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Dazi/3. E sei l’impatto fosse inferiore alle stime?


“L’impatto dei nuovi dazi al 15% concordati tra Stati Uniti e Unione europea sulle esportazioni italiane potrebbe essere sensibilmente inferiore rispetto alle stime iniziali”. Lo sostiene Unimpresa, a 24 ore dall’entrata in vigore delle nuove tariffe prevista per domani, 1° agosto. Secondo l’Unione nazionale delle imprese, infatti, “alcuni settori chiave, come il farmaceutico, le specialità chimiche e parte dei beni ad alta tecnologia, saranno soggetti a esenzioni totali o parziali. A fronte di un export complessivo verso gli Usa pari a circa 66-70 miliardi di euro, l’esposizione effettiva delle imprese italiane ai dazi si ridurrebbe quindi a una base tra 45 e 50 miliardi di euro. Di conseguenza, il costo diretto stimato per le aziende si attesterebbe in un intervallo compreso tra 6,7 e 7,5 miliardi di euro, rispetto ai quasi 10 miliardi ipotizzati in precedenza”.

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Secondo la stima del Centro studi di Unimpresa, “l’impatto risulterà, inoltre, distribuito in modo disomogeneo, con una maggiore pressione sui settori a bassa elasticità di prezzo e una tenuta maggiore per il Made in Italy di fascia alta”. 

L’export italiano verso gli Usa nel 2024 è stato tra 66 e 70 miliardi di euro e, “sulla base alle prime stime, l’onere lordo teorico dei dazi avrebbe potuto collocarsi tra 9,9 e 10,5 miliardi. Tuttavia -sostiene Unimpresa-, l’effetto reale sarà attenuato da esenzioni settoriali, capacità di riassorbimento nei margini e riorganizzazioni produttive che fanno calare l’impatto tra 6,7 e 7,5 miliardi”. Non a caso, aggiungiamo, il nodo delle esenzioni è uno di quelli che maggiormente attira l’attenzione e che, addirittura, potrebbe determinare un rinvio (parziale) dell’entrata in vigore dei dazi, come confermato da Bruxelles oggi.

Secondo Unimpresa, “l’impatto macro sull’Italia potrà essere contenuto tra lo 0,15% e lo 0,4% di pil cumulato nel triennio 2025–2027, con una incidenza nel 2025 compresa tra 0,1% e 0,2%. 

I settori più esposti sono:

meccanica, 27% dell’export verso Usa (18 miliardi di euro, dazio teorico 2,7 miliardi);

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chimico‑farmaceutico 20% (13 miliardi di euro, 2,0 miliardi); 

moda‑pelle 17% (11 miliardi di euro, 1,65 miliardi);

agroalimentare e bevande 12% (8 miliardi di euro, 1,2 miliardi); 

trasporti 11% (7 miliardi di euro, 1,05 miliardi);

occhialeria, gioielli, arredamento 9% (6 miliardi di euro, 0,9 miliardi). 

“Il dazio al 15% non è una buona notizia, ma non è uno shock sistemico -spiega il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora-. Le imprese italiane dispongono di tempo, strumenti e mercati alternativi per assorbire e redistribuire il costo della nuova politica commerciale americana. In termini macro, gli effetti sul pil italiano appaiono gestibili e probabilmente inferiori a mezzo punto cumulato nel medio periodo, con una traiettoria che dipenderà dalle esenzioni finali, dalla capacità di riposizionamento settoriale e dalle misure di supporto europee e nazionali”. 

“L’accordo -aggiunge Spadafora– è un compromesso che riduce il rischio di guerra commerciale e consente alle imprese italiane di affrontare l’impatto con strumenti e margini di manovra adeguati. La chiarezza normativa, la possibilità di rinegoziare contratti e la diversificazione dei mercati possono facilitare una gestione ordinata della transizione. La priorità, ora, è tradurre l’accordo politico in norme operative chiare, velocizzare i canali di diversificazione e sostenere le pmi nelle strategie di pricing, hedging e presenza produttiva negli Stati Uniti. In questo modo, l’Italia può contenere l’impatto e continuare a presidiare il mercato americano, preservando occupazione e valore aggiunto”.

Tre elementi giocano in favore di una gestione ordinata dell’impatto:

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1. Certezza delle regole: un’aliquota nota (15%) è gestibile meglio di una minaccia mobile al 30%, consentendo di rinegoziare listini e contratti di fornitura e acquisti;

2. Diversificazione geografica: il sistema produttivo italiano ha già dimostrato, in passato, di saper ri‑indirizzare parte dell’export verso Asia, America Latina, Africa e Medio Oriente, preservando volumi e valore aggiunto. 

3. Strumenti europei e nazionali di mitigazione: credito all’export (SACE), garanzie per investimenti produttivi negli USA e politiche fiscali mirate per le PMI possono attenuare l’onda d’urto iniziale. Infine, carve‑out e quote in alcuni settori strategici (chimico‑farmaceutico, semiconduttori, componentistica aeronautica) limiteranno ulteriormente l’impatto effettivo sul valore esportato. 





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