Oltre a quello europeo la stretta di mano scozzese sui dazi tra Donald Trump e Ursula von der Leyen ieri ha acceso le polveri anche sul fronte italiano. Il Partito Democratico, che a Bruxelles è in maggioranza con il partito popolare e con i liberali tutti diversamente scontenti per l’accordo, ha attaccato il governo Meloni: «Non è un buon accordo come sostiene la presidente del Consiglio – ha detto Elly Schlein, segretaria del Pd – Ha i tratti di una resa alle imposizioni americane, dovuta al fatto che governi nazionalisti subalterni a Trump, come quello italiano, hanno spinto per una linea morbida che ha minato l’unità europea». Schlein denuncia un cedimento negoziale che rischia di costare caro all’industria e ai lavoratori europei.
Schlein ha fatto un parallelo l’accordo con il mancato rinnovo del Next Generation Eu. «Anziché lottare per i 750 miliardi di investimenti comuni europei – ha detto – Meloni e i suoi sodali ne regalano uno identico per portata agli Stati Uniti di Trump». «Altro che ponte con gli Usa, questa amicizia a senso unico con Trump avrà un costo altissimo». Ci potrebbero essere danni per «20 miliardi di export» e «oltre centomila posti di lavoro a rischio». Il Pd ha rilanciato anche le perplessità espresse alcune settimane fa dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti che ha definito «insostenibili» condizioni diverse da un tetto del 10% sui dazi. Dal ministero dell’economia hanno invece rilanciato un video che mostra lo stesso Giorgetti ammettere che «non si può andare molto lontano da questo numero», accettando implicitamente che la trattativa abbia lasciato pochi margini. L’accordo, che resta ancora opaco nei dettagli, sembra comunque peggiorativo.
A sottolineare la contraddizione interna al campo progressista è Fratelli d’Italia, che punta il dito contro il Pd: «Schlein critica von der Leyen ma continua ad appoggiarne la Commissione in Europa». Duro anche Giuseppe Conte, che fa il raffronto tra la reazione di Meloni e quella di altri leader europei, ad esempio Francois Bayrou: «Si proclama sovranista, poi diventa portabandiera dello slogan “America First”. Crolla il castello di carte di Giorgia Meloni: una premier che, pur di compiacere la Casa Bianca, ha deciso di sacrificare il presente e il futuro di milioni di italiani. Nessun sussulto di dignità, nessun allarmismo per un paese che corre verso il baratro».
Per Angelo Bonelli (Avs) «spendere 750 miliardi di euro in gas americano significa dire addio alla transizione energetica e costringere famiglie e imprese italiane a bollette sempre più care». Carlo Calenda (Azione) se la prende di nuovo con von der Leyen che non è «la forza» per guidare l’Europa. Matteo Renzi si chiede invece dove siano finiti i «25 miliardi che Meloni aveva promesso» alle imprese con dazi al 10%.
Valutazioni diverse sull’accordo sui dazi ci sono anche nel governo. Per il vicepremier Matteo Salvini, segretario della Lega «il governo italiano ha fatto il possibile, sicuramente qualcosa a Bruxelles non funziona, le regole europee sono sicuramente un massacro per le nostre imprese, quindi se la von der Leyen non azzera il Green Deal questo non dipende da Trump».
E se Meloni con Fratelli d’Italia insiste sulla trattativa per definire le «esenzioni» previste nell’accordo con Trump, mentre l’altro vicepremier Tajani di Forza Italia prefigura interventi della Bce sul costo del denaro, Salvini insiste sulla richiesta di modifica o sospensione del patto di stabilità. Lo stesso che è stato firmato da Meloni con il ministro leghista dell’economia Giancarlo Giorgetti.
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