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Consulta, legittima l’esclusione gare appalti per debiti fiscali superiori a 5.000 euro



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La norma in materia di contratti pubblici, che preclude la partecipazione alle gare d’appalto ai soggetti con violazioni fiscali definitive superiori a 5.000 euro, non è da considerarsi incostituzionale.

È quanto stabilito dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 138 del 28 luglio 2025. Secondo i giudici, le previsioni contenute nell’articolo 80, comma 4, del decreto legislativo n. 50 del 2016 (Codice dei contratti pubblici) non risultano irragionevoli ai sensi dell’articolo 3 della Costituzione. Tali disposizioni, infatti, sono coerenti con il duplice obiettivo di garantire l’affidabilità dei concorrenti e assicurare una competizione equa tra gli operatori economici.

Rimane comunque ferma la possibilità per il legislatore di rivedere l’attuale normativa, sia modificando la soglia di rilevanza delle violazioni fiscali sia introducendo eventuali strumenti di regolarizzazione del debito tributario.

Questione sollevata: importo di debiti fiscali per esclusione da appalto

Il Consiglio di Stato ha sollevato una questione di legittimità costituzionale in merito alla disposizione contenuta nell’articolo 80, comma 4, del decreto legislativo n. 50 del 2016, che impone l’esclusione automatica da gare pubbliche per le imprese che abbiano violazioni fiscali definitivamente accertate superiori a 5.000 euro.

Si dubitava che questa soglia fissa fosse irragionevole e sproporzionata rispetto alla gravità della violazione, violando così l’art. 3 della Costituzione.

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Secondo il Consiglio di Stato, nell’ordinanza dell’11 settembre 2024 iscritta al n. 196, il meccanismo è ritenuto eccessivamente rigido non considerando il valore dell’appalto o la proporzionalità tra l’importo dovuto e il contratto in gara.

È stato ritenuto illogico che una violazione fiscale di soli 18.000 euro comporti l’esclusione da una gara da 9 milioni di euro.

Il sistema appare disomogeneo rispetto al trattamento delle violazioni non definitive, per cui è prevista una soglia parametrica (10% del valore dell’appalto e comunque non inferiore a 35.000 euro).

Contenuto normativo

Entrando nel cuore della questione, il dibattito riguarda il riferimento contenuto nell’articolo 80, comma 4, del Decreto Legislativo n. 50 del 2016, alla soglia prevista dall’articolo 48-bis del Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, attualmente fissata a 5.000 euro. Tale richiamo consente al legislatore di definire, indirettamente, l’importo oltre il quale un’inadempienza fiscale viene qualificata come “grave”.

La disposizione dell’articolo 48-bis del d.P.R. 602/1973 stabilisce che, qualora un soggetto risulti debitore verso il fisco per un importo pari o superiore a 5.000 euro – sulla base di cartelle esattoriali regolarmente notificate – le amministrazioni pubbliche o le società a maggioranza pubblica devono sospendere qualsiasi pagamento in favore di tale soggetto. In tal caso, l’ente creditore è tenuto a informare l’agente della riscossione territorialmente competente, al fine di procedere al recupero delle somme dovute.

La Corte ricostruisce l’evoluzione della normativa sul requisito della regolarità fiscale per partecipare agli appalti pubblici, evidenziando come la disciplina italiana sia passata da una facoltà discrezionale di esclusione (prevista dalla direttiva 2004/18/CE) a un obbligo di esclusione automatica per le violazioni fiscali definitivamente accertate, introdotto dalla direttiva 2014/24/UE.

Il legislatore italiano ha recepito questa impostazione attraverso l’art. 80, comma 4, del D.Lgs. 50/2016, fissando la soglia a 5.000 euro, sulla base dell’art. 48-bis del DPR 602/1973. Per le violazioni non definitive, invece, è prevista una valutazione discrezionale da parte della stazione appaltante, con una soglia più alta (almeno 35.000 euro e parametrata al valore dell’appalto).

Questa distinzione tra violazioni definitive e non definitive, e le relative soglie, è al centro del giudizio di legittimità costituzionale.

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Principi di tutela e concorrenza

La Corte, con sentenza n. 138 del 28 luglio 2025, ritiene infondata la questione sollevata dal Consiglio di Stato riguardo alla legittimità dell’art. 80, comma 4, secondo periodo, del D.lgs. n. 50/2016, con riferimento all’art. 3 della Costituzione.

Infatti, sulla base della propria giurisprudenza, la Corte afferma che per valutare se una norma sia irragionevole o non proporzionata è necessario innanzitutto comprenderne la finalità.

Come più volte sottolineato anche dalla giurisprudenza amministrativa, la previsione che impone l’esclusione degli operatori economici colpiti da gravi violazioni fiscali definitivamente accertate ha lo scopo di garantire la correttezza, affidabilità e integrità dei soggetti che contrattano con la pubblica amministrazione. Allo stesso tempo, questa regola serve a incentivare il rispetto puntuale degli obblighi fiscali da parte delle imprese.

La soglia di 5.000 euro, prevista per evitare l’esclusione in caso di violazioni minori, ha una doppia funzione:

  • da un lato, favorisce la più ampia partecipazione possibile alle gare pubbliche;
  • dall’altro, tutela la parità di trattamento tra i concorrenti, stabilendo un criterio chiaro e oggettivo che consente a tutti di conoscere in anticipo le conseguenze di eventuali inadempimenti fiscali.

La norma, quindi, contribuisce anche alla tutela della concorrenza, assicurando condizioni uguali per tutti i partecipanti alle gare e rafforzando la fiducia nel sistema di appalti pubblici. In tal modo, viene rispettato il principio europeo di trasparenza e parità di trattamento nelle procedure di affidamento.

Necessarietà della misura prevista

La Corte ritiene che la norma contestata sia anche necessaria, in quanto si inserisce all’interno di un contesto normativo europeo che impone l’obbligo di escludere dalle gare gli operatori economici con violazioni fiscali definitivamente accertate.

Il legislatore italiano ha esercitato la facoltà di introdurre un’eccezione a questo obbligo solo nei casi in cui l’ammontare del debito sia particolarmente esiguo (ossia inferiore a 5.000 euro). Tuttavia, la normativa comunitaria è chiara nel disincentivare la possibilità di ammettere alle gare soggetti morosi, con l’unica eccezione del mancato pagamento di importi minimi.

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Proporzionalità della soglia di esclusione

Per quanto riguarda la proporzionalità della misura, la Corte osserva che l’importo di 5.000 euro, pur essendo mutuato da una normativa (art. 48-bis del DPR n. 602/1973) con finalità diverse – legata principalmente alla riscossione coattiva dei crediti da parte della pubblica amministrazione – può comunque fungere da soglia indicativa anche nel contesto degli appalti pubblici.

Questa soglia rappresenta infatti, secondo la discrezionalità legislativa, un livello minimo oltre il quale l’inadempienza fiscale assume rilievo sufficiente a giustificare l’esclusione dell’operatore economico dalla procedura di gara.

Coerenza e ragionevolezza della disciplina

Infine, la Corte conclude che la misura non può essere considerata manifestamente irragionevole. Essa bilancia in modo coerente due esigenze: da un lato, quella – imposta dal diritto europeo – di trattare con severità le violazioni fiscali definitive; dall’altro, quella di evitare esclusioni eccessivamente penalizzanti quando si tratta di inadempimenti di modesta entità.

La diversa disciplina prevista per le violazioni non definitive (che comportano l’esclusione solo se superano il 10% del valore dell’appalto e comunque i 35.000 euro) non può essere usata come parametro di confronto, poiché riguarda situazioni differenti e con margini di incertezza maggiori. In quel caso, infatti, l’esclusione non è obbligatoria ma facoltativa, e richiede una valutazione caso per caso da parte della stazione appaltante.

Possibili interventi futuri del legislatore

I giudici della Consulta hanno affermato che spetta al legislatore, nel pieno rispetto delle norme europee, valutare l’opportunità di modificare la soglia oltre la quale le violazioni fiscali definitivamente accertate comportano l’esclusione dalle gare pubbliche, al fine di promuovere una partecipazione più ampia degli operatori economici alle procedure di appalto.

Allo stesso modo, rientra nelle competenze del legislatore decidere se sia opportuno introdurre meccanismi che evitino l’esclusione automatica, consentendo la partecipazione anche a chi abbia superato la soglia, a condizione che provveda tempestivamente a regolarizzare il proprio debito fiscale prima della conclusione della gara.

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