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(intervista del Corriere della Sera al Ministro Tommaso Foti)

Difficilissimo districarsi a caldo su quello che emerge da una trattativa lunghissima e poi conclusa in poco più di un’ora in un faccia a faccia fra Donald Trump e Ursula von der Leyen. Tanto più se si fa parte di un partito la cui leader non ha mai nascosto la reciproca simpatia e vicinanza con il presidente Usa, come sempre ha fatto Giorgia Meloni, tanto da essere stata considerata un possibile «ponte» per la trattativa. E proprio lei, ieri, per prima, ha detto che si tratta di un accordo positivo, anche se bisogna vedere i particolari. Se l’aria è questa, è chiaro che nemmeno Tommaso Foti, ministro per gli Affari europei ed esponente di Fratelli d’Italia, conosce ogni punto e ricasco dell’intesa che sembra non certo l’optimum per l’Europa, al massimo il male minore. Ma nonostante non possa ribattere o rispondere a tutti gli interrogativi e alle critiche dell’opposizione, un primo giudizio lo dà: «Il dato di fondo è l’aver raggiunto un accordo che scongiura l’avvio di una guerra che sia le categorie produttive che i consumatori hanno sempre giudicato in termini estremamente negativi per gli effetti disastrosi che avrebbe determinato». 

I toni dei due leader sono quelli di un’intesa che soddisfa tutti. Ma è davvero così? 
«Sul piano strettamente politico è significativo, dopo l’accordo raggiunto in ambito Nato, avere di fatto stabilizzato le relazioni transatlantiche». 

Questo sicuramente, ma per l’Italia e per l’Europa nella pratica cosa significa? Staremo peggio? E quanto? 
«È un dato di fatto che l’aumento dei dazi doganali si riflette negativamente, in ogni caso, sia sui consumatori sia sui produttori, ma non dimentichiamoci che Trump aveva preannunciato dal primo agosto dazi al 30%. Siamo scesi al 10% se consideriamo che oltre il 4% già si pagava». 

Ma considerate l’accordo definitivo? Si può ancora lavorare su singoli settori? D’altra parte non tutti i Paesi europei esportano in Usa gli stessi prodotti, e probabilmente l’accordo andrà ancora messo nero su bianco nei particolari. 
«Pronunciarsi a caldo sull’accordo nei dettagli quando questi ultimi devono essere singolarmente verificati mi pare prematuro». 

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Alcuni punti però sono chiari, come il 50% dei dazi su acciaio e alluminio. Non sembra che Trump torni indietro su questo. 
«Certo, per acciaio e alluminio la decisione che pare essere stata assunta non va nella linea di una riduzione dei dazi che era lecito auspicare». 

Tanto più essendo la premier Giorgia Meloni amica del presidente americano, e parte del governo anche ottimista sul nuovo approccio di Trump, soprattutto la Lega. Non crede sia un risultato deludente alla fine? Le opposizioni e le categorie contestano duramente. 
«E’ comunque importante, sotto il profilo commerciale, esserci assicurati un accesso continuo al mercato statunitense, che come ci dicono i dati delle esportazioni è ampio e importante per l’Unione europea». 

Ma l’Europa e l’Italia come ne escono? 
«Significativo è anche il fatto di avere salvaguardato l’autonomia regolamentare europea, aver protetto le nostre sensibilità, in particolare nel settore dell’agricoltura». 

Cosa può fare l’Ue per difendersi, per non far crollare settori di mercato, come si teme, per non creare disoccupazione? Trump non sembra molto disponibile a fare altre concessioni. 
«Ora occorre che si riduca, ma per davvero, l’eccesso di burocrazia e si semplifichino le nostre regole: un combinato disposto che costa alle imprese svariati miliardi e ne limita la competitività. Questo è davvero un fardello di svariati miliardi che ci penalizza». 

Sì, ma intanto se alcuni settori soffriranno molto i dazi americani direttamente e indirettamente, visto che l’Europa ha accettato anche di acquistare armi americane e di rifornirsi di energia sul loro mercato, che si può fare in tempi brevi? 
«Occorre continuare ad aprirsi ai mercati in rapida crescita in tutto il mondo. Dobbiamo, pur con le dovute reciprocità, sapere cogliere le opportunità che i possibili nuovi accordi con Mercosur, Messico, Indonesia e molti altri possono offrirci, contribuendo a salvaguardare la nostra prosperità». 

(intervista di Paola Di Caro, Corriere della Sera)







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