timore di una batosta economica per le aziende aleggia anche a Roma, sebbene abbia accolto con favore l’accordo siglato in Scozia. Il governo di Giorgia Meloni è pronto a varare un pacchetto di indennizzi per il mondo produttivo. Tuttavia, l’Italia chiede un’azione comune dell’Unione europea per sostenere le filiere e introdurre meccanismi compensativi a tutela dei settori colpiti dai dazi americani.
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ieri ha incontrato gli imprenditori alla Farnesina e istituito una task force dedicata, propone di rafforzare il fondo per il credito alle Pmi e sollecita un intervento della Banca centrale europea per abbassare i tassi di interesse.”Il vero nodo è il rapporto tra euro e dollaro”, ha affermato Tajani, spiegando che la valuta statunitense si è svalutata del 17 per cento, “più dei dazi fissati al 15 per cento”. E poi l’appello alla Banca centrale europea: “Bisogna ridurre il costo del denaro come in emergenza Covid: si può scendere dal 2 per cento a zero e valutare il quantitative easing, con la Bce che acquista titoli di Stato europei per immettere più liquidità”. La decisione ora spetta all’istituto guidato da Christine Lagarde.
Ma in attesa che l’Ue faccia la “sua parte”, Roma punta a offrire un “ombrello” alle imprese colpite dai dazi, utilizzando la revisione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Sul tavolo ci sono 25 miliardi di euro: circa 14 miliardi potrebbero essere rimodulati all’interno del Pnrr per sostenere l’occupazione e migliorare la produttività, mentre altri 11 miliardi verrebbero riprogrammati attraverso i fondi per la coesione e il Piano energia e clima.
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Lo scudo italiano dovrà comunque ottenere il via libera della Commissione europea, necessario per introdurre un regime transitorio sugli aiuti di Stato e garantire maggiore flessibilità nella revisione dei fondi. Ancora una volta, l’ultima parola spetta a Ursula von der Leyen, che porta con sé l’etichetta – difficile da scrollarsi di dosso – di chi ha ceduto alle pressioni di Trump.
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