(Articolo pubblicato su L’Economista, inserto de Il Riformista)
Nella mitologia greca, Arcadia era una terra ideale, segnata dall’equilibrio tra uomo e natura, lontana dalla frenesia del mondo. Oggi, quel nome torna a navigare, stavolta in forma di acciaio e tecnologia: è la nuova nave oceanografica progettata da ISPRA per esplorare il mare profondo e contribuire alla transizione blu del Paese.
Nel vocabolario della sostenibilità, la “blue economy” ha smesso da tempo di essere una formula evocativa. È diventata un perimetro di politiche pubbliche, un’agenda industriale, un campo di investimento strategico. Energia offshore, tutela della biodiversità, innovazione tecnologica, portualità e turismo costiero: il mare, oggi, è infrastruttura.
Lo ha riconosciuto anche il governo, che ha inserito la blue economy tra i pilastri del Piano del Mare e della transizione ecologica. In questo contesto si colloca MER – Marine Ecosystem Restoration, uno dei progetti più ambiziosi del PNRR, con una dotazione di 400 milioni di che vede ISPRA in qualità di unico soggetto attuatore e il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza amministrazione titolare del finanziamento.
Al centro del programma c’è Arcadia, una nave da ricerca oceanografica di nuova generazione, che sarà varata nel 2026 ma già oggi rappresenta un tassello cruciale nella strategia italiana per la conoscenza e la tutela del patrimonio marino. Con una lunghezza di quasi 70 metri, un’autonomia di 6.000 miglia nautiche e una propulsione ibrida diesel-elettrica certificata Quiet/Silent Class, ovvero a bassissimo impatto acustico nei fondali marini, Arcadia sarà in grado di operare anche nelle aree marine più sensibili, senza compromettere la qualità dei dati né disturbare gli ecosistemi.
A renderla una piattaforma di ricerca d’eccellenza è un insieme integrato di tecnologie all’avanguardia: una “gondola” acustica integrata nella chiglia con sonar multifrequenza e sensori per la morfologia e la stratigrafia dei fondali; un ROV elettrico (Remotely Operated Vehicle) per esplorazioni fino a 4.000 metri, e un AUV (Autonomous Underwater Vehicle) capace di missioni indipendenti per oltre 60 ore. Due laboratori scientifici – uno umido e uno asciutto – permetteranno il trattamento immediato dei campioni raccolti: dalla fauna ittica al microplankton, fino alle microplastiche e ai sedimenti.
Ma il valore di Arcadia va ben oltre l’innovazione tecnica. È un’infrastruttura strategica per il sistema Paese: permetterà di mappare aree sottomarine per la posa di cavi e impianti energetici offshore, assistere boe meteo-marine, analizzare risorse geominerarie e osservare in tempo reale gli effetti dei cambiamenti climatici nelle profondità marine. Un punto di convergenza tra ricerca, ambiente e sviluppo economico.
“Con Arcadia – ha dichiarato Giordano Giorgi, Coordinatore del progetto MER – vogliamo rafforzare la capacità del nostro Paese di conoscere e proteggere il mare come asset strategico. La ricerca non è solo osservazione, ma costruzione di politiche pubbliche fondate sulla conoscenza.”
In un’Europa che investe sempre di più nella sostenibilità blu – basti pensare agli orientamenti sull’eolico marino o alla nuova Strategia UE per la tutela degli ecosistemi – dotarsi di un’infrastruttura di questo tipo significa rafforzare la competitività scientifica e industriale dell’Italia. Significa trasformare il mare da confine a motore.
La sfida, però, non è solo tecnologica. Riguarda la capacità di agire come sistema: integrare imprese, istituzioni, università e territori in una visione condivisa del mare come spazio strategico. Il progetto MER è un passo in questa direzione. Ma sapremo trasformare questo investimento in politica industriale, formazione, filiere e competenze?
La rotta è tracciata. Ora serve la volontà – e la coerenza – per seguirla fino in fondo. Perché non basta salpare: serve sapere dove si vuole arrivare.
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