NAPOLI. L’allarme dazi produce effetti a cascata anche sull’economia campana, e si guarda con attenzione alla trattativa tra Ue e Stati Uniti.
«L’accordo ha una sua ragione d’essere perché evita l’applicazione di dazi doppi rispetto a quelli concordati, per una valutazione più ponderata serve approfondirne i dettagli, capire fino a che punto inciderà sulle nostre esportazioni» dichiara Costanzo Jannotti Pecci, presidente dell’Unione industriali Napoli, commentando ai microfoni di Adnkronos/Labitalia l’intesa tra Usa e Unione Europea sui dazi al 15%.
«Per quanto riguarda l’area napoletana e il Mezzogiorno in generale – aggiunge -, i settori su cui l’intesa impatterà maggiormente saranno certamente il farmaceutico e l’agroalimentare. Bisognerà vedere, caso per caso, fino a che punto i dazi colpiranno concretamente le imprese esportatrici o potranno essere riversati, in termini di aumento dei prezzi, sui consumatori americani».
Jannotti Pecci sottolinea che «tenendo conto che nel chimico-farmaceutico sono colpite anche aziende Usa attive in Europa, che solo con investimenti enormi e probabilmente non convenienti potrebbero rilocalizzare le loro produzioni nel loro Paese».
«Ci attendiamo naturalmente che l’Unione europea e il Governo italiano – dice il presidente dell’Unione Industriali di Napoli – , per la loro parte, definiscano misure di sostegno per chi sia stato particolarmente danneggiato dall’aumento delle tariffe. Ad aggravare la situazione c’è la svalutazione del dollaro nei confronti dell’euro, già in atto ma che potrebbe aumentare sensibilmente se la Fed, eventualmente dopo la sostituzione di Powell, dovesse ridurre il costo del denaro. Secondo autorevoli stime, l’esposizione dell’area Ue verso gli Stati Uniti si aggira sui duemila miliardi di dollari. La politica monetaria americana può scaricare sulle aziende europee parte dei costi di un’inflazione non più tenuta a freno. La Bce dovrà in tal caso adottare contromisure adeguate e tempestive».
Ad Adnkronos/Labitalia, invece Fabrizio Marzano, presidente di Confagricoltura Campania, dichiara che «per quanto riguarda le imprese agricole campane, l’impatto potrebbe variare in modo significativo in base alle modalità di applicazione del dazio. Se l’imposizione riguarda il valore del prodotto alla partenza e non il prezzo finale al consumo, la ricaduta lungo la filiera potrebbe risultare più attenuata del previsto. Parliamo infatti di un comparto, quello agroalimentare, che si fonda su produzioni ad alto valore aggiunto, esito di processi di trasformazione, qualità certificata e forte legame con il territorio. Elementi che creano un significativo scarto tra il prezzo all’origine e quello finale e che possono contribuire ad ammortizzare, almeno in parte, l’effetto della misura».
Marzano aggiunge che «naturalmente, in presenza di produzioni meno strutturate, con lavorazioni minime e margini ridotti, un’imposizione del 15 per cento -continua- risulterebbe più difficile da sostenere.Ma l’agricoltura campana ha costruito negli anni un’identità solida, fondata su qualità, sicurezza alimentare e distintività, che consente oggi di affrontare con maggiore flessibilità le dinamiche del mercato internazionale».
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