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Marelli, nessuna offerta. La proprietà va ai creditori. Timori per il sito bolognese


Bologna, 30 luglio 2025 – Tempo scaduto. Per il Gruppo Marelli non è arrivata nessuna offerta per cui la palla resta nel campo dei creditori. Il colosso della componentistica auto che impiega 6mila dipendenti in Italia e 570 a Bologna nello stabilimento di via Timavo, prevede, infatti, di uscire dal Chapter 11, la procedura di fallimento americana, nel 2026 “sotto la proprietà dei suoi principali finanziatori”. E quindi, il fondo Strategic value partners (Svp), accanto a Deutsche Bank, MBK Partners, Fortress Investment Group e Polus Capital Management.

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Una prospettiva che preoccupa (e non poco) i sindacati per le ricadute sugli stabilimenti sul territorio. Dieci in tutta Italia, dei quali uno a Bologna, la Marelli di via Timavo. Ma gli effetti – indiretti – potrebbero toccare anche l’ex Marelli di Crevalcore, oggi Tecnomeccanica, con 150 operai, “visto che il 70 per cento del lavoro dello sito – fa sapere Mario Garagnani, responsabile automotive della Fiom-Cgil di Bologna – dipende proprio da Marelli”.

Il Gruppo (che nel mondo conta 46mila dipendenti e 170 stabilimenti), ceduto dall’allora Fca al Fondo Kkr nel 2018 per 6,2 miliardi, dopo l’udienza del 24 luglio, ha ottenuto dai propri finanziatori l’accesso a ulteriori 130 milioni di dollari del finanziamento di 1,1 miliardi di dollari, concesso ai debitori in possesso dei beni. Per questo David Slump, ad di Marelli, rassicura, garantendo “la continuità delle nostre operazioni quotidiane e il nostro impegno nei confronti dei clienti, dei fornitori e dei dipendenti”.

La fine del processo di ristrutturazione del debito, conclusasi come detto senza compratori, lascia, quindi, molti interrogativi. “Si apre per Marelli una nuova e delicata fase, visto che la nuova proprietà, composta da Svp e Deutsche Bank, nei prossimi mesi dovrà, infatti, lavorare per risanare il forte indebitamento, di circa 5 miliardi. Il rischio – temono Samuele Lodi, segretario nazionale Fiom-Cgil e responsabile settore mobilità, e Ciro D’Alessio, coordinatore nazionale automotive per la Fiom – è che questa ristrutturazione finanziaria possa avere effetti negativi sull’occupazione e la tenuta degli stabilimenti”.

Un timore che si riverbera anche sotto le Torri, come ricorda il sindacalista Fiom-Cgil Garagnani: “Siamo preoccupati che i creditori che hanno in mano l’azienda non abbiamo un progetto industriale, con il rischio di riorganizzazioni e spezzatini aziendali che potrebbero avere un impatto sul nostro sito bolognese dove impiegati e ingegneri sono il 65 per cento”. Domani, giorno in cui si terrà il summit al Mimit, il ministero delle Imprese, i sindacati puntano ad avere un quadro più chiaro.

“Durante l’incontro chiederemo alla Marelli garanzie certe rispetto al futuro dell’azienda nel nostro Paese e chiederemo al governo di attivare tutti gli strumenti possibili, senza escludere una partecipazione diretta nell’azienda, affinché vengano garantite produzioni, investimenti e livelli occupazionali in tutti i siti italiani”, anticipano Lodi e D’Alessio. Sulla stessa lunghezza d’onda Stefano Boschini, coordinatore nazionale della Fim Cisl: “A questo punto è necessario capire quale sarà il progetto industriale di Svp, in particolare rispetto ai siti italiani. La Fim chiede la salvaguardia di tutta l’occupazione e un piano che preveda il rilancio di tutti gli stabilimenti del Gruppo”. Da qui, domani a Roma la Fim-Cisl “chiederà al governo – spiega – di assumere un ruolo di garanzia verso la nuova proprietà, anche attraverso la Golden Power”.

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