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Dazi, gli agricoltori veronesi: «Insieme ai tagli alla politica agricola comune, un dramma per oltre 14mila aziende»


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Cia: «Compromesso al ribasso». Coldiretti: «Meglio del 30%»






Agricoltori al lavoro nei campi: anche a Verona c’è il timore per l’impatto che avranno i dazi sul settore




Agricoltori al lavoro nei campi: anche a Verona c'è il timore per l'impatto che avranno i dazi sul settore



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Il mondo agricolo veronese si ribella ai dazi Usa, temendo che inneschino una tempesta così forte da segnare la sorte di tante aziende del primario, e non accetta che ci sia chi, nel Governo, minimizza. Come il Ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, che ha affermato che l’impatto delle tasse sulle importazioni volute da Trump «potrebbe non essere così drammatico».

«Non comprendiamo le dichiarazioni di Lollobrigida, visto che, purtroppo, si sta davvero profilando un dramma per la nostra agricoltura», afferma Alberto De Togni, presidente di Confagricoltura Verona e vicepresidente vicario di Confagricoltura Veneto.

«I dazi al 15%, uniti alla riduzione del 15-20% delle risorse della Politica agricola comune 2028–2034 (lo strumento che da tempo garantisce contributi di fondamentale importanza per il primario, ma di cui la Commissione Europea sta portando avanti una profonda riforma, ndr), saranno una mazzata per tutte le oltre 14.500 aziende agricole veronesi», spiega.

 

L’aumento dei costi di produzione

Non usa certo toni leggeri, De Togni. A suo avviso si prospetta «una situazione di emergenza, dovuta a scelte scellerate che rischiano di essere il colpo ferale per tante imprese». «Capiremo il primo di agosto quali saranno i prodotti soggetti ad esenzioni, tra cui potrebbe esserci il vino, che per noi è importantissimo, ma le prospettive sono comunque funeree», dice. Spiegando che i tagli europei ed i dazi arrivano a fronte di un aumento di costi di produzione che negli ultimi anni ha raggiunto il 40%.

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Secondo uno studio che era stato presentato ad inizio anno da Confagricoltura Verona e Cgia di Mestre, nell’ultimo decennio in provincia di Verona sono sparite 1.508 aziende agricole. Dalle 16.109 del 2014 sono scese a 14.591. Una perdita pari al 9,4%. L’emorragia è stata consistente anche a guardare solo gli ultimi quattro anni, con 600 imprese in meno. Ora potrebbe esserci un’ulteriore moria. 

I settori che subiranno i peggiori contraccolpi

Oltre al settore vitivinicolo, i settori che subiranno i contraccolpi maggiori saranno quelli dei seminativi e della zootecnia. «Le nostre aziende non chiedono assistenzialismo, ma strumenti per competere; siamo pronti a far sentire la nostra voce in tutte le sedi istituzionali», conclude De Togni.

Per Andrea Lavagnoli, presidente di Cia Agricoltori italiani Verona, «l’accordo raggiunto domenica in Scozia tra la Ue e gli Stati Uniti segna la capitolazione dell’Europa di fronte all’aggressività economica statunitense». «Non si tratta di un’intesa, ma di un compromesso al ribasso che mette a rischio la coesione dell’Unione, che sacrifica il futuro dell’agricoltura europea e che colpisce in pieno i comparti di eccellenza del Made in Europa e del Made in Italy», aggiunge.

Lavagnoli se la prende con quella «buona parte della classe dirigente italiana ed europea che si affanna a presentare questa resa come un accordo equilibrato, in nome di un approccio piegato alle logiche della subordinazione transatlantica, che ignora gli interessi concreti e le fragilità di interi settori produttivi».

Più cauto Alex Vantini, che è a capo di Coldiretti Verona e vice della federazione regionale. «Le tariffe al 15% sono sicuramente meglio di quelle previste all’inizio al 30%, ma avranno impatti differenziati tra i settori e dovranno essere accompagnate da compensazioni europee per le filiere penalizzate», dice Vantini. 

L’attesa per la lista dei prodotti a dazio zero

«Attendiamo di capire i dettagli», prosegue, «e, soprattutto, di leggere la lista dei prodotti agroalimentari a dazio zero, augurandoci che la Commissione Ue lavori per far rientrare tra questi, ad esempio, il vino, e ribadiamo la necessità di far rispettare il principio di reciprocità, per fermare una volta per tutte l’ondata di prodotti esteri che non rispettano gli stessi standard sanitari, ambientali e sociali imposti alle imprese europee, e di salvaguardare il sistema delle indicazioni geografiche».





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