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Le Nuvole All’Orizzonte: I Rischi di un Mancato Accordo sui Dazi tra USA e Cina


Le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina si sono riaccese con forza nel 2025, in un contesto geopolitico già fragile. Il Segretario al Commercio, Howard Lutnick, ha confermato che la scadenza del 1° agosto per l’imposizione di nuove tariffe a diversi partner commerciali non subirà proroghe. Tuttavia, i negoziati con la Cina seguono un calendario differente: l’ultimo round si è tenuto a Stoccolma e, se non si raggiungerà un accordo entro il 12 agosto, Washington ha minacciato l’innalzamento delle tariffe fino al 145% sui beni importati da Pechino.

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Attualmente, gli Stati Uniti impongono già dazi del 51% sui prodotti cinesi, mentre la Cina risponde con tariffe medie del 32,6% sulle merci statunitensi. Dopo aver concluso intese con Giappone e Unione Europea – che hanno fissato aliquote attorno al 15% – il Presidente Trump ha delineato l’intenzione di applicare una tariffa globale compresa tra il 15% e il 20% per i paesi sprovvisti di accordi bilaterali.

Simulazioni e scenari previsionali

Secondo un simulatore tariffario realizzato da Cesar Hidalgo di Datawheel, uno scenario di mancato accordo produrrebbe effetti a catena sull’economia globale. Le esportazioni dalla Cina verso gli Stati Uniti potrebbero contrarsi di 485 miliardi di dollari entro il 2027. Anche paesi terzi ne risentirebbero: il Vietnam perderebbe 102 miliardi di export, la Corea del Sud 49 miliardi.

I beni maggiormente colpiti includono apparecchiature di trasmissione (-59,2 miliardi), computer (-58,7 miliardi) e automobili provenienti dalla Corea del Sud (-13,5 miliardi). Di contro, aumenterebbero le importazioni statunitensi da paesi alleati come Canada (+128 miliardi), Messico (+77 miliardi) e Regno Unito (+23 miliardi).

Il vero nodo critico, tuttavia, riguarda la logistica. Le tariffe sui beni intermedi rischiano di impattare duramente sulla produzione industriale americana, mentre per i beni di consumo finale i costi potrebbero essere assorbiti dalla GDO o ricadere sui consumatori (“eat the tariffs”).

Segnali già osservabili sul campo

Gli effetti di questa incertezza si stanno già facendo sentire. I dazi attualmente in vigore con UE e Cina dovrebbero portare a un aumento del 12% delle esportazioni statunitensi entro il 2027. Tuttavia, il volume delle merci cinesi in arrivo negli Stati Uniti ha già iniziato a calare sensibilmente.

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Dati recenti sul trasporto marittimo evidenziano un temporaneo aumento del traffico container nel porto di Los Angeles, seguito a una revisione al ribasso delle tariffe (dal 145% al 51%) a giugno. Ma l’effetto si è rivelato effimero: alla fine di luglio, il numero di navi in arrivo è sceso a 58,7 al giorno. Intanto, la grande distribuzione lamenta un forte clima di incertezza che disincentiva nuovi ordini e investimenti lungo la supply chain.

Le conseguenze di un mancato accordo

Un braccio di ferro prolungato tra Washington e Pechino comporterebbe rischi strutturali a più livelli:

  • Rallentamento dell’economia globale: l’aumento delle barriere commerciali tende a deprimere investimenti e consumi, destabilizzando le filiere globali.
  • Crescita dei prezzi al consumo: i dazi sono imposte indirette che finiscono per tradursi in rincari sui beni finali.
  • Ristrutturazione della produzione: le aziende potrebbero cercare alternative produttive fuori dalla Cina, con conseguenti costi di delocalizzazione e impatti occupazionali.
  • Maggiore volatilità sui mercati: l’incertezza tariffaria può generare shock improvvisi su azioni, valute e obbligazioni.
  • Deriva protezionista: il conflitto commerciale tra le due maggiori economie del mondo rischia di innescare un effetto domino, con altri paesi pronti a replicare strategie difensive.

La prospettiva delle due potenze: interessi contrapposti

Gli Stati Uniti puntano a riequilibrare la bilancia commerciale con la Cina, ridurre il deficit e contrastare pratiche ritenute scorrette come i sussidi statali e il trasferimento forzato di tecnologia. Temi centrali sono la tutela della proprietà intellettuale e la sicurezza nazionale, specie in settori strategici come 5G e intelligenza artificiale.

La Cina, dal canto suo, intende difendere la propria sovranità economica e promuovere lo sviluppo delle cosiddette “industrie strategiche emergenti”. Il mantenimento dell’accesso ai mercati globali – in particolare quello statunitense – è essenziale per la crescita interna e la stabilità sociale. Inoltre, la leadership di Pechino considera la capacità di resistere alle pressioni USA come un elemento di prestigio geopolitico.

Verso il 12 agosto: un momento di verità

Ad oggi, dalle trattative condotte a Stoccolma emergono pochi dettagli. Tuttavia, l’approssimarsi della scadenza del 12 agosto carica di tensione i mercati internazionali. Un mancato accordo aprirebbe le porte a un nuovo ciclo di instabilità e frammentazione commerciale.

Il confronto commerciale tra Stati Uniti e Cina è molto più di una disputa tariffaria: è l’espressione di un confronto strategico tra due visioni economiche e politiche divergenti. Se il 12 agosto dovesse sancire un’escalation, le conseguenze si estenderebbero ben oltre i confini di Pechino e Washington, con impatti duraturi sulla crescita globale, sull’equilibrio geopolitico e sulle prospettive dei mercati finanziari.

Per investitori e imprese, prepararsi a questo scenario significa riconoscere la centralità del rischio politico nel mondo post-globalizzazione e dotarsi di strumenti capaci di affrontare l’incertezza. La posta in gioco, in questa fase, non è solo il commercio: è la tenuta del sistema economico mondiale.

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