Secondo l’Istituto Piepoli, la premier guadagna due punti di fiducia rispetto al mese scorso. Ma c’è timore per il futuro. La Lega va già all’attacco dell’Ue, con cui l’Italia dovrà dialogare
Preoccupati, arrabbiati, pragmatici: sui dazi si infervorano tutti, tranne Giorgia Meloni. Unica dichiarazione formale è stato un comunicato congiunto con i due vicepremier, in cui l’accordo sulle tariffe commerciali al 15 per cento raggiunto da Unione europea e Stati Uniti è stato definito «positivo» e «sostenibile». Con buona pace del fatto che, fino al giorno prima, il massimo ritenuto «sostenibile» era il 10 per cento.
Tuttavia, meglio un accordo subito che permetta di stabilizzare le aziende piuttosto che ulteriori rinvii, costosi sul piano dell’incertezza nella programmazione futura. «Attendo dettagli», è stato il massimo che Meloni si è lasciata sfuggire mentre era impegnata in una serie di incontri ufficiali in Africa, riferendosi a come si calcoli il 15 per cento: se ricomprendendo o meno il 4,8 per cento di dazi medi precedenti all’accordo.
Eppure l’emergenza esiste, e il governo la sta avvertendo. Sul piano interno le aziende – Confindustria in testa – chiedono aiuti e sostegno anche economico per attutire il colpo, inoltre c’è da gestire l’effetto inevitabile sui conti pubblici, anche in vista della legge di Bilancio di ottobre.
Così le opposizioni, per una volta tutte concordi da Avs fino ad Azione, stanno chiedendo a gran voce che la premier riferisca in parlamento prima della pausa estiva, sventolando proprio le stime di Confindustria: 23 miliardi di export in meno e la perdita di 118mila posti di lavoro. Intanto, però, una risposta non è ancora arrivata.
Del resto Meloni in questi mesi ha scoperto i vantaggi della prudenza e l’obiettivo ora è «sedersi» al tavolo con l’Ue, e «interrogarsi su come si faccia a sostenere i settori che dovessero essere particolarmente colpiti».
L’impatto politico
La valutazione di impatto, però, non è solo commerciale ma anche politica e soprattutto elettorale. Anche perché, ricorda chi si occupa di pronostici e sondaggi, tra qualche mese si voterà in Veneto, che è patria di imprese e soprattutto di aziende del comparto del vino – quello vinicolo è tra i settori che più risentiranno dei dazi, almeno all’inizio – e un candidato che si carichi sulle spalle la campagna elettorale e rassicuri i settori ancora non c’è.
Eppure da palazzo Chigi, per ora, non filtrano allarmismi. La campagna comunicativa di una Meloni statista, tutta protesa nel campo della politica estera, starebbe funzionando. A dimostrarlo sono anche le rilevazioni degli ultimi sondaggi prima della firma europea all’accordo sui dazi.
In attesa di elaborare gli effetti post accordo, i dati dell’istituto Piepoli rilevati il 24 luglio mostrano come la premier abbia avuto una incremento della fiducia, al 46 per cento, due punti in più rispetto al mese scorso. Di più, proprio la politica estera e le relazioni internazionali sono considerate il settore in cui la premier ha lavorato meglio, secondo gli elettori.
Il sondaggio rileva anche il gradimento degli italiani per il presidente americano Donald Trump, al 15 per cento, in calo di due punti rispetto al mese corso.
«Nel rapporto tra italiani e Trump c’è uno spartiacque e sono i dazi: da quando li ha annunciati è crollata la fiducia in lui», ha spiegato il presidente dell’Istituto Piepoli, Livio Gigliuto, secondo cui anche la crescita di Meloni ha una logica. «Gli italiani pesano che Meloni stia facendo bene proprio in ambito internazionale e fanno fatica a collegare i dazi al suo rapporto con Trump». A passare, almeno nella maggioranza dell’elettorato, è stato il messaggio che Gigliuto sintetizza così: «La linea prevalente è che certo non poteva essere Meloni a far abbassare i dazi a Trump, ma avere un buon rapporto con lui male non fa».
Insomma, il rinculo per ora non c’è stato, ma la maggioranza è ben consapevole che i rischi all’orizzonte sono molti e concreti. Ci sono le regionali in regioni a grande impatto manifatturiero, c’è anche una manovra da scrivere con numeri fluttuanti e ci sono accordi da fare a livello europeo per gestire il contraccolpo economico che sicuramente arriverà.
Con una consapevolezza in più, dentro Fratelli d’Italia. L’azzurro Antonio Tajani è allineato sulla prudenza ed è già al lavoro alla Farnesina dove ha istituito una task force permanente sui dazi per dare sostegno alle imprese, mentre la Lega è in clima da campagna elettorale. Questo significa che non lesinerà attacchi né all’Unione europea né a Ursula von der Leyen e certamente cercherà di strappare promesse economiche difficili da mantenere. Del resto, Matteo Salvini lo ha già cominciato a fare: «A prescindere da Trump e dai dazi, questa Unione europea e questa Commissione europea sono un problema per le imprese italiane ed europee, penso ai disastri combinati dal green deal ideologico», ha detto.
Aggiungendo un attacco che, almeno lessicalmente, si ferma alle opposizioni nonostante Forza Italia sia partito di maggioranza sia in Italia sia in Ue: «Leggo che tanti, soprattutto a sinistra, contestano von der Leyen, la Lega non l’ha mai votata». Per ora si è frenato anche sulle promesse di indennizzi alle imprese. «Chi ha la delega per farlo sta analizzando il tutto», in particolare il ministero dell’Economia del leghista Giancarlo Giorgetti. Per una Meloni sempre più sottotraccia, dunque, c’è un Salvini che sta scaldando i motori.
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