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Come spenderà l’Italia i fondi del piano europeo Safe


L’Italia si prepara a un nuovo ciclo di riarmo. Con l’aiuto dell’Unione europea e del programma Safe, il governo accederà a quattordici miliardi di euro in cinque anni per rafforzare munizioni, sistemi antimissile e mezzi blindati. Un modo per impegnarsi a ricostruire le scorte esaurite e fronteggiare le minacce emerse con la guerra in Ucraina.

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Il nome del programma europeo è “Security Action For Europe” (da cui l’acronimo Safe). Si tratta di prestiti dilazionati, erogati nell’arco di cinque anni, che non intaccheranno il Patto di Stabilità. Inoltre, il piano di rimborso potrà estendersi fino a quarantacinque anni. Secondo una nota del governo, i fondi serviranno a finanziare i programmi di difesa già pianificati per il quinquennio 2026-2030, consentendo allo Stato di alleggerire il bilancio grazie alla copertura parziale offerta dall’Unione europea.

Il governo italiano dovrà presentare un piano nazionale dettagliato entro sei mesi, per indicare come vuole spendere i fondi a sua disposizione. I dettagli non sono ancora stati diffusi, ma è possibile delineare alcune aree prioritarie di investimento, basandosi sulle necessità delle forze armate e sugli obiettivi generali del piano Readiness 2030.

«Guardando le criticità di oggi, due sembrano prioritarie», dice a Linkiesta Elio Calcagno, ricercatore nel programma “Difesa, sicurezza e spazio” dell’Istituto Affari Internazionali (IAI). «Da un lato le criticità più operative e capacitive, dall’altro ci sono le criticità di investimento per lo sviluppo di nuovi sistemi».

Nel primo insieme rientra il ripianamento degli stock di munizioni, di artiglieria e missilistiche che sono state donate all’Ucraina. Quasi nessun Paese europeo della Nato, anche prima dell’invasione su vasta scala dell’Ucraina, era messo particolarmente bene su questo fronte, perché dopo la Guerra Fredda ci si è appoggiati al sistema di procurement just in time – gli ordini si fanno solamente al momento del bisogno, per non stoccare milioni e milioni di munizioni.

Nel secondo insieme invece ci sono le difese aeree. «L’Italia, come la Francia, ha donato sistemi Samp/T all’Ucraina, perché quel conflitto ci ha dimostrato che i numeri di batterie, di difese aeree missilistiche che c’erano in Europa non erano adeguati alla guerra di oggi, dominata da migliaia di droni e missili, quindi abbiamo capito che i pochi sistemi che prevedevamo prima oggi sarebbero insufficienti», dice Calcagno.

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Nel piano 2026-2030, come ricorda StartMag, c’è il finanziamento di ventiquattro caccia Eurofighter, il cui costo supera i sette miliardi di euro, e di altre cinque batterie missilistiche Samp/T, che costano meno di un miliardo.

«Più che guardare al target del 3,5 per cento del Pil per la difesa, i fondi dello strumento Safe potrebbero essere indirizzati a rafforzare la prontezza e la reattività del settore della Difesa italiana», dice ancora Calcagno. «Negli ultimi mesi il governo aveva fatto annunci su grossi programmi di acquisizione di carri armati, veicoli da combattimento per la fanteria e altro, acquisizioni che avrebbero comportato un aumento dei costi senza un sostanziale aumento del budget della difesa. Se destinati a queste spese, i fondi del programma Safe, anche se non sono molti, possono rappresentare un grosso aiuto che permette di non sottrarre fondi da altre voci di bilancio».

Ci sarebbe da lavorare e investire sulle criticità di lungo periodo che si trascina da tempo l’esercito italiano. Ad esempio nel segmento di ricerca e sviluppo, dove qualche miliardo farebbe sicuramente molto comodo, per non sottrarre quei miliardi alle voci di spesa più operative appena descritte.

E poi c’è la logistica e l’integrazione delle industrie della Difesa. Il piano Safe incoraggia gli Stati membri a collaborare nell’acquisto e nello sviluppo di capacità difensive in cooperazione, promuovendo l’integrazione dell’industria della difesa europea. L’Italia potrebbe usare i fondi per partecipare a progetti congiunti, rafforzando la cooperazione con altri Paesi membri e contribuendo alla creazione di un vero mercato comune della difesa

Oltre agli investimenti diretti nelle forze armate, una parte dei fondi potrebbe essere destinata a migliorare la sicurezza nazionale in senso lato, includendo la protezione di infrastrutture critiche come reti energetiche, sistemi di comunicazione e altre strutture vitali per la sicurezza del Paese.

In ogni caso è importante sottolineare che i quattordici miliardi a disposizione dell’Italia con il fondo Safe sono pochi. Potenziare la difesa e il comparto militare richiederebbe investimenti molto maggiori. Quattordici miliardi in cinque anni, per una media di poco meno di tre miliardi ogni anno, non possono fare miracoli per l’industria militare italiana.

Il budget italiano per la Difesa si aggira intorno ai trentuno miliardi di euro, circa l’1,5 per cento del Pil. In sede Nato, l’Italia e gli altri Paesi si sono impegnati a raggiungere il 3,5 – con un target più ampio al cinque per cento, di cui l’1,5 riservato a interventi collaterali al settore difesa come infrastrutture e telecomunicazioni. «Se l’obiettivo è avvicinarsi al due per cento del Pil, che è il vecchio target Nato, non è un aiuto poi così grande», dice Calcagno.

La Commissione europea ha stanziato centocinquanta miliardi di euro con il programma Safe, parte del piano di riarmo ribattezzato “Readiness 2030” presentato a marzo da Ursula von der Leyen e adottato dai ventisette Stati membri. Bruxelles sembra quindi aver dato degli incentivi per avviare e strutturare dei processi che poi dovranno essere portati a termine in autonomia dai singoli Paesi.

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D’altronde gli Stati membri che hanno già aderito accederanno a centoventisette miliardi di euro: queste cifre non potranno rivoluzionare l’industria militare europea. Anche l’orizzonte temporale di cinque anni suggerisce la ricerca di soluzioni intermedie in attesa dell’approvazione della politica industriale e di difesa comune. È lo stesso approccio già adottato con gli ultimi progetti di difesa, cioè lo Strumento per il rafforzamento dell’industria europea della difesa mediante appalti comuni (European Defence Industry Reinforcement through Common Procurement Act, Edirpa), e l’Act in Support of Ammunition Production (Asap), concentrato sulla produzione di munizioni.

Oltre al risvolto strategico, c’è anche un vantaggio economico. Come ha scritto Enrico Cicchetti sul Foglio, gli eurobond emessi dalla Commissione europea costano meno dei Btp italiani, i rimborsi sono a lungo termine e i progetti finanziati non prevedono l’Iva. «Se devi comunque fare debito, meglio farlo sulla difesa, dove ci sono tassi di interesse vantaggiosi e un orizzonte più lungo del normale», osserva Calcagno. Una scelta che, secondo l’analista, rivela più di un semplice cambio di strategia: «Il fatto che il governo, dopo essersi detto contrario al piano Safe, abbia deciso di aderire, dimostra che oggi il bisogno di investire, nella difesa e non solo, è diventato una priorità politica non più rinviabile».



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